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Kingsley Coman è in uno stato di grazia
23 ott 2020
23 ott 2020
E contro l'Atletico Madrid lo ha confermato.
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Se l’avete visto in diretta, non lo avete dimenticato. Al ventisettesimo del primo tempo di Bayern Monaco-Tottenham, Champions League 2019-20, lo scorso dicembre, Kingsley Coman recupera una palla sulla fascia sinistra, scarica al centro e scatta in profondità. Philippe Coutinho lancia in diagonale, la palla è leggermente lunga e schizza quando tocca terra, Coman la raggiunge un attimo prima che superi la linea del fallo laterale e la controlla a mezz’aria con l’interno del piede sinistro. Quando però rimette il piede a terra la gamba gli si blocca, diventa una leva, una canna di bambù che si piega all’indietro in iperestensione e lo fa saltare in aria come se... come se una microcarica esplosiva gli avesse fatto esplodere il ginocchio. Se l’avete visto in diretta, e conoscevate la storia degli infortuni di Kinglsey Coman, vi siete chiesti: “E ora che succede?”.

 

Quasi esattamente un anno prima Kinglsey Coman aveva detto, in un’intervista a «TF1», che non avrebbe sopportato una terza operazione alla caviglia. Dopo i due infortuni consecutivi che gli avevano fatto saltare la fine della stagione precedente e l’inizio di quella in corso, più o meno sette mesi in tutto il 2018 (compreso il Mondiale che avrebbe potuto vincere con la Francia e invece ha guardato da spettatore), sarebbe stato troppo. «Magari il mio piede non è all’altezza», ha detto. «A quel punto cambierei vita». Aveva ventidue anni e la sua stava per diventare una delle tante storie drammatiche di talenti fragili di cui è pieno il calcio. Che è come dire che Kingsley Coman – chiamato così in onore di un migrante africano che viaggiava clandestino su una nave e che i marinai hanno gettato a mare, una storia che

, originario della Guadalupa, commuovendosi – stava per diventare uno stereotipo vivente. E poi che è successo?

 

A quanto pare, nonostante la mostruosità di quelle immagini, l’infortunio di Coman con il Tottenham è stato meno grave di quello che sarebbe potuto essere.“King” - come lo chiamavano da piccolo - deve persino considerarsi

ad essersi solo strappato la capsula del ginocchio, stirato il bicipite femorale e contuso le ossa facendole scontrare tra di loro

Alla fine è stato fuori appena due mesi e (dopo qualche altro piccolo infortunio muscolare e la sospensione dovuta alla prima ondata pandemica di Covid-19) ha avuto persino diritto al lieto fine perfetto, con il gol di testa che ha deciso la scorsa finale di Champions League, contro il PSG, suo club formatore.

 

«È uno dei giorni più belli della mia vita, dal punto di vista calcistico. Detto questo, sono anche triste». A fine partita aveva sentimenti misti, speculari a quelli della gente di Moissy, comune a Sud di Parigi dove è cresciuto. Un certo Joseph tredicenne ha detto al «

» il giorno dopo: «Mi ha fatto piangere, era il solo trofeo che ci mancava e pensavo fosse l’anno buono. Però è bello che abbia segnato Kingsley. Ci rappresenta bene, per noi è un esempio».

 




 

Contro l’Atletico Madrid del “Cholo” Simeone, Coman ha iniziato la Champions League come aveva finito quella precedente. In uno stato di grazia che, nel suo caso, significa la capacità di trasformare ogni palla che gli arriva in un piccolo “ruba bandiera” con il terzino avversario. Un gioco nel gioco (un po’ come quando alla Playstation puoi fermarti a pescare mentre devi risolvere la trama o stai scappando dai nemici) in cui la sola cosa che contano sono i riflessi, la reattività e l’esplosività.

 

E dire che Kieran Trippier, velocissimo come quasi tutti i terzini inglesi (e che, ho scoperto ascoltando la cronaca, a Madrid chiamano “Rooney”, per colpa di Diego Costa che evidentemente non ha solo l’aria del bullo che ti affibbia nomignoli antipatici) è stato particolarmente concentrato, incollato con il proprio bacino a quello di Coman come se stessero ballando un tango. Dopo cinque minuti di gioco Trippier arriva leggermente in ritardo, una frazione di secondo dopo il tocco di Coman verso l’interno del campo, che gli permette di girarsi e partirgli alle spalle. Quando arriva a tutta velocità il raddoppio di Marco Llorente, Coman ha già crossato di sinistro per Lewandoski, che sul secondo palo calcia al volo, saltando, e per poco non segna il gol del vantaggio.

 

Sia a destra che a sinistra, Coman costringe i terzini a giocare sulle punte, sempre pronti a ingaggiare un duello di velocità pura, senza dirgli prima in che direzione si svolgerà la corsa, però. Se poi il terzino è reattivo e attento, come è stato Trippier per quasi tutta la partita di mercoledì, Coman si ferma e torna indietro. Ma è difficile tenere il suo livello di concentrazione per novanta minuti, capiterà prima o poi un momento di rilassatezza, o distrazione, o un momento in cui semplicemente Coman muove le proprie gambe troppo velocemente.

