Essere sopra di 12 punti a 1 minuto e 18 secondi dal termine di uno scontro a eliminazione diretta come una Gara-5 dei playoff di Eurolega, mentre sei ad un passo dalle Final Four, farebbe sentire chiunque in Paradiso. Così come farsi rimontare 10 di quei 12 punti nei 6 secondi successivi, sul proprio campo e da favorita, con in palio l’accesso a un traguardo che manca alla tua società da trent’anni manderebbe nel panico tutti, dal coach al più ottimista dei tifosi. A maggior ragione se negli ultimi 12 secondi che separano dalla sirena finale sono gli avversari ad avere in mano il tuo destino, con una rimessa nella loro metà campo offensiva. Un canestro e pareggiano, o vanno sopra di uno. Senza possibilità di replica.
La partita è Olimpia Milano contro Bayern Monaco. Kyle Hines, il centro dei padroni di casa che per tutta la stagione è stato uno dei fattori più determinanti per la straordinaria annata milanese sia in Italia che in Europa, ha appena commesso due pesanti errori nel parziale che ha ridato speranza ai tedeschi. Un rimbalzo offensivo concesso a Jalen Reynolds poi trasformato in una tripla da Vladimir Lucic (91-82 Olimpia, 1:03) e poi una sanguinosa palla persa sporcata da dietro dallo stesso Reynolds, convertita in due punti facili in contropiede dal Bayern (91-84, 00:45).
Un evento raro, vi direbbero tutti: due errori, uno dopo l’altro, in due possessi così decisivi a questo livello Hines probabilmente non li ha commessi in tutta la sua carriera. Sui social si riaccende un vecchio adagio che Kyle Hines sperava di aver messo a tacere una volta per tutte tanto tempo fa. Ce le ricordiamo ancora alcune delle reazioni alla notizia dell’arrivo del lungo 33enne a Milano nell’estate del 2020: "l’ennesimo veterano bollito"; "una squadra di vecchi, dove vuoi che vadano"; "sì Hines era buono, ma ormai non è più al top, vuoi mettere il giovane Gudaitis che abbiamo appena ceduto ed è un vero centro di ruolo?".
Tanti altri replicavano che con Hines - veterano dalle mille battaglie e saggio uomo-spogliatoio - finalmente ci sarebbe stata la concreta possibilità di farsi valere in Eurolega, competizione ben più tosta e fisica della Serie A dove Milano non aveva una stagione decente dal 2014 (quella di coach Banchi e dei playoff - persi - contro il Maccabi). Ma, al solito, il risultato finale presentava ancora scorie di scetticismo gettate addosso a uno dei pochi giocatori della storia recente del basket europeo che avrebbe invece dovuto essere immune ad ogni tipo di critica.
E, al solito, Kyle Hines non avrebbe battuto ciglio alla richiesta pigra e insolente degli scolari poco attenti alle versioni precedenti dello stesso corso. E per l’ennesima volta il prof avrebbe ripetuto la stessa lezione, nella vana speranza che potesse essere l’ultima.
A 10 secondi dalla fine di Gara-5 e sul 91-89 Olimpia, la palla della famosa rimessa a favore del Bayern entra in campo. La miglior guardia degli ospiti, Wade Baldwin IV, riceve sul lato delle panchine, in angolo e dietro l’arco del tiro da tre. Hines è in area ma sta seguendo Reynolds verso il lato debole, allontanandosi dalla zona pitturata. La testa è girata totalmente verso il lato opposto a quello dove ha ricevuto Baldwin. La schiena, la nuca e le spalle sono rivolte al centro dell’area dove Baldwin - atleta clamoroso - si è ora avventato dopo aver battuto Malcolm Delaney dal palleggio.
Non ci sono chance, anche per un giocatore di alto livello europeo, di poter aiutare su quella penetrazione senza commettere fallo con un intervento tardivo e quindi ai due tiri liberi che concluderebbero la rimonta avversaria.
Non ci sono chance, oppure stiamo tutti compiendo un enorme errore di valutazione. Kyle Hines non è “solo” un giocatore di alto livello europeo; Kyle Hines è una delle ultime vere leggende del nuovo millennio, non a caso inserito nella rosa dei 10 migliori giocatori del decennio 2010-2020 dall’Eurolega. È un fenomeno difensivo con pochi eguali, un giocatore unico, capace di compiere movimenti unici. E ha qualcosa da farsi perdonare.
Da un BigMac all'Eurolega
Le qualità atletiche, fisiche e di intelligenza cestistica di Hines erano state notate nell’estate del 2008 da un allenatore italiano, che aveva fiutato come avrebbero potuto fare al caso suo e di una piccola città della Ciociaria. E così Andrea Trinchieri alla Summer League NBA di 13 anni fa riuscì a risollevare il buon Kyle dalla delusione di non essere stato scelto al Draft offrendogli una cena da McDonald’s a Las Vegas e un buon contratto nella LegaDue nostrana, a Veroli. Momenti che Kyle Hines non ha mai scordato e che ancora oggi conserva con gratitudine nel profondo del cuore: senza "il Trinka", senza i primi due anni a Veroli (il secondo allenato da Massimo Cancellieri), chissà dove sarebbe finito il centrone da sempre etichettato come “underdog”, sottovalutato. Di quello “non all’altezza del livello”, un “pivot-bonsai”.
