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Gabriele Anello
King Kazu Miura non vuole abdicare
24 feb 2017
24 feb 2017
A 50 anni l'imperatore del calcio giapponese è il giocatore più anziano in attività.
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Gabriele Anello
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È possibile fare la storia anche mettendosi da parte. Un concetto di difficile comprensione in Giappone, dove la corsa alla realizzazione personale e alla migliore posizione possibile nella scala sociale è da sempre causa di stress. È per certi versi paradossale, quindi, che sia proprio la massima carica giapponese a dare l’esempio.

 

L’uscita di scena di Akihito, il 125° imperatore giapponese, deve aver avuto un effetto esplosivo nel paese. Non succedeva

. Ci sarebbe stato bisogno dell’intervento della Dieta, ma alla fine si è trovato un accordo: il 1° gennaio 2019

l’addio di Akihito e l’incoronazione del figlio Naruhito.

 

Mentre un Imperatore abdicava, un altro tornava ad indossare la corona. Il 26 febbraio Kazuyoshi Miura compirà 50 anni, un mese e mezzo dopo aver firmato il prolungamento del contratto con lo Yokohama Football Club, la squadra per cui gioca dal 2005, quando di anni ne aveva già 38. Sarà la sua 12° stagione al Nippatsu Mitsuzawa Stadium e lui

: «Spero di continuare a lottare con i miei compagni, i tifosi e il club, che fin qui mi hanno sempre sostenuto».

 

 



 

Kazu Miura e la sua leggenda nascono a Shizuoka, una città dominata dal Monte Fuji e dove i primi insediamenti umani risalgono alla preistoria. A 15 anni, Miura prende una decisione straordinaria per l’epoca: lascia il quartiere di Aoi-ku e la Shizuoka Gakuen School (dopo appena otto mesi), partendo da solo per il Brasile (ai genitori fu rifiutato il permesso per andare lì con lui), con l’ambizione di migliorare in uno sport che all’epoca non aveva neanche lo status da professionista nel paese. Come i contadini giapponesi nella metà dell’Ottocento, partiti per il Brasile per occuparsi della coltivazione del caffè, Miura nel 1982 va a giocare in Brasile.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ZY_j--iOMbU

King Kazu in Brasile.



 

Viene arruolato dal Clube Atlético Juventus, squadra di San Paolo, dove vive nella comunità giapponese. Non ha né il fisico né la tecnica all’altezza del contesto e a tre anni dal suo arrivo, nel 1985, è pronto a tornare a casa.

 

Miura sa bene che tornare vuol dire fallire. La sua scalata inizia solo un anno dopo, quando firma un contratto da professionista con il Santos. È solo il primo dei tanti club brasiliani, anche di prestigio, in cui si trasferirà da lì a poco: Palmeiras, Matsubara, Clube de Regatas Brasil, il ritorno a Jaú, Coritiba e di nuovo Santos. Miura si toglie anche la soddisfazione di giocare con la maglia che fu di Pelè e

. Per un giocatore giapponese negli anni ’80 è un traguardo impensabile.

 

Il ricordo più bello, però, è una chiacchierata con Zico

. All’intervallo, l’ex Udinese lo avvicina e gli dice: «Ce l’hai fatta». Non sa che i due si incroceranno nuovamente qualche anno più tardi, stavolta in Giappone (in cui tornerà a partire dai 23 anni). Kazu ha un

di quell’esperienza: «I primi anni avevo mancanza di casa, ma poi ho imparato la lingua, ho preso la patente e mi sono divertito in Brasile: è qualcosa che non dimenticherò mai».

 


un reportage su di lui per il canale YouTube del club.





 



 

Fa impressione mettere vicine l’esperienza di Miura in Brasile con quella in Italia, dove viene ricordato soprattutto per i disastrosi mesi a Genoa. Nonostante fosse stato eletto MVP della lega e miglior giocatore asiatico del ’93, Aldo Spinelli ha visto in lui soprattutto un’occasione economica: il “Grifone” non sborsa una lira né per il suo ingaggio (che viene pagato dagli sponsor nipponici) né per il cartellino (il giocatore è in prestito). Inoltre, la Kenwood è il nuovo sponsor e la Fuji Television paga parecchio per avere in esclusiva i match del Genoa.

