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Killer Instinct
08 giu 2017
08 giu 2017
In Gara-3 i Golden State Warriors hanno mostrato anche la loro ultima qualità, vincendo in rimonta negli ultimi tre minuti.
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Foto di Ronald Martinez / Getty
(foto) Foto di Ronald Martinez / Getty
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Probabilmente non è un caso che la miglior partita di questi playoff sia coincisa con la miglior partita dei Cleveland Cavaliers in queste Finals e con la quindicesima vittoria consecutiva dei Golden State Warriors in post-season. Prima degli ultimi tre minuti di questa gara-3, i Cavs avevano apparecchiato la tavola alla perfezione per il gran finale: Golden State aveva perso una valanga di palloni; Draymond Green ha avuto a che fare con problemi di falli per tutto il tempo e ha raccolto il quinto fallo ad inizio quarto periodo; Cleveland aveva costruito e mantenuto un vantaggio per la prima volta nella serie al di fuori del primo periodo di gioco. Sembrava davvero che tutto fosse in ordine per la prima vittoria di LeBron James e soci nelle finali, piantando nelle teste degli Warriors il seme che questa serie potesse essere la ripetizione di quelle dell’anno scorso, e invece non è bastato nemmeno stavolta. Golden State è stata fredda, calcolatrice e spietata, e Kerr ha finito per controllare i minuti finali aspettando con calma i frutti delle scelte mirate imbastite a inizio secondo tempo e attendendo l’inevitabile calo di James e Irving, come un ragno che aspetta di avvolgere nella sua tela una preda che continua a dibattersi. Poi, per tutto il resto, Kevin Durant ha chiuso partita e serie, silenziando la Quicken Loans Arena e mettendo un cartellino col suo nome sotto al trofeo di MVP delle finali. Intensità e preparazione Gara-3 delle passate finali era stata una reazione d’orgoglio, con i Cavs che erano riusciti a sorprendere una Golden State in fiducia e controllo con un’intensità senza precedenti. L’avvio di ieri notte è stata una riproposizione di quella intensità: con il tifo casalingo alle spalle, i Cavaliers hanno subito alzato l’intensità delle proprie giocate, a partire da quelle difensive. Cleveland ha provato fin da subito a eseguire una trap altissima sui pick and roll di Steph Curry, costringendolo quasi a invadere la metà campo difensiva alla prima azione della partita. Da lì in poi Cleveland ha tenuto schiacciato il pedale dell’intensità difensiva, combattendo duramente su ogni blocco e schiacciandosi sui tiratori di Golden State. A differenza della passata stagione però Golden State non è rimasta intimorita ed è riuscita a tenere botta e chiudere il primo tempo in vantaggio. A trascinare l’attacco dei Warriors ci ha pensato Klay Thompson, che senza alcun bisogno di trovare ritmo ha spezzato subito le reni con delle triple uscendo dai blocchi a tutta velocità, sfrecciando da una parte all’altra del campo facendosi trovare sempre libero. I suoi 16 punti e un irreale 9/14 di squadra da 3 punti nel solo primo periodo (le 9 triple sono un record per la storia delle Finals) hanno fatto chiudere in vantaggio la frazione di gioco a Golden State sebbene Cleveland avesse eseguito decisamente meglio. Prima della partita si è parlato a lungo di pace e ritmo, con Tyronn Lue e LeBron James che nelle conferenze hanno sottolineato come Cleveland avrebbe dovuto continuare a giocare a ritmi elevati invece che abbassarli come suggerito da più parti. Sebbene la definizione di follia sia quella di provare continuamente le solite azioni aspettandosi un risultato differente, è difficile dare contro alla scelta dei campioni in carica: purtroppo i Cavs non sono riusciti a schierare mai cinque giocatori pericolosi in attacco, dando a Golden State il lusso di avere sempre almeno una persona “ignorabile”. Tristan Thompson, Iman Shumpert, Richard Jefferson sono sempre stati palesemente ignorati dalla difesa dei Dubs in qualunque posizione del campo si trovassero e indipendentemente dal fatto che avessero o meno il pallone. A basso ritmo Cleveland deve attaccare difatti in inferiorità numerica una difesa schierata, un 4 contro 5 continuo che non porta minimamente i frutti sperati. La musica cambia invece quando i Cavs possono attaccare in campo aperto, dove LeBron e Kyrie continuano a fare sfaceli e dove, male che vada, c’è almeno una parità numerica tra attaccanti e difensori coinvolti. Cleveland ha fatto registrare un Offensive Rating di 120 nelle serie ad Est, un dato che la posiziona al primo posto di sempre se fosse per tutta la stagione regolare; nelle prime due partite della serie invece si sono fermati a 98.8 (sarebbero ultimi con distacco in regular season). La triste verità per Cleveland, dura e fredda come solo le brutte notizie sanno esserlo, è che contro questi Warriors il piano è destinato comunque a fallire: pur ricevendone degli innegabili vantaggi nell’immediato e sul singolo possesso, la differenza di talento generale tende a farsi più evidente con l’andare del tempo tenendolo alto; allo stesso modo, i Cavs sentono di non avere la difesa a metà campo per stare assieme a Golden State (oltre ai già citati problemi di 4 vs 5 in attacco). Dopo gara-2 avevamo sottolineato come i Cavs avrebbero dovuto scegliere le proprie battaglie da vincere, e tutto sommato ieri sono riusciti a farlo: i titolari di Cleveland hanno puntato le riserve di Golden State per tutta la gara; i numerosi falli di Zaza Pachulia (molti dei quali in attacco a palla lontana) hanno costretto Kerr a schierare JaVale McGee per un minutaggio elevato - e sebbene in attacco sia riuscito a fornire un contributo sufficiente, in difesa Kyrie e LeBron lo hanno messo in mezzo a una giostra, puntandolo di continuo in isolamento e mettendolo sempre in mezzo ad ogni pick and roll; Andre Iguodala e Draymond Green sono stati battezzati per tutta la partita, raccogliendo stavolta i frutti della strategia (1/6 da 3 combinato ieri notte, a differenza del 4/10 di gara-2).

