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Cos'è e come funziona la Kings League di Piqué
20 gen 2023
20 gen 2023
Molto più di un semplice torneo di calcio a 7.
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Magari pensate che la vita di Gerard Piqué sia diventata miserabile dopo aver dovuto lasciare il Barcellona; o magari perché non riesce neanche a mettersi sotto contratto con la sua squadra, l’FC Andorra che gioca in Segunda Division, a causa dei regolamenti del calcio spagnolo che gli impediscono di pagarsi lo stipendio che dovrebbe spettargli; o ancora peggio, magari perché la sua ex compagna Shakira ha appena fatto uscire una canzone in cui gliene dice di tutti i colori (e questa canzone sta diventando una delle più ascoltate di sempre). Eppure, invece, la vita di Piqué va a gonfie vele perché può fare cose come organizzare un torneo di calcio come fosse un incrocio tra FIFA ‘98 e un film di Terry Gilliam.

La Kings League è un campionato di calcio a sette solo apparentemente simile a quelli in cui giocate il giovedì sera. Le squadre, 12 in totale, hanno nomi come Porcinos FC, Saiyans FC, El Barrio e si stanno affrontando in un girone all’italiana per decidere le prime otto classificate, che poi faranno i playoff. Fin qui, niente di nuovo. I loro presidenti e direttori tecnici, però, sono famosi streamer spagnoli o personalità del mondo del calcio. Gli 1K, ad esempio, fanno capo a Iker Casillas; i Kunisports, magari l’avete intuito, al Kun Aguero. Per il resto i presidenti sono streamer e influencer, nomi come Ibai Llanos, DjMaRiio, TheGrefg, Spursito, ma c'è anche Gerard Romero, storico giornalista che segue i fatti del Barcellona.

Ogni squadra prevede 12 posti nel roster, di cui 10 fissi e due wild card che possono essere occupate solo da giocatori professionisti: il calciatore 11 è fisso per tutta la stagione, mentre il 12 può cambiare di giornata in giornata. È in questo cortocircuito, professionisti che vanno a disputare un torneo amatoriale, che la Kings League sta proliferando. È il caso del successo di Enigma 69: un calciatore degli Xbuyer che si è presentato alla partita indossando una maschera del wrestling messicano per nascondere la sua vera identità perché, a quanto pare, presente contro la volontà del suo club (che sarebbe una squadra di Liga).

Ovviamente si è scatenata la fantasia di tutti. Il Telegraphha puntato il dito verso Cristiano Ronaldo, così, per ridere; qualcuno ha pensato invece a Robert Lewandowski, squalificato fino al 23 gennaio ma smanioso di giocare. I sospettati maggiori però sono stati Isco, che si è appena svincolato dal Siviglia; Denis Suarez, che però ha smentito (se ci pensate, è proprio quello che farebbe il colpevole) e Nano Mesa, l’ipotesi più probabile. Svincolato dal Cadice in estate, sarebbe stato riconosciuto da un tatuaggio spuntato dal collo nonostante la copertura e smascherato da una frase pronunciata dai Ibai Llanos, lo streamer più seguito di Spagna e socio di Piquè, durante una diretta.

Insomma, la Kings League per far parlare di sé ha ribaltato l’assunto dello sport come lo intendiamo: per farne un evento seguito e (soprattutto) chiacchierato non è importante avere il nome altisonante, l’atleta che vende i biglietti, ma l’esatto contrario: nasconderne l’identità. Questo perché parlare dellaKings League è più importante che vedere la Kings League. E perciò molto spazio è dato agli esperimenti, come il calcio d’inizio stile pallanuoto, con i giocatori che partono dalla linea di fondo per arrivare sul pallone messo al centro del campo; oppure i rigori trasformati in una versione più in piccolo degli shoot out, il VAR a chiamata e - questa sì che è strana - la possibilità di usare fino a 5 “carte jolly” per condizionare l’andamento della partita, ad esempio costringendo la squadra avversaria a giocare con un giocatore in meno per alcuni minuti o ottenendo un rigore a favore.

Tutte regole votate dal pubblico a casa, che in una grande operazione di gamification di un qualcosa che sarebbe già un gioco è chiamato a partecipare, commentare, indovinare, partecipare alla versione fantacalcio, addirittura scommettere.

Prima dell’ultimo turno, ad esempio, una nuova presenza misteriosa è stata portata al centro del campo, vestita da clown (per rispondere alla dichiarazione del presidente della Liga Tebas secondo cui la Kings League «è un circo»), con alcuni indizi per scoprire chi era il prossimo calciatore famoso presente (Ha giocato in un Mondiale, in una semifinale di Champions, è latinoamericano).

Al momento della rivelazione del giocatore-clown la diretta ha toccato il suo picco di ascolti, con quasi 1 milione e 400 mila persone collegate tra Twitch, Youtube e Tik-Tok. Alla fine era il Kun Aguero, ovvero il presidente della squadra. Un colpo di scena un po’ mesto che però ci ha permesso di rivedere in campo uno dei migliori attaccanti di questo millennio, autore anche di un gol per la sua squadra, festeggiato con le mani intorno all’orecchio, come Messi con l’Olanda, che a sua volta imitava Riquelme.