 

La realtà del calcio europeo, però, si dimostra molto più dura di quella dall’altra parte del mondo. Alla prima partita di campionato – esordio a San Siro contro il Milan – un colpo duro di Franco Baresi lo mette fuori uso. Rientrato in campo, farà in tempo a prendersi la scena nella migliore delle occasioni: in un derby della Lanterna perso contro la Samp, Kazu Miura porta in vantaggio il Genoa. Sulla sponda di Skuhravy, Mannini si perde il giapponese e Vierchowod non riesce a chiudere.

 

https://www.youtube.com/watch?v=cXTXozurAps

 

Ma è l’unico sprazzo di una stagione altrimenti deludente. Forse l’equivoco tattico non aiuta: formatosi come ala in Brasile, una volta tornato in patria Miura ha potuto tranquillamente convertirsi in seconda punta, dove ha fatto quello che voleva contro difese agli albori del professionismo. Ben diversa la situazione in Italia dove Scoglio – già tiepido all’arrivo del giapponese («Per ora non mi pronuncio») – getta ben presto la spugna: «È solamente un bravo ragazzo».

 

Nonostante l’esonero di Scoglio e venti partite giocate, quel gol nel derby di Genova è l’ultimo spunto dell’attaccante. Il Genoa incappa in una delle peggiori stagioni della sua storia e retrocede dopo lo spareggio contro il Padova, mentre Miura è già tornato in Giappone a maggio.

 

 



 

Quando torna in Giappone, Miura riacquisisce uno status di divinità in terra, ben sintetizzato dalle parole di Saburo Kawabuchi e Kenji Mori, gli uomini che hanno contribuito alla creazione della J. League nel 1993: «Dobbiamo tanto a Kazu Miura. Potevamo scegliere tanti stranieri famosi, ma lui era l’elemento necessario perché i giapponesi si potessero innamorare del calcio».

 


La distanza tra un’apparizione su Detective Conan e un’intervista con Neymar è minima.



 

Tornato dal Brasile, Miura trova asilo allo Yomiuri Soccer Club, l’odierno Tokyo Verdy, che all’inizio degli anni ’90 era un club supportato dall’omonimo gruppo che pubblica il quotidiano a tiratura nazionale. Diventato poi Verdy Kawasaki, il club incanta la J. League ai suoi albori: due titoli nazionali, quattro coppe e l’impressione di esser imbattibili, proprio grazie al contributo di Miura. A questa storia di successo corre in parallelo il suo deludente rapporto con la nazionale, come in uno specchio deformato.

 

Nel ’93, il Giappone sfiora la prima storica partecipazione al Mondiale. Quella che ancora oggi è nota come "The Agony of Doha" (o

, così conosciuta da esser citata negli

) ricorda l’incredibile beffa subita dalla Nippon Daihyo nelle qualificazioni a USA ’94: nell’ultimo Mondiale a 24 squadre, l’Asia ha diritto a soli due posti. Reduce dalla prima vittoria in Coppa d’Asia (alla seconda esperienza in assoluto) nell’edizione giocata in casa, il Giappone passa sopra la concorrenza nelle prime fasi: Miura è devastante, tanto da segnare 16 gol in 16 presenze con la nazionale nel 1993.

 

Nella fase finale – un girone da sei squadre, in cui c’è un tutti contro tutti – Miura è stato fondamentale: doppietta in Corea del Nord e il gol vincente contro la Corea del Sud. La qualificazione è aperta, perché all’ultima gara solo la Corea del Nord è già eliminata. Per il resto, la classifica vede Giappone e Arabia Saudita a quota 5, Corea del Sud, Iran e Iraq una lunghezza più indietro. Con la vittoria a due punti, è tutto ancora in bilico. Un successo regalerebbe al Giappone l’ambita meta.