Anche se Green è riuscito a riciclarsi in una macchina di distribuzione per tagli che è un capolavoro per chi guarda.

Si può anche dire che Cleveland ha svolto i suoi compiti a casa, arrivando molto ben preparata: hanno continuato a martellare Golden State costringendoli a 18 perse; sono usciti dall’intervallo inanellando una serie di possessi positivi anche dopo che l’attacco si era sfilacciato a fine primo tempo, trovando il primo vantaggio nella serie fuori dal primo quarto; e pur vedendo calare le energie a metà secondo tempo come nel resto della serie, sono riusciti a restare in partita e ad aumentare il vantaggio cavalcando la premiata ditta James & Irving.

Quando le energie di squadra sono finite, Cleveland è andata o in contropiede 1 contro 1 subito dopo il rimbalzo o in isolamento per Kyrie e LeBron che hanno tenuto in piedi il vantaggio. Qui l’attacco di Cleveland collassa nell’angolo sinistro per liberare a Kyrie un quarto di campo per attaccare Thompson e chiudere uno dei canestri più incredibili della sua serata

Difficile chiedere di meglio ai Cavaliers di quello fatto ieri notte: a parte le percentuali al tiro di Kevin Love (1/9 dal campo), il piano partita è stato eseguito splendidamente, facendoci assistere ad una partita di un livello tecnico assoluto. Il problema per loro è stato che mentre i Cavs giocavano con la bava alla bocca dall’inizio alla fine, Kerr centesimava le forze dei suoi, finendo con l’avere la squadra più lucida negli ultimi minuti di gioco grazie ai preziosissimi minuti di riposo dati a Curry e Durant all’inizio del secondo e dell’ultimo quarto. Un lusso che Tyronn Lue non si è mai potuto permettere. Il ritorno dei veterani Risulta quasi scontato che i role player migliorino sensibilmente le proprie prestazioni tra le mura casalinghe; tutt’altro scontato è assistere a una risurrezione di massa dei veterani. Possiamo quindi dare finalmente il benvenuto nella serie a J.R. Smith, Kyle Korver e Richard Jefferson, autori finalmente di un contributo tangibile e significativo. I Cavs non avevano letteralmente speranze di riaprire la serie senza il contributo dei loro giocatori di seconda fascia, e il loro supporto nella notte è stato atteso e fondamentale. Smith è riuscito per la prima volta nella serie ad essere decisivo in attacco, finendo con 5/10 da 3 per 16 punti, e le sue triple non sono sembrate forzate o costruite dal nulla - insomma, le classiche “triple alla J.R.” - ma soluzioni precise e previste sugli scarichi dei compagni. In una serata in cui Love sembrava non riuscire a mettere un canestro nemmeno se ne andasse della propria vita - sporcando di fatto la tripla doppia di LeBron mancata solamente per un assist -, J.R. è stato fondamentale a coprire quelle mancanze. Perfino in difesa è riuscito a dimostrare una maturità inaspettata: dopo aver registrato due falli in un amen è rimasto in campo senza concedere mezzo passo agli avversari e senza peggiorare la situazione di squadra - un bel passo in avanti rispetto alle prime due orrende prestazioni. Anche Korver e Jefferson sono usciti dalla macchina del tempo in tempo per gara-3: Korver in attacco ha finalmente pagato la prima scelta che i Cavs hanno speso per prenderselo.