I calciatori della Kings League sono stati scelti con delle selezioni seguite in diretta da oltre 400 mila persone. Si sono presentati in 13 mila, ne sono rimasti 120. Sono giovani rampanti arrivati dalle leghe minori catalane a cui si aggiunge qualche vecchia volpe di categorie più alte del calcio spagnolo. I nomi conosciuti anche al grande pubblico sono pochi: la prima giornata ha visto la partecipazione del Chicharito Hernandez, a cui i Los Angeles Galaxy hanno concesso una singola presenza; poco dopo era stato il turno di Javier Saviola, capello brizzolato e denti meno coniglieschi di un tempo, ha anche sbagliato un rigore.

Tra i più presenti ci sono Jonathan Soriano, leggenda del Red Bull Salisburgo prima che diventasse hipster (la sua maglia 26 è stata ritirata); Joan Verdú (anche 5 presenze con la Fiorentina spagnoleggiante di Paulo Sousa) e Didac Vila, vecchia conoscenza dei tifosi milanisti dove passò come meteora (ma vincendo uno Scudetto).

La non proprio leggendaria apparizione del Chicharito.

Ogni giocatore è pagato 70 euro a partita, indifferentemente dalla squadra in cui gioca. A occuparsi dei compensi è la Kosmos, la società di Piqué che organizza il torneo e il cui claim è “Creando il futuro dello sport e dell’intrattenimento”. Diverso è per il compenso del giocatore speciale, il dodicesimo, il cui gettone viene pagato dalla squadra, ma può essere anche zero, come nel caso di Joan Capdevila, campione del Mondo e oggi calciatore della Kings League.

Le partite si svolgono tutte di domenica, una in fila all’altra, dalle 16 in poi, giusto per occupare tutto il pomeriggio e tirare la volata all’After Kings, ovvero il momento serale in cui Piqué e i suoi amici ex calciatori e streamer si riuniscono tutti insieme per discutere delle partite, ma anche del mondo in generale, dei fatti loro (non a caso, negli ultimi giorni, si è parlato molto di Casio e Twingo). L’ultima bomba lanciata da Piquè, in una delle migliaia di live, è che la Kings League potrebbe volare a El Salvador per alcune amichevoli prestagionali. Il calciatore spagnolo sarebbe personalmente in contatto con il presidente del paese centroamericano Nayib Bukele, salito agli onori della cronaca per atteggiamenti tra il dittatoriale e il millennial, come la scelta di adottare le criptovalute come moneta ufficiale di El Salvador.

Insomma, Piquè non è nuovo a queste operazioni - l’anno scorso organizzò i mondiali di Palloncino, un gioco diventato virale sui social durante il lockdown -, ha presentato la Kings League come «una rivoluzione nel mondo del calcio». In realtà in tutto questo, il calcio sembra appena una piccola parte. Dopo i gol, la regia stacca sulle reazioni dei presidenti/streamer nelle loro stanzette piuttosto che soffermarsi sui calciatori e la loro esultanza, come nella classica prossemica dello sport. La capacità di questi personaggi di creare contenuti davanti a un microfono e a una videocamera è più importante del gesto tecnico stesso, che passa in secondo piano. Non si guarda la Kings League per assistere a uno spettacolo sportivo, ma a qualcosa di più simile a un talk show, dove i protagonisti sono Piqué e i suoi amici.

In un momento in cui all’interno di ogni sport si parla molto di come attirare le attenzioni della Generazione Z, che a quanto pare non ha nessuna intenzione di seguire un evento sportivo in maniera tradizionale, è difficile credere che la risposta possa essere la Kings League, un prodotto in cui il calcio viene svuotato di significato a favore di altre dinamiche che altro non sono che quelle di Twitch.

Cercando su Youtube “Kings League”, il video con più visualizzazioni è questo di Ibai dove non ci sono gol, ma il momento in cui Piqué ha regalato a tutti i presenti un Casio.

È davvero il calcio che deve piegarsi alle chiacchiere fino a diventarne lo sfondo?

È un qualcosa che già sta succedendo con i social, in tutti i campi certo non solo nello sport, ma almeno finora tutto il rumore avviene a commento di un evento sportivo e non al posto di esso. Un calcio fatto di giullari è davvero meglio di uno fatto dai calciatori?

Sul suo sito, la Kings League si presenta come il Futbol Real, ma anche "una nuova forma di intendere il calcio". In realtà tutto sembra solo una trovata pubblicitaria, fatta per sponsorizzare la società di Piqué che intanto ha appena rotto il contratto con l'ITF (la federazione internazionale del tennis) per l'organizzazione della Coppa Davis, il vero grande evento in mano allo spagnolo, a causa di ragioni economiche non ancora chiarissime (pare che la Kosmos avesse difficoltà a pagare quanto pattuito).

Insomma, Piqué ha trovato il modo di distrarsi con i suoi amici, anche giustamente, organizzando un torneo di similcalcio e vendendolo al mondo come una rivoluzione. Ma se, come diceva Mao, la rivoluzione non è un pranzo di gala, non è neanche una chiacchierata tra ex calciatori e streamer. O no?

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