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Kristaps - Il risveglio dei Knicks
15 dic 2015
15 dic 2015
Dopo la peggior stagione della storia della franchigia, New York si è risollevata sulle spalle di un giovane padawan venuto dalla Lettonia. Ascesa e futuro di Kristaps Porzingis.
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Rabbia, paura, violenza: sono loro il lato oscuro.

Veloci ti raggiungono quando combatti.

Se anche una sola volta il sentiero oscuro intraprendi,

per sempre esso dominerà il tuo destino.

Maestro Yoda

Prologo

Kristaps ha solo 6 anni quando la madre lo porta in palestra a Liepaja, città dove è nato e cresciuto, per il suo primo allenamento. È un appuntamento che fa parte del suo corredo genetico, considerando che gli altri quattro membri della famiglia hanno avuto, con fortune alterne, una carriera cestistica. Il padre Talis e il fratello Martins si sono fermati al semi-professionismo, la madre è un ex giocatrice della Nazionale giovanile lettone e Janis, l’altro fratello di 13 anni più grande, è appena partito per iniziare la sua carriera a giro per l’Europa che lo vedrà indossare una quindicina di casacche differenti, compresa quella di Roseto nella C2 italiana.

Janis è il motivo per cui Kristaps si trova in palestra: è l’esempio da seguire, colui che gli trasmetterà tutta la passione verso questo sport, anche a livello culturale. L’allenamento è guidato da Edvins Sprude, ex coach della madre, e non è certo conosciuto per i suoi atteggiamenti amorevoli, nonostante davanti abbia dei bambini che hanno appena iniziato ad andare a scuola. Urla e si arrabbia, è ruvido e mette paura, e infatti il piccolo Kristaps scoppia a piangere, si lamenta perché non conosce le regole e forse nella testa gli passa per un attimo il pensiero di non voler tornare più. Forse. Per un attimo. Torna agli allenamenti successivi e Sprude continua a urlare addosso ai ragazzi, ma stavolta Kris non reagisce, continua a lavorare, mostra una grande tempra. Reagire con carattere a 6 anni non è semplice, ma non sarà certo un episodio isolato nella sua carriera.

Estate del 2010. Kristaps è cresciuto, non solo di età, ma anche in altezza. Ha 15 anni, misura 201 centimetri e coach Sprude lo fa giocare con i ragazzi più grandi, dove rimane comunque un giocatore difficile da marcare e da superare in difesa a causa delle leve da airone che si ritrova, nonostante pesi poco più di 70 chili. Uno scout lettone decide di distribuire in giro per l’Europa alcuni video che mostrano il suo grande talento: il primo club a farsi vivo e a offrirgli un provino è il Baloncesto Sevilla, che nel giro di poco tempo decide di fargli firmare un contratto e portarlo subito in Spagna.

A 15 anni il cambiamento è notevole, ma Kristaps è ben preparato ad affrontarlo, grazie ai genitori che già in tenera età lo affidano a un tutor per imparare la lingua inglese. Ad aiutarlo ad ambientarsi nel primo periodo c’è sempre il fratello Janis, che però non può far niente quando il ragazzo fatica a stare in campo. Kris si sente debole, stanco, nonostante i pochi minuti sul parquet: carenza di globuli rossi, anemia.

Il club andaluso corre subito ai ripari e lo affianca a una nutrizionista, non ha fretta nell’aspettare un prospetto del genere, a patto che lui resista a un periodo già difficile di ambientamento restando lontano dal parquet. E se togli il basket a Kristaps—che a Liepaja passava il suo tempo libero in campo, e non solo a tirare a canestro—è come se gli togliessi un pezzo di vita. Quando torna a casa dopo pochi mesi per le feste natalizie inizia a riflettere sulla possibilità di non tornare in Spagna. Ancora una volta il pensiero lo sfiora solo per un attimo, ma gli basta il tempo di rimettere in ordine le idee e, soprattutto, il via libera per tornare ad allenarsi per trovare il modo per adattarsi anche al nuovo stile di vita. Grazie al rettangolo di gioco, of course.