Si è esibito persino in una schiacciata in backdoor che ha fatto saltare dalla sedia Jeff Van Gundy in telecronaca: “Se avessi il pallone della partita glielo consegnerei ora, that’s it!”

Per Jefferson invece il discorso è diverso: quando gioca assieme a LeBron è prezioso in difesa riuscendo a stare dietro a tutti gli switch dei Warriors, un ruolo sottovalutato che aveva già ricoperto lo scorso anno; quando invece prende il posto di LeBron è un disastro ambulante, poiché non è minimamente in grado di fornire rim protection e non ha la capacità di LeBron di dirigere la difesa capendo il flow degli avversari con due secondi di anticipo. Sono stati invece totalmente dannosi Tristan Thompson e Iman Shumpert. Che Shumpert non brillasse per acume cestistico lo si è sempre saputo, ma ieri ha mostrato il peggio di sé esibendosi in un personale botta e risposta di triple con Curry - in cui è stato massacrato, ovviamente - commettendo falli a tutto campo senza motivo e prendendosi tiri con il cronometro pieno: Golden State avrebbe dovuto lanciare dei coriandoli in aria ad ogni suo tentativo. Su Tristan Thompson invece la sensazione è quella di una maledizione voodoo. Sembra impossibile che questo sia lo stesso giocatore su cui i Celtics non avevano trovato una risposta in cinque gare, o quello che aveva completamente ribaltato la serie dell’anno scorso con la sua fisicità e presenza in area. Oltre a confermarsi completamente nullo in attacco ieri ha totalizzato 3, T-R-E, rimbalzi totali (faccio notare qui che perfino Kyrie ne ha presi 6, oppure che Curry è arrivato a 13 solo ieri notte di cui 5 in attacco). Killer Instinct L’unica cosa che mancava ad impreziosire l’arsenale sterminato di questi Warriors era una prova di lucidità del genere. Golden State non ha azzannato la partita come nelle precedenti due gare, non ha travolto gli avversari come ci si poteva aspettare perché questa non era una partita in cui sarebbero riusciti a farlo. Kerr ha fatto senza mezzi termini un capolavoro di gestione delle forze e delle letture, tenendo in gioco una partita che sembrava potesse scappare da un momento all’altro e sottraendola sul finale dalla stretta avversaria. Golden State si è dimostrata lucida, attenta e precisa, l’esatto opposto di quella in confusione e overdrive della gara-7 dello scorso anno. I Dubs hanno approfittato delle ingenuità avversarie, affondando il coltello quando il cervello dei Cavs (ovvero di LBJ) era a corto di ossigeno. Hanno giocato perfettamente col cronometro nei finali di quarti, sono stati bravi a trovare rapidamente il bonus di falli puntando Smith e Shumpert e, al contrario delle finali passate, sono riusciti a stare in partita quando le cose non andavano per il verso giusto, senza mai scivolare oltre i 7 punti di distacco. Nonostante i problemi di falli dall’inizio alla fine di Draymond Green e le esplosioni di giubilo della Q-Arena ogni volta che arrivava un fischio contro il 23 di Golden State, Green è rimasto mentalmente in partita e Kerr non lo ha mai tolto immediatamente, né dopo il quarto fallo nel terzo periodo né dopo il quinto a inizio quarto quarto, dimostrando di avere fiducia nelle sue doti di controllo dei nervi. Un anno fa il suo colpo a palla lontana a LeBron aveva riaperto una serie finita; uscire ieri sera con un solo tecnico da un ambiente che ha provato a stuzzicarlo dall’inizio alla fine è una prova di maturità senza precedenti per lui. Più in generale, Golden State ha peccato di tunnel vision solo una volta dopo la metà di quarto periodo: per il resto ha continuato ad avere fiducia nella gestione di freno, frizione e acceleratore. Curry sa benissimo di essere in un momento di forma strepitoso e per tre volte in contropiede ha rinunciato alla superiorità numerica per prendersi una tripla in sospensione invece che un layup (anche se, come ha sottolineato Jeff Van Gundy in telecronaca, “quello è un layup per lui”). Kerr, dal canto suo, non poteva scegliere un momento migliore per riprendere possesso della panchina e gestire i suoi: quando Green ha raccolto il quarto fallo a metà terzo periodo, tutti si aspettavano di nuovo il quintetto con Durant da 5, ma Kerr ha insistito con gli stessi uomini (anche tenendo McGee in campo oltremodo) per avere Iguodala fresco nel momento decisivo - e guarda caso la giocata difensiva finale è stata proprio del numero 9. A inizio quarto periodo ha riproposto un quintetto senza Curry e Durant, dopo che nel primo tempo gli Warriors erano stati massacrati nell’occasione, ma a fine partita Durant aveva abbastanza energie da parte per deciderla praticamente da solo - 14 punti solo nel parziale finale - dopo tre quarti di relativa normalità, almeno per gli standard a cui ci ha abituati (medie aggiornate nella serie: 34 punti, 10 rimbalzi, 6 assist e il 52% dall’arco). Solito dominio La sconfitta di stanotte e la mancata tripla doppia per un assist (sarebbe stata la nona nelle Finals, che lo avrebbe fatto diventare il primo di sempre) non devono far cadere nel dimenticatoio la prestazione di LeBron James, che è stata mostruosa dall’inizio alla fine, anche se ormai non sembra nemmeno riuscire a fare notizia. LeBron ieri notte è stato lo stesso LeBron delle scorse Finals: dominante sui due lati del campo, onnipresente in ogni azione, semplicemente inarrestabile. Quando parte in transizione nessuno si aspetta altro che un canestro; quando è in isolamento ci stropicciamo gli occhi se qualcuno riesce a contenerlo. La sua grandezza è ormai tale che è riuscito a ribaltare le aspettative che si hanno delle situazioni di gioco.

