Ai Mondiali di atletica leggera paralimpica del 2015, ospitati dal Qatar, a Doha, ai blocchi di partenza della semifinale dei 100 m, categoria T42, ci sono la statunitense Lacey Anderson, la giapponese Hitomi Onishi, la brasiliana Ana Claudia Silva, la tedesca Jana Schmidt e l’italiana Martina Caironi, amputata alla gamba sinistra appena sopra il ginocchio, detentrice del record del mondo e dell’oro paralimpico di Londra 2012.
Dopo il colpo di pistola Caironi, Schmidt e Silva restano appaiate per circa 15 metri, sfruttando tutte un’ottima uscita. Poi la progressione di Caironi si fa impressionante, rimane il vuoto dietro, e la possibilità di scendere sotto i 15” (record mai raggiunto da nessuna atleta donna paralimpica) sembra a portata di mano. Nel tratto finale, però Caironi rallenta visibilmente: la sua corsa è fluida, sembra quasi una sgambata. Il cronometro al traguardo segna 15”01: comunque record del mondo. Per infrangere quest’ultimo limite, Caironi ha ancora il giorno dopo, la finale.
«Sì, mi sono trattenuta, perché sapevo di poterlo fare il giorno dopo», mi ha confessato Martina all’epoca, via WhatsApp. «Così era più bello, no?». Il giorno dopo Martina vince l’oro con un nuovo record di 14”61.
Low, rivale di sempre, ha uno sguardo tagliente. Le altre, non possono che festeggiare con lei.
Martina è nata ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, il 13 settembre 1989. Ha 18 anni quando, dopo un incidente in motorino, le amputano la gamba sinistra. Ha quella che il tecnico delle sue protesi da corsa – Luca Gherardi del Centro protesi Inail di Budrio – definisce «una disarticolazione di ginocchio, con femore integro». Una condizione che la colloca nella categoria T42 nelle classificazione ufficiale per gli sport per disabili, che comprende amputazioni, lesioni spinali, handicap muscolo-scheletrici, malformazioni congenite, lesioni nervose.
Iscritta alle Fiamme Gialle, è l’atleta di punta della Nazionale paralimpica a Rio 2016, dove ha avuto l’onere del fare da portabandiera, brillantemente affrontato con un accenno di balletto sulla pista.
Proprio per avvicinarsi al suo tecnico, nel 2015, Caironi si è trasferita a Bologna, dopo avere studiato a Milano mediazione linguistica e interculturale. Era una pallavolista, dopo l’incidente ha scelto di correre. Mentre è in Erasmus in Spagna, a Soria, incontra tecnici e strutture che la avvicinano allo sport in maniera più professionale: decide di essere un’atleta e diventa la prima donna amputata monolaterale a scendere sotto i 16’’ nei 100 m. Poi, come detto, diventerà anche la prima a scendere sotto i 15’’ (forse vale la pena ricordare che tra le normodotate il record è di 10”49).
Caironi, testimonial della Ottobock, si racconta alla fiera Exposanità di Bologna, nel 2014
Ricorda Gherardi: «Nel 2010 Martina raggiungeva risultati tutto sommato buoni in Italia, ma a livello internazionale rientrava in una media molto bassa. Poi l’Erasmus: lì ha trovato le condizioni che le hanno permesso di fare quello step che non tutti gli atleti riescono a fare. Ha cambiato il tipo di approccio all’atletica, all’allenamento, sul piano mentale. All’inizio non c’era particolare attenzione sul piano del raffinamento della protesi: quasi tutte le componenti che ha usato all’inizio sono quelle con cui ha gareggiato a Londra 2012. Poi però ci siamo resi conto che dal punto di vista della componentistica c’era da fare un salto in avanti: lì è nata l’attenzione di Ottobock e Össur (le due aziende al mondo che in questo momento forniscono lamine e ginocchi agli atleti paralimpici, NdA)».