 

Il 28 ottobre 1993, la Nippon Daihyo sfida l’Iraq sul neutro di Doha, mentre gli altri match sono quello tra le due Coree e Arabia Saudita-Iran, disputati nella capitale qatariota. Miura sblocca il risultato, l’Iraq rimonta e Nakayama mette virtualmente i nipponici su un aereo per gli Stati Uniti. Gli altri incontri sono già finiti, con Corea del Sud e Arabia Saudita vittoriose. Il traguardo è vicino se non fosse che all’ultimo minuto, sugli sviluppi di un corner (concesso dopo un incredibile salvataggio di Matsunaga su un tiro-cross), la difesa nipponica perde le distanze.

 

https://youtu.be/hdr2nrAsJXI?t=3m21s

 

Con l’angolo battuto corto, Miura accorcia sul giocatore in possesso palla. Ma la frenesia è troppa e l’avversario lo salta; Miura tenta una scivolata impossibile, ma non ce la fa. In area Jaffar Omran Salman, entrato all’intervallo, salta senza opposizioni: Matsunaga non ci arriva e la palla entra: 2-2 e addio al Mondiale. L’anti-eroe di Doha è un giocatore che ha una pagina Wikipedia non in lingua araba o inglese, ma giapponese.

 

Mentre il manager olandese Hans Ooft prova a consolare qualcuno e il rientro negli studi televisivi nipponici è un

, Miura è accerchiato dai fotografi.

con le braccia larghe e l’andamento sfatto di chi ha dato tutto, ma non sa cosa poter fare di più. Forse quella sera – ancor prima dell’esperienza italiana – Kazuyoshi Miura ha capito di esser una star, ma di aver bisogno di un contorno per realizzare il suo sogno più grande, quello di guidare il Giappone a un Mondiale.

 

“King Kazu" continua a segnare – 30 gol in 43 partite tra ’96 e ’98 – ma il Giappone non si conferma campione d’Asia. Miura è fondamentale nel percorso di qualificazione per il Mondiale successivo, chiuso con un altro psicodramma, stavolta a buon fine. Per il ’98 (primo Mondiale a 32), l’Asia ha diritto a due squadre più un play-off: 10 nazionali divise in due gironi, con le prime direttamente in Francia e le seconde a scontrarsi. Se Arabia Saudita e Corea del Sud ribadiscono la loro superiorità, Iran e Giappone devono sfidarsi in gara unica a Johor Bahru, Malesia: la vincente va in Francia, la perdente giocherà un altro play-off con l’Australia.

 

La partita è una sofferenza immensa: il Giappone ha un gruppo rinnovato rispetto a quattro anni prima. Ci sono Kawaguchi, Soma, Hidetoshi Nakata, Nanami e Wagner Lopes. In panchina c’è Takeshi Okada, che ha gestito Miura: è importante, ma non è un titolare a priori. E lo dimostra anche nella gara disputata in Malesia: in vantaggio per 1-0, il Giappone viene raggiunto e superato a inizio secondo tempo. Un’altra beffa è dietro l’angolo.

 

Al minuto 63, mossa in apparenza folle di Okada: fuori Nakayama e Miura, dentro Shoji Jo e proprio Lopes. Virtualmente, è il passaggio che chiude la storia di Kazu con la nazionale.

 


«Ma chi, io? Sicuro?»: Kazu la prende male, Nakayama meno. Il secondo, in Francia, segnerà il primo gol del Giappone a un Mondiale.



 

In dieci minuti, Jo

di testa. Si va ai supplementari: sul mancino sbilenco di Nakata, la respinta di Abedzadeh è debole. È il 118’ e sul pallone si butta Masayuki Okano, che è entrato alla fine dei regolamentari: il 3-2 è un golden gol che mette il Giappone sulla mappa. Il paese è in visibilio e i giocatori rimarranno degli eroi anche dopo il deludente Mondiale francese.

 

Peccato che Miura quel Mondiale non lo giocherà mai. Nonostante il suo status regale e i sorrisi al pensiero di disputare la sua prima Coppa del Mondo

, il ct Okada non lo inserirà nei 22 per il Mondiale 1998. Anzi, lo taglierà nel modo più discusso possibile: il selezionatore porta con sé 25 elementi a Nyon, dove c’è il training camp in vista della manifestazione.