Se non è dominio su entrambi i lati del campo questo, non ho idea di cosa sia. Contiene la penetrazione di Durant, si avventa sul pallone strappandolo dalle mani di McGee, guida la transizione oscillando a sinistra, attacca Durant a destra e schiaccia nonostante l’aiuto di McGee.

A metà primo quarto uno scontro involontario su Tristan Thompson (ancora kudos per la sua serata produttiva) lo ha costretto a sdraiarsi a terra stordito, ammutolendo l’arena mentre veniva accompagnato a bordo campo. Poi dopo qualche minuto come se nulla fosse si è scrollato la polvere di dosso e ha ricominciato ad attaccare il ferro senza nessun timore del contatto fisico - anzi, cercandolo. La prestazione di LeBron ha costretto Kerr a misure estreme, alternando di continuo Green, Durant e Iguodala su di lui, gettandogli corpi freschi addosso senza avere alcun risultato: il Re è riuscito a muoversi con agilità nella fitta trama delle braccia avversarie e a distribuire dei passaggi millimetrici ai compagni appostati sul perimetro, senza che questi riuscissero a sostenerlo con percentuali adeguate. Eppure nonostante ciò nulla sembrava riuscire a limitarlo: a fine primo tempo ha registrato un 11/14 dal campo con un 3/5 da tre punti, punendo Golden State che aveva provato a sfidarlo al tiro. Nel quarto periodo i Cavs lo hanno mandato due volte consecutive in isolamento contro Curry, riuscendoci per la prima volta in tutta la serie come se finalmente avessero trovato la formula magica per farlo. LeBron è uscito da questa gara-3 con un +7 di plus-minus giocando 46 minuti, Cleveland ha perso di 5. Nei 2 minuti e 23 secondi in cui si è riposato Golden State ha segnato 12 punti in più degli avversari, e Cleveland ha registrato uno spaventoso -204.1 di Net Rating: non credo esista una statistica che possa raccontare il suo dominio più di questa. Sequenza finale A 3 minuti dalla fine, a seguito di due canestri con un tasso di difficoltà irreale di Kyrie Irving e due tiri forzati di Curry, i Cavs avevano un vantaggio di 6 punti con l’inerzia in mano, mentre Golden State non aveva virtualmente alcun ritmo. Poi, improvvisamente, l’inerzia cambia.