Record del mondo e record Paralimpico con 15”87. I precedenti erano rispettivamente di 15”89 e 16”32
Londra 2012 è un crocevia, il punto in cui la carriera di Martina supera i confini sportivi. Diventa un personaggio pubblico, amata per il suo carattere luminoso, per lo spirito divertito con cui affronta la vita da amputata. Inizia a tenere conferenze, addirittura una Ted nel 2014, non cade quasi mai nel “motivazionale”, che non le piacerebbe. E prima delle Paralimpiadi viene contattata dalla Ottobock, che le chiede di diventarne testimonial, per provare le proprie protesi di gamma top e ricevere da lei ragguagli che ne facilitino gli sviluppi.
A questo punto la carriera di atleta paralimpica incrocia la ricerca, con sviluppi impressionanti: se a Londra Caironi straccia il record paralimpico, quello che accade a Lione l’anno dopo mostra il senso degli investimenti nella ricerca tecnica guidata dalle sensazioni dell’atleta, che porta a sviluppare tecnologie anche per chi ha disabilità ma non è un atleta.
Una corsa fluida e lineare. Che si chiude con un 15”26
L’evoluzione dovuta alle nuovi componenti a disposizione di Caironi è visibile a occhio nudo. Confrontando i 100 m corsi a Londra nel 2012 con la gara di un anno dopo ai Mondiali di Lione è chiaro che il nuovo ginocchio bionico Ottobock le fornisce una fluidità inimmaginabile un anno prima. Il risultato non riguarda banalmente la prestazione, quanto il comfort dell’atleta, che non è più costretto a quella dolorosa trazione laterale della gamba, che dà al passo un tracciato circolare verso l’esterno.
Gherardi sottolinea che «sono componenti che tendono a essere meno traumatiche dal punto di vista del gesto sportivo. Prima tendevano a sviluppare un movimento più meccanico, queste nuove diventano più fisiologiche, avvicinandosi alla corsa dell’arto sano e traumatizzando meno l’atleta. Nel frattempo Martina si è interessata anche al salto in lungo. Dal 2012 in poi comincia a praticare anche questa disciplina».
A Lione 2013 Martina vince la medaglia d’oro anche nel salto in lungo, con 4,25 metri (record mondiale anche qui). Già forte su pista, la rivalità con le tedesche Schmidt, e soprattutto con Low, si ripresenta anche sulla sabbia. Questa volta la spunta Martina, ma è l’ultima volta in cui le riesce di vincere anche in questa disciplina. Così, l’oro nel salto in lungo diventa la sua ossessione positiva, che arriva fino a Rio 2016. Per soddisfarla si deve aumentare l’osmosi tra l’atleta e le protesi.
Marco Gori, toscano di 27 anni, tecnico delle protesi da cammino che segue Caironi insieme ad Alessandro Giambi, per Ottobock, descrive il ginocchio di ultima generazione che Caironi ha sperimentato da tempo e portato a Rio: «Elettronico, Genium X3. La sua vita quotidiana, sicuramente più spinta sul piano delle esigenze, ci serve per testare i nostri prodotti. Per noi è fondamentale raccogliere i dati numerici: le componenti che lei ha forniscono una telemetria dell’utilizzo del suo ginocchio, come lo sfrutta, che percorsi fa, quanto ha camminato, quanta salita, quanto è stata ferma sul ginocchio. In questo mestiere bisogna avere chiaro il concetto che si ha a che fare con il corpo umano, un sistema non lineare. Le risposte che ci dà Martina sono vere solo per lei. Con Martina capiamo sino a che punto ci si può spingere nello sfruttamento delle tecnologie».
Segnali da ascoltare
Cura del dettaglio, ascolto e monitoraggio delle sensazioni sono altri passi verso una professionalizzazione che, per essere completa, necessita di strategie di allenamento più uniformi. L’ultimo passaggio nella carriera di Caironi si compie a Bologna, con il supporto di un nuovo allenatore, Cristian Cavina, ex atleta, velocista, oggi tassista in città e allenatore di bambini e ragazzi.
