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La battaglia inglese tra Mourinho e Guardiola
28 apr 2017
28 apr 2017
Lo scontro tra le due filosofie è finito pari, ma ci dice anche quanto United e City siano lontane dalle ambizioni dei due tecnici.
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Foto di Laurence Griffiths / Getty
(foto) Foto di Laurence Griffiths / Getty
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Nonostante i tanti milioni spesi e la scelta di farsi guidare dai due allenatori più influenti dell’ultimo decennio, anche questo 2017 non sarà l’anno di Manchester. Per motivi diversi, né Pep Guardiola, né José Mourinho hanno centrato l’obiettivo di rilanciare City e United, e così la loro diciannovesima sfida personale, infilata in mezzo alla settimana e con in palio il premio di consolazione del quarto posto, che è comunque l’ultimo buono per giocare la Champions la prossima stagione, è stata caratterizzata da un tono piuttosto dimesso. In più, a rendere meno attraente la partita è stata l’assenza di diverse stelle: Ibrahimovic, Mata e Pogba da una parte; Silva e Gündogan dall’altra, anche se Guardiola aveva recuperato i suoi centravanti, Agüero (in dubbio, ma alla fine in campo dal 1’) e Gabriel Jesus (in panchina). Mourinho conosce bene Guardiola, ma… La cornice tattica degli incroci tra Guardiola e Mourinho è ormai cristallizzata da tempo: le squadre del catalano controllano il pallone, quelle del portoghese chiudono ogni spazio possibile in attesa della ripartenza buona. Ovviamente, all’interno del quadro, i dettagli cambiano di volta in volta. Per l’occasione, il piano iniziale di Mourinho prevedeva uno strano scambio di posizioni tra Mkhitaryan e Rashford (il primo centravanti, il secondo esterno destro) e un triangolo a centrocampo cui spettava il compito di sabotare la costruzione bassa del City: Fellaini marcava a uomo Touré, mentre Herrera schermava De Bruyne supportato alle spalle da Carrick. Tagliate fuori dal gioco le mezzali, la squadra di Guardiola ha da subito faticato a risalire il campo.

Rashford è largo sulla destra, il centravanti lo fa Mkhitaryan. Fellaini marca Touré, Herrera e Carrick schermano il passaggio in diagonale verso De Bruyne.

Pep ci ha però messo poco a leggere la situazione. Prima del decimo minuto il City aveva già invertito il proprio triangolo di centrocampo, che inizialmente prevedeva un pivote (Fernandinho) e due mezzali (Touré e De Bruyne). Touré si è affiancato a Fernandinho per sottrarsi alla marcatura di Fellaini, De Bruyne si è alzato sulla trequarti, muovendosi costantemente in appoggio per creare linee di passaggio che permettessero di entrare nella metà campo dello United. Nel frattempo però Mourinho aveva riportato Rashford al centro dell’attacco e allargato a destra Mkhitaryan.

Touré di fianco a Fernandinho; Rashford e Mkhitaryan si sono scambiati le posizioni.

Il contesto tattico si è così stabilizzato di nuovo. Il City ha preso il controllo del centro del campo, con il quadrilatero formato dai due difensori centrali e i due interni di centrocampo che si occupava di iniziare l’azione, portando palla o tramite una verticalizzazione verso la trequarti. I terzini, che pure rimanevano piuttosto bloccati, alzandosi soltanto quando il pallone aveva già raggiunto l’esterno in zone avanzate, non venivano coinvolti, ma fornivano la copertura necessaria in caso di perdita del pallone. In questo modo Guardiola si proteggeva dall’eventualità di tre frecce come Martial, Rashford e Mkhitaryan in campo aperto contro Kompany e Otamendi: prudenza, anche a costo di rinunciare a un po’ di fluidità di manovra. L’elevato numero di giocatori sotto la linea della palla, infatti, riduceva le soluzioni per avanzare nella metà campo dello United. Con Sané e Sterling molto aperti per allargare la difesa avversaria, toccava a De Bruyne e Agüero farsi trovare ai lati di Carrick per consentire al City di guadagnare metri e innescare la fase di rifinitura. Ma il possesso dei “Citizens” faticava a rendersi pericoloso per l’ottima copertura del centro fornita da Fellaini, Herrera e Carrick, che costringeva la squadra di Guardiola a difficili verticalizzazioni dalla difesa alla trequarti per iniziare l’azione. E pesava anche l’assenza di un giocatore al centro dell’attacco che muovesse la difesa dello United.