Un ritornello che ha fatto capolino a ogni tappa: dal triplo salto carpiato dalla LegaDue italiana all’Eurolega con il Bamberg nel 2010 alla vigilia della prima delle due vittoriose campagne europee con l’Olympiacos, l’epitome della squadra sottovalutata ma capace di un back-to-back in Eurolega che ad oggi non si è più ripetuto. E infine durante l’esperienza con il Cska Mosca, con la quale ha conquistato la terza e la quarta Euroleague, consacrandosi definitivamente.
Ma torniamo al Mediolanum Forum. Nel momento di massima difficoltà, con l’Olimpia sull’orlo del baratro psicologico, l’innato istinto difensivo di Hines si mette all’opera al suo meglio e sul più delicato palcoscenico stagionale: la lezione, tanto simbolica quanto decisiva, va in scena nel giro di pochi, lunghissimi secondi.
Baldwin penetra, supera la linea del tiro da tre e punta deciso al ferro: l’obiettivo è, se non un canestro, almeno un fallo per pareggiare dalla lunetta. Hines, che un attimo prima aveva il corpo totalmente girato verso la linea laterale opposta, con un sesto senso e una visione periferica degne di Neo di Matrix si accorge del nemico in arrivo. La reazione è istantanea, la preparazione a quell’attimo è geniale nella sua semplicità: nonostante la torsione del busto verso il lato debole Hines ha tenuto i piedi paralleli alle linee laterali. Il vecchio manuale per le rotazioni difensive è interpretato alla perfezione: in caso di emergenza, lo scivolamento difensivo verso il lato con la palla è garantito.
Le ginocchia sono piegate, i talloni non toccano il parquet, i grossi polpacci d’acciaio assicurano reattività e slancio. Sì, anche a 33 anni. L’avversario arriva sulla linea del tiro libero: Hines con uno scatto felino si butta in mezzo all’area col corpaccione bello dritto e un passo indietro rispetto a Baldwin per evitare un contatto prematuro con le spalle e il conseguente, inevitabile fallo. L’americano del Bayern, invece, si butta verso l’americano dell’Olimpia con un arresto a due tempi.
Ci vuole coraggio per intervenire in modo deciso e legale in un’azione così dinamica: l’attaccante è sempre più protetto del difensore, il margine d’errore è pressoché nullo. Contano esperienza, cuore fermo, preparazione fisica, etica del lavoro assoluta per allenare al meglio la propria reazione a un intervento che durerà poco più di due secondi netti: Kyle Hines è tutto questo. Servono anche doti non insegnabili sul parquet: prendere il ritmo alla penetrazione - prevedere l’ultimo movimento dell’avversario e l’istante esatto del rilascio della palla - o “ballare” sulle punte dei piedi per scivolare il più rapidamente possibile verso destra, sinistra o in arretramento troncando col corpo le linee di palleggio avversarie. Talenti particolari che Hines possiede sin dai tempi della University of North Carolina at Greensboro. Un ateneo piccolo e poco considerato dove Hines trascorse tutti e quattro gli anni canonici in controtendenza con il resto dei giovani colleghi, trasformandosi da liceale sottovalutato a Giocatore dell’Anno della Southern Conference nel 2007 con 20 punti e 9 rimbalzi di media.
Durante quegli ultimi secondi sul 91-89, anche Andrea Trinchieri è a bordocampo come ai vecchi tempi. L’unica, grande differenza è che allena la squadra avversaria. Chissà cosa starà pensando il coach alla vista del suo Baldwin decollare in mezzo all’area dell’Olimpia insieme a Kyle Hines. Non siamo sicuri che la giocata disegnata sulla lavagnetta nell’ultimo timeout preveda uno scontro fisico con il suo ex-condottiero tuttofare dei tempi di Veroli.
Anatomia di una stoppata
Baldwin e Hines saltano all’unisono. Il formidabile petto dell’americano dell’Olimpia smorza l’impeto dell’attaccante a mezz’aria. Le mani di Hines, feroci e implacabili, si chiudono sul pallone. La stoppata è ineluttabile, ma il capolavoro non è ancora finito. Le falangi di "Sir" Kyle, chiamato così per il grado di nobiltà raggiunto a livello europeo, non si staccano dalla palla a spicchi costringendo Baldwin a un atterraggio obbligato, trascinato a terra dalla volontà ferrea di Hines: palla a due.
L’eroismo è duplice. Quando sei alto al massimo 1 metro e 98 centimetri e il tuo ruolo ufficiale è centro hai bisogno di tutti i singoli trucchi che questo sport ammetta per arginare con costanza avversari o molto più alti di te o molto più bassi e rapidi per un’intera partita, per un’intera stagione, per 11 anni di Eurolega o per 9 Final Four (record per un giocatore USA). Di gesti simili Hines ne ha già compiuti a decine: le braccia, lunghissime e forti come tronchi d’albero con due tenaglie al posto delle mani, sono tentacoli micidiali che farebbero invidia a Kawhi Leonard.