Nel giro di tre anni, oltre ad alzare numerosi trofei a livello giovanile, diventerà parte integrante del roster della prima squadra, una delle migliori della ACB, e prenoterà un biglietto di sola andata verso gli USA. Non ci vuole molto per capire che la testa del ragazzo ha sempre viaggiato sui binari giusti. Certo, problemi del genere paragonati a quelli di altri giocatori arrivati da situazioni ben più tragiche, pericolose e faticose sono niente. Ma in certi casi, per combattere un’entità imponente che va oltre il semplice gioco, hai bisogno di una mentalità che ti permetta di non superare quella pericolosa linea che porta a lottare esclusivamente per te stesso, spinto dalla voglia di vendetta e rivalsa sulla vita.

E così come succede al giovane Luke Skywalker nella Trilogia Originale di Star Wars, a 19 anni Kristaps Porzingis si trova catapultato in un confronto dove ne potrà uscire da vincitore solo mantenendo quei nervi saldi che ha mostrato in più occasioni nella sua vita. Come quando il Lato Oscuro si è materializzato la prima volta dinanzi a lui.

Il Lato Oscuro di New York

Nei miei 31 anni di vita ho avuto a che fare direttamente con New York in due modi. L’ho vissuta da turista per tre volte e in ognuna di queste sono rimasto impressionato dall’accoglienza naturale di una città che chiede di essere visitata, un coacervo di culture, accenti e stili e una strana familiarità con i luoghi grazie a quanto assimilato da musica, televisione e cinema. Una sensazione che a causa del limitato tempo a disposizione può essere di facciata, se pensiamo al caos continuo che la avvolge—ma difficilmente ho visto tornare una persona delusa dopo averla visitata.

L’altro aspetto che mi ha sempre interessato è ovviamente quello sportivo e anche qui il coinvolgimento è totale, ma in un senso totalmente contrapposto. Trovo incredibile il grado di autolesionismo che circonda le franchigie newyorchesi di qualsiasi sport: tifosi e media che sembrano soffrire di disturbi dissociativi d’identità, capaci di toccare picchi di euforia totale, ma sempre pronti a sprofondare nella peggiore depressione sportiva nel momento in cui la prima cosa va storta.

Va detto che nel caso dei New York Knicks, alcune di queste reazioni sono comprensibili—soprattutto quando a gestire le manovre della franchigia ci pensavano in prima persona i signori Isiah Thomas e James Dolan—ma comunque la totale carenza di scale di grigio tra il bianco e nero è sempre stata una costante. Basti pensare al trattamento riservato a Jeremy Lin quando è tornato qualche settimana fa al Madison con la maglia di Charlotte, fischiato e offeso sin dal momento in cui il suo nome è stato pronunciato dallo speaker, dimenticando quel pazzo momento di 3 anni fa in cui era stato insignito—in maniera spettacolare e precipitosa, as usual—del ruolo di Salvatore Della Patria.

Uno degli apici di questa schizofrenia ha avuto luogo il 25 giugno scorso al Barclays Center, casa dei cugini dei Nets e sede del Draft NBA da ormai due anni. I Knicks hanno la quarta scelta assoluta e dopo che i Lakers decidono di puntare su D’Angelo Russell con la 2, assaporano la possibilità di vedersi materializzato Jahlil Okafor, un centro puro uscito da un college prestigioso come Duke con un titolo NCAA conquistato in diretta mondiale.