Agüero e De Bruyne giocano nei mezzi spazi ai lati dei centrocampisti dello United per far progredire la manovra della propria squadra, ma nel quadrilatero tra Bailly, Blind, Herrera e Carrick non c’è nessuno.

Anche Guardiola sa come difendersi da Mourinho Dal palo colpito a inizio partita da Agüero al tentativo (innocuo) da fuori area di De Bruyne passano più di dieci minuti, durante i quali lo United esegue alla perfezione la prima parte del piano: rendere sterile il possesso del City. La seconda metà – le ripartenze – viene invece sabotata dall’aggressività con cui la squadra di Guardiola gioca ogni fase che non preveda il possesso del pallone. La struttura del City durante lo sviluppo della manovra, oltre a fornire la copertura necessaria in caso di errore, era studiata per avvicinare i difensori a Rashford, Martial e Mkhitaryan: le loro marcature preventive sono state puntuali e molto aggressive (a volte anche oltre i limiti) e hanno bloccato sul nascere qualsiasi tentativo di ripartenza dello United. L’intensità con cui il City ha cercato il recupero della palla, sia nei momenti immediatamente successivi alla perdita del possesso che durante la fase difensiva pura, è stata davvero impressionante. Proprio per questo Mourinho non aveva alcun interesse a iniziare l’azione da dietro o a consolidare il possesso – anche se nell’unica occasione in cui hanno provato a giocare palla a terra i “Red Devils” hanno sfiorato il vantaggio, grazie a un regalo di Bravo in uscita non sfruttato da Mkhitaryan. Esporsi al pressing del City avrebbe sporcato la struttura della sua squadra e aperto gli spazi che Mou si era ostinatamente preoccupato di negare: molto meglio alzare il pallone verso Fellaini o lanciare subito uno tra Mkhitaryan, Rashford e Martial non appena se ne presentasse l’occasione.

Sul rinvio di de Gea il riferimento è ovviamente Fellaini, che si allarga per allontanarsi da Touré e Fernandinho e cerca di smarcarsi tra Sterling e Zabaleta. Martial e Rashford si avvicinano per raccogliere la sponda, Mkhitaryan è pronto a scattare.

Questo tipo di equilibrio, con il City in controllo della palla, ma incapace di creare una quantità soddisfacente di occasioni, e lo United a difendersi in maniera impeccabile, ma senza essere mai in grado di ripartire, si è protratto per tutto il primo tempo. Progressivamente, la squadra di Guardiola si è alzata e ha finito per stabilirsi nella metà campo avversaria. I terzini hanno iniziato a spingersi in avanti con maggiore frequenza, portandosi dietro Martial e Mkhitaryan e consentendo a Sané e Sterling di entrare dentro il campo e complicare le scelte dei giocatori dello United, aumentando le possibilità di passaggio sopra la linea della palla. La squadra di Mourinho non ne ha approfittato per ripartire, ma ha iniziato a tenere di più la palla, per respirare e portare il City fuori dalla propria metà campo. In una di queste occasioni lo United ha conquistato la punizione sulla quale Herrera si è trovato da solo a un paio di metri dalla porta, ma non è riuscito a inquadrarla di testa. È stata la migliore occasione per i “Red Devils”, ma anche la fine della loro produzione offensiva (al 90’ la squadra di Mourinho ha realizzato appena 3 tiri). Attacco contro difesa Nel secondo tempo si è di fatto giocato in una sola metà campo: il City si è alzato occupando meglio tutti i possibili corridoi di passaggio, lo United ha faticato sempre più a tenere la palla per il tempo necessario a ripartire o a riposarsi allontanando i “Citizens” dalla propria area di rigore.

Zabaleta e Sané larghi; Sterling e De Bruyne nei mezzi spazi; Agüero al centro. Il City occupa meglio il campo e schiaccia all’indietro lo United: Martial è costretto ad abbassarsi per seguire Zabaleta, Herrera e Carrick si preoccupano di tagliare i passaggi verso il centro a De Bruyne o Agüero.