Il nonno, che gli aveva fatto trovare una palla ovale e una a spicchi nella culla di ritorno dall’ospedale, e il padre, ex-giocatore di football che l’aveva introdotto alla sala-pesi quando ancora non aveva superato la pubertà, non potrebbero essere più orgogliosi: del figlio, e del suo fisico erculeo e impeccabile di cui Kyle si è sempre preso cura in maniera maniacale. I risultati, a 33 anni, si vedono ancora.
Ettore Messina, con vent’anni di vita appena recuperati, esulta tirando un sospiro di sollievo. Il grande allenatore pluricampione d’Europa l’aveva detto ad inizio stagione: «Abbiamo portato qui Hines (già allenato al Cska nel 2013-14, ndr) perché è il giocatore giusto, un vincente, colui che insieme agli altri veterani ci potrà far fare il vero salto di livello, mantenere la calma nello spogliatoio quando arriveranno i momenti di massima tensione».
Un attestato di stima che arriva sulla scia di quelli di tutti gli altri coach che hanno avuto il piacere di allenarlo, da Dusan Ivkovic, che per primo all’Olympiacos vide in lui un centro titolare nonostante l’altezza, a Georgios Bartzokas, che ne fece uno dei leader dei Reds. Dimitris Itoudis, che lo ha avuto al Cska Mosca dal 2014 al 2020 vincendo con lui e grazie a lui due Euroleague ha detto: «È un ragazzo che non solo ammiro per il modo in cui tratta tutto questo gruppo. Quest'uomo è la mia mano sinistra, la mia mano destra, il mio stomaco, il mio cuore. È un esempio vivente».
Ma rimane ancora un lavoro in sospeso. Il volto di Hines, dopo aver provocato la palla a due con Baldwin, non si è rilassato: c’è da vincere la contesa. Tutti, anche lui, sanno come andrà a finire. Il salto verso l’alto è inesorabile. Il suo trademark, lo slancio da fermo - flettendo le gambe fortissime - è rapido come un razzo e il tempismo che l’ha fatto entrare nella classifica all-time Eurolega per rimbalzi conquistati (1.456, quinto di sempre) lo fa arrivare per primo sulla palla. Non importa che Baldwin sia più basso, quella palla a due in quel momento sarebbe stata sua contro chiunque. Il tocco intelligente verso Shavon Shields - l’altro grande protagonista di Gara-5 per Milano con 34 punti - è il coronamento di tutto il gesto, la ciliegina sulla torta di un’azione che vale una Final Four.
Milano è salva. Hines - polizza assicurativa inestimabile oltre che professionista esemplare - ha fatto ciò che era previsto facesse sin dalla pre-season, difficilissimo per pressione e valore: aiutare l’Olimpia a salire al livello successivo, il più alto. Così è stato e, a fine maggio, venerdì 28 contro il Barcellona, le "Scarpette Rosse" si giocheranno le prime Final Four della loro storia moderna. Dall’altra parte ci saranno Brandon Davies, Nikola Mirotic e Pau Gasol, tre fuoriclasse che hanno segnato la storia del basket europeo, e già si sono intravisti i primi cenni di scoramento del tifoso milanese: riavvolgete il nastro, sbobinate la lezione, Kyle Hines è disposto a ripetere.
L’azione contro Baldwin dura solo quattro secondi ma diventa rapidamente l’highlight dell’anno, oscurando il resto della produzione di "Sir" Kyle: blocchi durissimi e roll magistrali verso il ferro, extra-pass e tagli strategici in attacco per agevolare la circolazione di palla, penetrazioni, rimbalzi, rotazioni salva-vita, tiri dalla media. Pure playmaker in caso di necessità, oltre che monarca assoluto degli intangibles. La sensazione è che sia onnipresente, sempre al posto giusto nel momento giusto. Con lui in campo ti senti al sicuro, protetto, fiducioso, coccolato, e nessun numero potrà mai riassumere questo impatto.
Un normale giorno in ufficio per il numero 42 dall’espressione imperturbabile, un omaggio involontario all’elegante flemma dell’idolo Julius Erving e un tributo voluto, con addosso dai tempi del liceo il numero di maglia che Doctor J in persona gli aveva consigliato dopo averlo conosciuto tramite il fratello del suo coach.
Sì, perché Kyle Hines è e rimane un umile figlio del New Jersey, di Sicklerville, classica small town della provincia americana che lo continua a seguire con entusiasmo anche oltreoceano e dove la sua famiglia è impegnata socialmente con un camp estivo e un’associazione finanziati proprio dal suo cittadino più famoso.
Insomma, Kyle Hines - il più sottovalutato dei Re Mida cestistici, l’americano più vincente della storia dell’Eurolega - sembra proprio non avere alcun lato oscuro, dentro e fuori dal campo. Eppure almeno un difetto lo dovrà pur avere, anche se noi sinceramente non viene in mente nulla, manco a pensarci bene. Solo forse rimane un po’ troppo basso per fare il centro. Ma questa dovreste già averla sentita da qualche parte.