Love si addormenta in attacco lamentandosi di un presunto fallo di Green e non rientra, J.R. commette il solito errore di gara-1 seguendo Klay e lasciando strada libera al portatore di palla. Curry segna il più facile dei canestri per il -4 e apre la mareggiata.

Nel possesso seguente Golden State serra le maglie difensive ma Kyrie recupera un rimbalzo offensivo Westbrookiano saltando fuori dal campo sopra un avversario più grosso di lui: i Cavs restano in vantaggio di due possessi con 90 secondi sul cronometro.

Iguodala recupera velocemente dopo il blocco di Korver e torna su LeBron restandogli di fronte e costringendolo ad un jumper forzato mentre le gambe stanno già cedendo.

Durant recupera il rimbalzo e ricadendo a terra Love atterra sopra il suo piede subendo una storta; KD parte in transizione e Korver è costretto a spendere l’ultimo fallo prima del bonus per non subire l’inferiorità numerica.

Dopo il timeout KD in isolamento contro Thompson, entrato per Love e per compiti difensivi, riesce facilmente a creare separazione e segnare il jumper del -2.

James gioca in isolamento contro Green, Curry segue con lo sguardo il pallone e Love è astuto a mettersi tra lui e Korver per creare un blocco. LeBron in una frazione di secondo lo nota e serve Korver, ma Curry è fenomenale a fare perno attorno al blocco e sbucare davanti a Korver per contestare il jumper (3/18 dagli angoli per Cleveland nella partita).

Ormai in over-confidence, Durant si prende un tiro che farebbe saltare le coronarie ad ogni allenatore del pianeta e che invece ha senso visto che dà anche il 2-per-1 ai suoi. Dagger e vantaggio Warriors (da notare l’esultanza di Curry).

Nell’azione seguente Klay fa l’ennesimo capolavoro difensivo su Kyrie in isolamento e il tentativo di Irving (anche lui tradito dalle gambe) si stampa sul primo ferro. Golden State prende il rimbalzo con meno di 26 secondi sul cronometro di gara ma i Cavaliers non fanno fallo. La palla transita anche dalle mani di Draymond Green, ma è solo quando torna a Durant con 12 secondi dalla fine che i Cavs si decidono a fare fallo. Questo è un errore madornale, perché non aver fatto fallo nei primissimi secondi ha privato Cleveland di un possesso in più nelle fasi finali: da qui in poi i liberi di Durant e la magata di Iguodala su LeBron fanno calare definitivamente il sipario sulla gara e con ogni probabilità sulla serie. Al termine della partita resta solo da capire se Durant e soci riusciranno a chiudere la serie già in Gara-4 completando il primo 16-0 nella storia dello sport americano (NHL ed MLB comprese) oppure se concederanno un Gentleman Sweep agli avversari, chiudendo tra le mura amiche. A causa del livello degli avversari e delle assenze pesanti è stato difficile riuscire ad apprezzare la resilienza di Golden State, ma il loro 15-0 non può essere sminuito per le mancanze rivali (perché, banalmente, non ti puoi scegliere gli avversari) o per mancanza di difficoltà. Golden State è riuscita comunque a vincere partite in cui le cose non andavano per il meglio: in gara-1 contro Portland sono sopravvissuti a una prestazione mostruosa di Lillard e McCollum; in gara-3 contro Utah se la sono cavata nonostante una partita difensiva meravigliosa degli avversari; e perfino gara-1 contro gli Spurs, sebbene l’infortunio di Kawhi Leonard abbia inevitabilmente pesato, non può essere sminuita - perché non è da tutti rimontare 25 punti in un tempo a Gregg Popovich indipendentemente dalle circostanze. La gara di ieri sera toglie ogni dubbio a riguardo della resilienza di questa squadra, senza alcuna possibilità di appello. Sebbene il 3-0 di queste finali non sia necessariamente appetibile, il livello di gioco raggiunto in queste tre partite da parte di entrambe le squadre è stato veramente magnifico. Questa è stata la miglior Cleveland possibile contro la miglior Golden State possibile - e per chi ama il gioco, l’attesa fino alle finali è stata ben ripagata.

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