Lui è il sogno dei tifosi blu-arancio. L’esaltazione dura 5 minuti, giusto il tempo della scelta di Philly che fa di Okafor un nuovo capitolo del #TrustTheProcess di Sam Hinkie. Il passaggio alla depressione avviene altri 5 minuti dopo: il front office newyorchese sceglie di puntare su un lungagnone lettone di 2.16 bianco come il latte, tale Kristaps Porzingis, e per i tifosi presenti evidentemente non è la decisione giusta. Il classico muro di fischi e boo si alza dalla platea nel momento in cui il nostro va a stringere la mano ad Adam Silver. Passa subito alla storia la scena del bambino di neanche 10 anni che si fotografa mentre piange a causa della chiamata del lettone, nonostante probabilmente non sappia neanche chi sia.

Chiaro esempio di “bad parenting".

La colpa di Kristaps è quella di essere europeo e di conseguenza etichettato soft (e i Knicks sono appena reduci dalla Andrea-Bargnani-Experience), viene fatto passare per Man of the Mistery del Draft a dispetto dei 1000 e passa minuti giocati tra ACB spagnola ed Eurocup.

Eccolo l’impatto con il Lato Oscuro, diretto e inesorabile. È un colpo duro che però sembra colpire tutta l’attenzione mondiale tranne quella di Kristaps, che nella sua prima apparizione ai microfoni come membro dei Knicks giustifica tale reazione: «Credo sia normale, in quanto americani conoscono meglio i giocatori del college. Probabilmente pensano che in quanto europeo sia soft, un bust… beh, io sono diverso, amo questo gioco e non vedo l’ora di giocare nella migliore lega del mondo». Poco dopo rincara la dose: «La mia intenzione è quella di trasformare i boo in applausi e dovrò dare tutto per far sì che avvenga. Sono felice di far parte dei Knicks e so che i tifosi sono molto esigenti, ma credo di essere pronto». Il tutto parlando con un inglese fluente, forse anche migliore di altri coetanei madrelingua. È veramente diverso e non ci mette molto per dimostrarlo.

La Forza scorre potente in lui

Già pochi giorni dopo, a Las Vegas, iniziano a esserci i primi sentori che forse—ma forse eh—quei fischi al Braclays Center sono stati un po’ troppo prematuri e ingenerosi. Nella prima partita della Summer League i Knicks affrontano la Philly di Okafor e il confronto tra i due rookie è diretto, si marcano sin dal primo minuto. Nella prima parte di gara il prodotto di Duke prende vantaggio sfruttando la maggior stazza e forza fisica, portandolo in profondità in post per poi tagliarlo fuori a suon di culate. Ma con il passare dei minuti si vede che l’approccio di Kristaps nei confronti del suo diretto avversario cambia gradualmente e nel finale inizia ad anticipargli le mosse, gli nega facili passaggi nei pressi del canestro e quando riesce a ricevere invece di subire i contatti, lo porta a scegliere la conclusione più difficile, oscurandogli la luce con quell’apertura alare infinita.

New York riesce a vincere una partita dal valore insignificante, ma intanto Kristaps ne esce vincitore in maniera totalmente inattesa.

Nel momento in cui il suo nome ha iniziato a girare per i taccuini dei vari scout NBA, probabilmente la prima cosa che saltava all’occhio era il modo in cui veniva evidenziata la definizione “lights-out shooter”—il che, per un prospetto che si aggirava sui 215 centimetri (ora più intorno ai 220) lo rendeva già di per sé qualcosa di imperdibile. Quello che però da fuori si valutava in maniera un po’ più superficiale era la totale dedizione che ha verso la pallacanestro, la sua dimensione di studioso del gioco e appassionato dello sport 24/7, sin nelle sue più minuziose sfumature tecnico-tattiche.

Ed è grazie alla sua continua voglia di migliorarsi e di lavorare che Kristaps si è presentato fin dalla prima partita NBA con caratteristiche ben più adattabili al gioco che andava ad affrontare: ci si aspettava un ibrido tra i ruoli di 4 e 5 che nelle prime partite della carriera doveva allargare il campo grazie al tiro e cercare di fare meno danni possibili in difesa; invece ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di giocatore, non atipico, ma anomalo—un 4 capace di dare un contributo solido sin da subito grazie a un mix inedito di stazza e mobilità, costantemente pericoloso a rimbalzo offensivo e con una spiccata personalità che non lo porta mai a tremare quando ha la palla in mano.