 

Alla fine, Okada rinuncerà al giovane Ichikawa, a Kitazawa e soprattutto a Miura,

in maniera molto dura la sua esclusione: «Mi è sembrato più turbato di quanto avrei pensato quando gli ho detto di lasciare il training camp. Miura non è nei miei piani per il Mondiale, neanche come sostituto». In Giappone non si parla d’altro, ma Miura prova a dissimulare: «Quel che provo io è secondario, alla nazionale auguro il meglio».

 

Il nuovo corso di Philippe Troussier gli consente di segnare altri gol: il conto totale sarà di 55 reti in 89 presenze. Il suo status però non più quella di uomo-simbolo ma di ricambio. Quando Troussier gli propone di entrare nel suo staff in vista dei Mondiali del 2002, Miura rifiuta: non ha voglia di smettere di giocare a 35 anni.

 

https://youtu.be/9BffvXtGfRE

 





 

Nel 2002, la carriera di Miura è già in declino. Nel ’99 ha tentato un ritorno senza successo in Europa con la Dinamo Zagabria, che lo ha tenuto un anno prima di rimandarlo in patria. L’ultima annata in doppia cifra è del 2001, con la maglia del Vissel Kobe. Rimane lì per cinque stagioni, prima di fare il pioniere per l’ennesima volta e tentare l’avventura australiana in prestito al FC Sydney, dove comunque trova il modo di segnare

agli albori dell’A-League (e

con John Buonavoglia, suo compagno in Australia).

 

È il 2005: a 38 anni la logica suggerirebbe di ritirarsi. Ma in Giappone tanti continuano a giocare oltre i quarant’anni: è il retaggio di un calcio giovane e di una società che fa della gratitudine verso i sensei (cioè sostanzialmente gli anziani) una convinzione incrollabile. Per dire, Masashi Nakayama, suo compagno di nazionale e coetaneo, giocherà l’anno prossimo in terza divisione. Se Hideki Nagai, colonna dei Tokyo Verdy, si è ritirato solo nel 2016 a 45 anni, Teruyoshi Ito – classe ’74 – giocherà l’anno prossimo ancora da pro con l’Azul Claro Numazu.

 

Miura non ci pensa nemmeno a ritirarsi. Prima di andare a Sydney, ha firmato con lo Yokohama FC, la seconda squadra di Yokohama, nata dalle ceneri dei Flügels, dissolti nel ’98 e in teoria assorbiti dai Marinos. Una fusione mai accettata dai tifosi, che hanno così ricreato lo Yokohama Football Club, che ha sempre giocato – tranne per una stagione – in seconda divisione.

 

Ritrovatosi in J2 League, Miura realizza sei gol in 39 partite e contribuisce all’incredibile promozione dello Yokohama FC. L’esperienza del club in J. League dura un anno, ma “King Kazu” comincia a segnare qualche record: gol a 40 anni, 30 partite giocate in tutte le competizioni. Sembra comunque la fine, perché il fisico sembra non reggere più. Invece, l’incredibile storia di Kazu Miura non è ancora finita.

 

https://youtu.be/wbMsHtsBTBU?t=8m37s

Match di beneficienza tra la nazionale giapponese e una selezione della J. League a due settimane dal terribile terremoto del Tohoku del marzo 2011. Sotto 2-0, Miura sfrutta una sponda di Tulio e trova il gol. Vai di Kazu Dance, a 44 anni.



 

Viene quasi da chiedersi se Miura abbia continuato nell’illusione di poter cancellare le sue delusioni. Se la sua voglia di proseguire a oltranza abbia in realtà i contorni di un tentativo di riscatto da una carriera professionistica che immaginava diversa. A contorno della sua carriera nel calcio, nel 2012 Kazu Miura ha fatto parte della nazionale giapponese che ha giocato il Mondiale di futsal.

 

Sembrerebbe il canto del cigno: il 2011 è l’ultima stagione in cui gioca 30 partite. Tuttavia, non vuole ritrarsi. E alla fine neanche il Giappone si è stufato di lui: il SC Sagamihara – club di Tokyo, oggi in terza divisione, ma all’epoca nei dilettanti – gli offre un contratto

. Lo Yokohama FC, invece di lasciarlo andare, gli propone

, conscio che la fama di Miura è un gioco che vale ancora la consueta candela in termini di riconoscibilità.