«Insieme abbiamo cercato di trovare un equilibrio. Perché a causa della sua disabilità tendeva ad essere squilibrata sulla schiena. Abbiamo cercato di fare potenziamento, poi un lavoro sulla forza con le pinze, da lei mai fatto o fatto molto poco. La cosa che mi ha impressionato di più è stato l’atteggiamento mentale, estremamente determinato. Ha acquisito una conoscenza del proprio corpo molto importante. Fino all’infortunio avevamo lavorato abbastanza sulla quantità. Dopo l’infortunio non c’era più il tempo tecnico per ripartire da capo, anche perché lei ha dovuto gareggiare a Grosseto. Con in più il problema di Bologna che d’estate non c’è un campo aperto. Pensa te, con un atleta prima di una Paralimpiade, non ti puoi allenare».
Oltre all’inverosimile vicenda dei campi chiusi, che nell’estate in vista di Rio ha costretto Caironi a peregrinare a Trieste prima (per gli allenamenti sul salto in lungo con il tecnico federale Alessandro Curis) e a Bergamo poi, il percorso verso le Paralimpiadi 2016 è stato complicato appunto da un infortunio all’inizio del 2016. «Un problema ai nervi della gamba amputata che praticamente per tre mesi mi ha impedito di portare la protesi». Secondo Cavina: «Un problema nato forse dalla troppa tenacia di Martina».
Ma al rientro quella stessa tenacia ha pagato. Agli Europei di Grosseto, Martina arriva di nuovo in finale nel salto in lungo, di nuovo vince l’argento argento dietro Low. Arriva anche in finale nei 100 m, vince un altro oro, e stavolta è Low ad accontentarsi di un altro secondo posto. Ma c’è una novità, alle loro spalle in terza posizione arriva Monica Contrafatto, caporal maggiore dell’esercito, un’altra italiana, che ha dichiarato di ispirarsi a Caironi da quando, nel letto d’ospedale, l’ha vista correre a Londra dopo aver perso la gamba destra per una bomba in Afghanistan.
A Grosseto nessun record, solo un ritorno in scioltezza dall’infortunio
Si arriva così alla Paralimpiade di Rio con nuove avversarie, oltre alle vecchie, che Martina dovrà battere (finora Caironi ha vinto contro due generazioni di atlete). In questa stagione Martina ha sofferto la pressione mediatica e politica, con i vertici della Federazione sul collo, qualcosa di mai sperimentato. Tanto che Cavina ha raccontato: «Recentemente mi ha detto una cosa che non mi aspettavo, poco prima della partenza. “Sono qui che da un mese mi alleno, da sola, quando se fosse per me sarei più per andare in vacanza”. Ho cercato di lavorarla ai fianchi: “Vedrai che appena respiri l’ambiente la voglia ti viene”».
Il 29 agosto, la sera prima della partenza per Rio, Martina mi ha confessato: «Non è nuova la situazione perché sono abituata a essere cercata. Però è nuovo il ruolo. Sono tante le cose a cui devo pensare, poi mi perdo le più importanti, per esempio ascoltare il mio corpo, che mi dice “Guarda Marti, la protesi è più grande, devi fare qualcosa”. Ci ho messo un po’ ad accorgermi di questa cosa e l’altro giorno, nel fare le partenze dai blocchi, mi sono accorta che non riuscivo perché la protesi è grande. E domani parto».
In sintesi il problema è generato dall’invaso della protesi (quello dentro cui si inserisce il moncone) che all’ultimo si è rivelato più grande (vuoi per dimagrimento, vuoi per stress). Intanto Caironi ha già gareggiato nel salto in lungo (nella notte tra sabato 10 e domenica 11 settembre) battendo il suo record personale con 4,66 m, arrivando però di nuovo seconda dietro una straordinaria Low, che ha chiuso con 4,93, frantumando il record del mondo e continuando a essere la sua bestia nera in questa disciplina.
Rimane la notte del 17 settembre: sarà il momento di una rivincita nei 100 m, per nulla scontata. Lei continua a gestire lo stress, circondata dalle richieste come un regista sul set. «Sinceramente mi sento compressa. È così. È che a me in sostanza piace la “sciallezza”, sai come si vive a Bologna. Mi sono abituata bene, mi sono abituata a questo regime, al fare tutte le cose per bene senza stress. E quindi adesso che arriva lo stress, lo temo. Ma ha senso starci dentro».