Sarebbe troppo semplice parlare di come Porzingis ha conquistato i tifosi grazie alle già famose putback dunks, diventate in poco tempo una sorta di signature move a cui anche veterani come LaMarcus Aldridge, Kevin Love, Greg Monroe e tutta la difesa dei Raptors si sono dovuti inchinare. Piuttosto, quello che lo ha reso il nuovo idolo del Madison Square Garden è la totale fiducia con cui affronta ogni sfida a viso aperto, un atteggiamento che solitamente è accompagnato a braccetto da una sorta di egoismo, e invece tutte le volte che agisce sembra lo faccia sempre nell’interesse della squadra.

La dimostrazione la si ha nelle cifre. In 25 partite sta registrando medie da 13.6 punti e 8.6 rimbalzi e già 10 doppie doppie all’attivo, cifre di tutto rispetto per un rookie, ma che vengono ulteriormente rafforzate quando si va a vedere l’influenza che ha sulla squadra, soprattutto sui 5 punti di differenziale su 100 possessi (che ha toccato anche i 12.7 punti a fine novembre) e il 5% in più nel conto dei rimbalzi offensivi quando lui è in campo.

Tra i tanti endorsement ricevuti, quello di Dirk Nowitzki è forse il più importante: «È molto meglio di quanto io fossi a 20 anni».

Tutto quello che fa Porzingis rende i Knicks una squadra migliore e questa ventata di freschezza ha coinvolto chiunque graviti nella sua orbita—anche chi solitamente non è mai stato dipinto come un grande teammate in passato.

Il feeling con (Han) Melo

Un’altra grande qualità mostrata dal lettone nella sua breve esperienza è stata la velocità con cui si è adattato al suo nuovo stile di vita oltreoceano. È vero che la cultura americana è sempre stata ben coltivata nella sua testa, grazie al fratello Janis che lo svegliava a notte fonda per vedere le partite NBA e la voglia di emulare i suoi miti, come dimostra questa foto che a 10 anni lo ritrae con le treccine a là Allen Iverson. Ed è anche vero che una situazione del genere l’aveva già vissuta in passato con il passaggio da Liepaja a Siviglia. Ma è impressionante notare come si sia inserito perfettamente in un contesto così differente in un lasso di tempo veramente minuscolo.

Il suo ingresso all’interno della squadra ha avuto tempi di ambientamento altrettanto veloci e tra i giocatori che sembrano essere più in sintonia con lui c’è Carmelo Anthony, che in questa trasposizione del lettone in versione Skywalker sembra incarnare il ruolo di Han Solo. Le similitudini sono immediate: come il comandante del Millennium Falcon con il giovane Jedi, Melo va oltre a un iniziale pregiudizio per scoprire gradualmente il compagno ideale per redimersi da una vita sempre incentrata sull’immagine di sé stesso—almeno di facciata—trovandosi accanto una figura che non minaccia il suo status (Lin? Stoudemire?), ma che lo aiuta a capire il valore di avere un valido aiuto al fianco di ogni battaglia. Anche qui l’influenza di Kristaps la si ritrova nei numeri: quando giocano insieme, Melo tira con il 49% di percentuale effettiva, mentre senza di lui cala a un orrido 37%, con un notevole crollo oltre l’arco dei 7.25—dal 40% al 19%. Il differenziale netto cala da un decente +1.2 a un incredibile -14.2, con un peggioramento soprattutto in difesa (da 100 a 111).

In questo modo Kristaps si è guadagnato un posto a tavola a casa Anthony, ma la cosa più bella è vedere la sintonia tra i due in campo, che non possono fare a meno di sostenersi l’un l’altro come dimostrato in molte occasioni.