 

 



 

Se diamo un’occhiata alla storia del calcio, ci sono diversi giocatori che hanno giocato oltre i 40. Anche in Europa non è un caso raro. Tuttavia, esser professionisti a 50 anni è ben diverso: anzi, nel Vecchio Continente è impossibile. Ricordiamo solo i casi inglesi di Stuart Pearce e Dave Beasant: il primo ha firmato con il Longford nel gennaio 2016 (13° divisione); il secondo ha giocato una gara con il North Greenford United (ottava divisione), prima di svestire i panni di preparatore dei portieri allo Stevenage e comparire come

in una partita di League Two (quarta serie) perché non c’erano abbastanza portieri disponibili.

 

Ma Kazu Miura è andato oltre. Neanche Stanley Matthews – che pure ha giocato fino a 50 anni – è un paragone sufficiente, perché lo “Stregone” ha giocato ad alti livelli, ma negli anni ’60, in un calcio diverso e con una preparazione meno specifica. Invece, Miura è stato in grado di

. E con la compiacenza dello Yokohama FC (conscio di quanto pesi il suo nome), la storia è continuata.

 

Negli ultimi anni la storia sembra potersi ripetere sempre uguale ogni anno, fino alla fine del tempo. Miura gioca un certo numero di partite e soprattutto trova il modo di allungare il suo record di marcatore più anziano nella storia della J. League. L’ha fatto nel 2015 (tre gol in 16 gare), l’ha rifatto nell’ultima stagione (due in 20 match). Lo Yokohama FC sfrutta la fine dell’anno per annunciare il consueto rinnovo annuale. Nel 2015, il club lo fece alle 11:11 dell’11 novembre; nel 2017, l’ha rifatto allo stesso orario dell’11 gennaio, in riferimento allo storico numero indossato da Miura (con i

anche di Iker Casillas).

 


L’ultima rete, agosto 2016. Palla in mezzo di Miura, che cerca la sponda del compagno. Capisce che il passaggio è troppo corto e legge la respinta in maniera perfetta: una volta anticipato l’avversario, esita per farlo andare giù e poi calcia. È il momentaneo 1-2: lo Yokohama FC rimonterà il Cerezo Osaka, fino a vincere la partita.



 

Nonostante il mondo cambi, Miura rimane lì. All’inizio di quest’anno Miura si è presentato

al training camp dello Yokohama FC: nonostante avrà in squadra compagni trent’anni più giovani di lui,

e giocherà almeno un’altra ventina di partite, con l’obiettivo di segnare almeno una rete.

 

Qualcuno ride, dicendo che potrebbe arrivare

. Miura comincerà la stagione proprio il 26 febbraio, giorno del suo 50° compleanno, e lui non si scompone: «L’età è un fatto numerico, non cambia granché. Credo sia normale perdere qualcosa con il passare del tempo, ma il calcio è giocato da 11 persone: devo solo presentarmi in condizioni decenti e saper seguire i movimenti della squadra».

 

A differenza dell’altro imperatore, Akihito , il sovrano del calcio nipponico non vuole abdicare. Vuole continuare a segnare, ballare la sua “Kazu Dance” (basata sulla samba, appresa in Brasile), pubblicare libri sulla sua vita (più di una decina all’attivo) ed essere un ambasciatore per il calcio nipponico, nonostante il Giappone “competitivo” sia ormai lontano dal suo re.

 



 

Già ai tempi del Genoa, qualcuno gli fece delle domande per conoscerlo meglio. Quelle che ogni tanto i giocatori subiscono mal volentieri, del tipo: «Cosa avresti fatto se non avessi giocato da professionista?». Ma la risposta di Miura, all’epoca 27enne, sarebbe probabilmente la stessa di oggi: «Non saprei. Non so cosa avrei fatto se non fossi diventato un calciatore. Penso che non sarei esistito, probabilmente non sarei nessuno».

 

 

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