 

Durante la finale con il PSG

(un difensore tedesco in una squadra francese, contro un attaccante francese in una squadra tedesca) ha subìto un tunnel brutale mentre provava a rinviare una palla che Coman aveva stoppato sulla riga di fondo: con un movimento unico, Kingsley ha controllato la palla di sinistro spostando la gamba destra dietro la palla, per toccarla di esterno, il suo corpo è oscillato come un pendolo che si blocca nel punto più lontano dal centro e poi torna indietro con la stessa naturalezza. A volte si direbbe che per Coman non c'è differenza tra correre dritto o a zig-zag: magari non è il calciatore più veloce in assoluto, non raggiunge i picchi di Mbappé o Hakimi, ma sarei curioso di vederli competere in una specie di slalom.

 




 

Contro l’Atletico, proprio quando sembrava che Trippier gli avesse preso le misure, sempre basso sulle gambe con lo sguardo fisso sulla palla di un cane attento a non cadere nelle finte del padrone, Coman ha segnato il gol del vantaggio. Un attimo prima, uno contro uno sul lato corto dell’area di rigore, aveva passato la palla indietro, rispettando appunto la concentrazione di Trippier, ma un paio di secondi dopo, appena la linea dell’Atletico si è alzata di qualche metro, è scattato in profondità prendendo quel secondo, quei due secondi di vantaggio che lo hanno reso imprendibile. Kimmich ha tagliato l’aria sopra le teste della difesa madridista e lo ha pescato al centro dell’area: controllo di sinistro e piatto destro sul lato di porta scoperto.

 

Ma il gol che racconta meglio il suo talento è il quarto, in cui Thomas Mueller lo lancia con una palla filtrante dall'interno della propria metà campo difensiva, e Coman si mangia quella offensiva con un paio di tocchi. Quando Felipe lo recupera, sterza verso il centro, con il tacco, con quella che qualche anno fa era la signature move di Cristiano Ronaldo e che oggi probabilmente gli esterni d'attacco imparano a fare appena iniziano a camminare, con ancora il pannolino. A quel punto potrebbe tirare di sinistro, sarebbe la cosa più normale da fare, dopo una corsa di cinquanta metri al settantesimo. Invece Coman ha ancora l'energia e l'elasticità per tornare sul destro, dribblando Felipe che a quel punto può solo provare a intercettare la palla (sfiorandola). E qui arriva il tocco

, quello che davvero oltre a Coman possono permettersi in pochissimi: il controllo di destro che serve a mettere il corpo tra la palla e Koke, che lo sta recuperando da dietro, non velocissimo a dir la verità. A quel punto l'angolo è strettissimo, Coman è a un paio di metri dal portiere è ha un equilibrio precario, ma trova comunque la linea di tiro sul secondo palo, con l'interno destro.

 

È miracoloso che dopo essersi rotto due volte i legamenti della caviglia ed essere andato molto vicino a rompersi quelli del ginocchio, Coman conservi questa brillantezza, che il suo gioco sia ancora un continuo di cambi di direzione, di accelerazioni brucianti e linee spezzate. La sua creatività nasce - deriva - dall’intensità. È nella quantità di corse che ingaggia con i terzini che trova l’occasione giusta, la sua fantasia è una forma particolare di improvvisazione. Anche se il suo controllo in velocità non è secondo a quello di nessun altro esterno d’attacco, e in generale la tecnica nello stretto gli permetterebbe di giocare anche a velocità inferiori, quello che rende Coman uno dei giocatori più rappresentativi del calcio d’élite di questi anni è proprio la capacità di sopravvivere e adattarsi al caos, piuttosto che provare a mettere ordine.

 

Quando non sta bene, vedere un giocatore come Coman può essere un’esperienza frustante. Ma quando sta bene, come in questo momento, sembra di vedere uno sport totalmente diverso da quello giocato da, mettiamo, Thomas Muller o Luis Suarez (due giocatori diversi, a loro modo magnifici). Ma anche Douglas Costa, che è altrettanto veloce, dà l’impressione di giocare su un limite estremo anche per lui. Si percepisce la sensazione di velocità, Coman invece sembra giocare perfettamente a suo agio e in controllo a velocità inimmaginabili per gli altri giocatori in campo. In parte dipende dal fatto che ricevendo in ampiezza spesso ha spesso il tempo di stoppare la palla, con al massimo un uomo a cui stare attento alle spalle; e magari anche dal fatto che le sue corse non sono mai dritte né precipitose, che non ha fretta di andare in porta, di concludere l’azione (come un centravanti, e in questo senso meno male che si è sviluppato al Bayern, istituzione europea del gioco in ampiezza con ali dribblomani). Non c’è ansia nel suo gioco, ecco, piuttosto quel leggero divertimento che ci accompagna quando stiamo facendo qualcosa che ci riesce bene.

 

Adesso Coman, a ventiquattro anni, ha davanti una stagione in cui il Bayern di Monaco dovrà riconfermarsi come migliore squadra tedesca e europea (al momento non è prima neanche in Bundes) ricostruendosi al tempo stesso, gettando le basi per i propri successi futuri puntando su giocatori giovani come Leroy Sané, Gnabry, Joshua Kimmich, Alphonso Davies. Oltre a Coman, ovviamente, che forse se paragonato ai primi due, suoi compagni/competitor per un posto sull'esterno, è il più maturo, il più sicuro del proprio gioco. Alla fine della stagione lo aspetta, se tutto va bene, un Europeo in cui la Francia potrà essere nuovamente protagonista.

 

«Cosa possiamo augurarti?», gli chiedevano in quella famosa intervista di due anni fa in cui aveva contemplato la possibilità di cambiare lavoro. «La salute», ha detto lui. Una risposta valida ancora oggi. A parte gli infortuni, non sembrano esserci molte altre cose in grado di fermarlo.

 

 

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