Love is in the air.

Rotta su Dagobah

Nonostante in queste settimane l’euforia sia salita alle stelle, il percorso di Porzingis e dei Knicks rimane lungo e tortuoso, come dimostra anche il record di 11-14 nel momento in cui scriviamo. Un sensibile miglioramento rispetto allo scorso anno, certo, ma che lascia ancora ampi margini su cui poter lavorare per poter tornare ai playoff. E quando si parla di margini è impossibile non prendere in esame quello che in futuro potrà diventare Porzingis, che rimane ancora un giocatore nella fase embrionale della sua crescita tecnica, anche se ben nascosta da una prontezza mentale tale da renderlo ai nostri occhi ben più maturo rispetto ai 20 anni dichiarati sulla sua carta d’identità.

L’aspetto su cui c’è maggiore attesa è come riuscirà a rendere profittevoli le grandi capacità balistiche di cui dispone. Il 35% dall’arco non è una brutta percentuale per un esordiente, ma decisamente non sembra all’altezza di uno che ha varcato l’oceano con la nomea di tiratore sui-generis, dotato della rara capacità di poter tirare sopra la testa di chiunque. Molto di questa crescita passa dallo stile di gioco scelto da coach Derek Fisher che, seguendo i precetti del Triangolo, non permette di creare grandi spaziature in attacco. Di questo ne risente molto anche il lettone, che non trova spazio per tirare con il giusto ritmo, segnalando inoltre grandi difficoltà nelle conclusioni nei pressi del canestro che non arrivino da rimbalzo offensivo, dove il suo telaio ancora esile non gli permette di assorbire al meglio i contatti. Il 58% al ferro per un giocatore così alto non è il massimo, nonostante il suo ruolo lo porti molte volte lontano da canestro. Va ancora peggio in post, dove i punti per possesso scendono a 0.67 per SynergySports.

Anche in difesa i margini di crescita sono incredibilmente ampi. In questo scorcio di stagione Kristaps ha stupito per la possibilità di poter combinare i 221 centimetri di altezza ai 230 di apertura alare e a una velocità di piedi sorprendente in relazione alla stazza, e questa singolarità si ritrova nelle quasi 2 stoppate di media e nel 47.2% che concede al ferro (27° tra i 57 giocatori che affrontano almeno 6 tiri a partita). Ma l’adattamento ad attacchi sempre più fisici e veloci è appena iniziato, infatti ha ancora dei buchi di concentrazione all’interno della partita, che causano posizionamenti sbagliati e una propensione al fallo che deve assolutamente diminuire, visto che è 5° nella Lega per falli su 48 minuti con 5.4.

Un crossover a 220 centimetri d’altezza.

Qualora riuscisse a sopperire anche solo a una parte di questi limiti, Porzingis rischia di diventare la cosa più vicina a quei giocatori che in adolescenza creavamo per divertirci in NBA 2K o NBA Live, con le massime dimensioni possibili e tutti i valori intorno al 90. È una previsione irrealistica, ma che fa capire come il progetto-Porzingis possa veramente cambiare e sovvertire le sorti della storia dei New York Knicks. Sempre ricordandosi di non cadere mai in quel Lato Oscuro che troppe volte a NY ha portato a sgretolare tutti i migliori auspici.

Ma Kristaps lo ha detto fin dall’inizio di essere pronto a una sfida del genere, con una sicurezza che si è sempre tenuta nei canoni dell’umiltà. D’altronde, se c’è una cosa che George Lucas ci ha insegnato con la saga di Star Wars è che la predestinazione non sta tanto nel fato della singola persona, ma nella comprensione del ruolo che essa deve svolgere per la salvezza di un mondo compromesso da troppo tempo. E Kristaps Porzingis il suo ruolo sembra averlo già compreso.

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