Alla fine è stata comunque la difesa dello United ad avere la meglio: il City ha calciato molto (19 tentativi in tutto), ma non è riuscito a sbloccare la situazione, nemmeno quando è stato espulso Fellaini e Mourinho ha definitivamente rinunciato a qualsiasi velleità di tenere il pallone. L’ingresso di Gabriel Jesus ha impegnato immediatamente la difesa dei “Red Devils” (gol annullato per fuorigioco), ma non è bastato per chiudere l’assalto finale con un gol. Il pareggio tutto sommato accontenta entrambe le squadre, che restano dietro al Liverpool, ma con una partita in più da giocare possono ragionevolmente sperare nel sorpasso per chiudere il campionato nelle prime quattro posizioni. Certo, non era il traguardo immaginato a inizio stagione, ma lo scontro diretto ha confermato come City e United siano ancora lontani dall’equilibrio che permetterebbe di allineare i risultati alle aspettative e ai soldi spesi per rinforzare le rose. Cosa ci dice su Guardiola, cosa su Mourinho I piani di entrambi gli allenatori hanno funzionato, ma non nella misura sperata. Guardiola ha controllato senza particolari affanni il pallone, non ha subito ripartenze, ma al prezzo di una manovra più prudente rispetto agli standard cui ci ha abituato. L’elevato numero di giocatori sotto la linea della palla durante la costruzione dal basso, il mancato coinvolgimento di tutti i giocatori nel generare superiorità in ogni zona del campo – niente false posizioni – sono gli indizi di un ammirevole tentativo di adattamento al calcio inglese e ai tanti corridori che lo popolano. Contro lo United, Guardiola ha dovuto affrontare tre schegge come Martial, Rashford e Mkhitaryan: impedire loro di avere la possibilità di correre in campo aperto ha rappresentato una parte fondamentale della strategia per la partita. Ovviamente ciò non significa che il tecnico catalano abbia cambiato la propria filosofia, ma è solo il riconoscimento di un pragmatismo che troppo spesso viene sottovalutato. I concetti del gioco di posizione restano sempre, è il modo in cui vengono portati in campo a cambiare di volta in volta, a dimostrare il continuo adattamento di Pep ai diversi contesti tattici e alle culture calcistiche dei Paesi in cui ha allenato. La ricerca di un punto d’equilibrio è ancora in corso: contro lo United l’attenzione alle ripartenze avversarie ha fatto perdere la profondità necessaria a muovere la difesa e a giocare una fase di possesso di maggiore qualità, delegando gran parte delle responsabilità nell’innesco della fase di rifinitura alle iniziative individuali dei giocatori offensivi (Agüero, De Bruyne, Touré e i due esterni). L’assenza di Silva si è fatta sentire e, più in generale, i lunghi infortuni di Gündogan e Gabriel Jesus hanno privato Guardiola di due pedine molto importanti per rendere più efficace e pericoloso il possesso palla del City. Chiudere bene l’anno, possibilmente al terzo posto, è l’obiettivo da raggiungere nelle prossime partite, per rinvigorire la fiducia in un progetto che ha ancora bisogno di tempo per poter dare i suoi frutti. Mourinho, invece, ha strappato al derby il punto che cercava, specie quando le difficoltà nell’attaccare il City sono emerse in maniera chiara. Il tecnico portoghese ha preparato una partita difensiva perfetta: le coppie sulle fasce (Mkhitaryan e Valencia a destra; Martial e Darmian a sinistra) si sono occupate dei rispettivi avversari (Kolarov e Sané da una parte; Zabaleta e Sterling dall’altra) seguendoli con grande applicazione; al centro Carrick, Herrera e Fellaini hanno ridotto l’impatto sulla partita di De Bruyne e Touré, con marcature dedicate che i due giocatori del City hanno evitato allontanandosi dalla zona chiave al centro del campo – il belga allargandosi sulle fasce, specie quella sinistra; l’ivoriano uscendo dal blocco difensivo per abbassarsi vicino a Fernandinho. Il City era costretto a giocate di grande qualità per risalire il campo (un dribbling degli esterni, una verticalizzazione di De Bruyne, una conduzione di Touré), controllate senza grossi problemi dalla linea difensiva, spesso lasciata dal City senza avversari di cui occuparsi. Certo, non si può trascurare il fatto che lo United abbia tirato soltanto 3 volte in tutta la partita. Le assenze di Pogba, Ibrahimovic e Mata hanno sicuramente ridotto in maniera drastica il potenziale offensivo della squadra di Mourinho, ma è difficile credere che anche con loro in campo l’atteggiamento sarebbe stato poi molto diverso. È il solito scontro di filosofie che si fa particolarmente aspro quando di fronte ci sono Guardiola e Mourinho. Stavolta entrambi si sono dovuti accontentare del premio di consolazione: il 24.esimo risultato utile consecutivo del portoghese non vale infatti il sorpasso in classifica, ma anche lo United ha in mano il proprio destino per giocare la Champions l’anno prossimo, passando dal campionato o dalla vittoria dell’Europa League. Per i traguardi più prestigiosi, anche sull’altra sponda di Manchester, serve ancora del tempo.

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