L'Ultimo Uomo

  • Calcio
  • NBA
  • Sport
  • Dizionario Tattico
  • Expected Goals
  • Calcio
  • NBA
  • Sport
  • Dizionario Tattico
  • Expected Goals
  • Chi siamo
  • Le Firme
  • Archivio
  • Newsletter
  • Sponsor
  • Long-Form
© Alkemy. Made with love
Informativa Cookies
Immagine tratta da internet
Sport Francesco Pacifico, Timothy Small e Dario Vismara 18 maggio 2015 12'

Kill Bill

Bill Simmons, il giornalista sportivo più influente d’America, il creatore di Grantland, lascia ESPN. Che eredità si lascia alle spalle? E cosa vuol dire questo per il giornalismo sportivo?

Condividi:

 

Dario Vismara:

Direi di partire con i #fatti di quello che è successo, così anche chi non ha seguito la vicenda può farsene un’idea. Dieci giorni fa il presidente di ESPN, John Skipper, ha comunicato che non rinnoverà (lui, in prima persona, scrivendo: «I’ve decided») il contratto del direttore di Grantland Bill Simmons, in scadenza a settembre. La scelta è sorprendente, ma fino a un certo punto: le trattative tra le parti andavano avanti da un pezzo e non sono mai riuscite a raggiungere un accordo per proseguire un rapporto cominciato nel 2000 e che ha portato entrambi ad avere enorme successo.

 

Timothy Small:

Guarda, io farei un passo ancora più indietro. Questo pezzo su Slate spiega bene perché Bill Simmons è un personaggio importante, e lo fa all’inizio dell’articolo, come se non fosse nemmeno l’argomento dell’articolo (e non lo è), ma come se fosse uno degli assiomi di partenza dello stesso. «Nei 14 anni passati a ESPN, Bill Simmons è passato dall’essere una curiosità (“The Sports Guy”) al più influente scrittore sportivo della sua generazione».

 

Questa è la ragione per la quale secondo me vale la pena parlarne, oltre al fatto che Grantland, la rivista online fondata da Simmons stesso, è la totale e assoluta mamma-a-distanza dell’Ultimo Uomo. Nel senso che senza la prima non avrei mai fatto la seconda, non avrei mai preso quel treno per Roma per parlarne con Francesco e Daniele due anni fa. La rivoluzione dell’approccio di Simmons al giornalismo sportivo è la rivoluzione del giornalismo sportivo degli ultimi anni. Sempre dal pezzo di Slate: «I pezzi di Simmons […] hanno anticipato i tempi della rivoluzione del fan-based writing, e nel giro di poco tempo ha iniziato lui stesso a imporne i limiti e le caratteristiche. […] È impossibile dire se sia stato Simmons a inventare un pubblico per i suoi pezzi, o se li abbia solo riuniti tutti in un unico luogo».

 

Questo è il punto: che Simmons abbia inventato o meno tutte le cose di cui ora è sinonimo: fan-based writing, il new journalism applicato allo sport, il gioco, il divertimento, il nerdismo, la scrittura sportiva che emerge da un mondo di blog e quindi un mondo intimo, personale, in prima persona, non importa. Ormai Simmons le rappresenta. E il suo divorzio da ESPN, anche se è appena avvenuto, a me pare già colorato con l’inevitabilità storica, come se le due cose non potessero davvero combaciare, e che l’assurdità sia stata proprio quella che un uomo come Simmons potesse essere lo scrittore di punta di un network come ESPN, con i suoi reporter ex-giocatori con il collo largo mezzo metro.

 

Francesco Pacifico:

Per riassumere cos’ha reso popolare Bill in questi 14 anni, facciamo un esempio a noi vicinissimo e per niente autoreferenziale: Bill ha inventato il percorso giornalistico di Daniele Manusia. Cioè una persona che fondamentalmente da casa sua ha imparato uno sport, ne scrive da fan, e da fan diventa analista: fanalyst. Dopodiché la cosa viene apprezzata, e allora, anche se non ha esperienza da beat writer, cioè da giornalista classico che si è costruito bazzicando spogliatoi e stadi, viene invitato dai giornali mainstream e dalla tv e comincia a conoscere lo sport più da vicino grazie ai contatti appunto dei media mainstream. Che in fondo è il motivo per cui è odiato o amato. Ha riempito il mondo giornalistico di nerd, il che DIVIDE. Ha lanciato un giornalista geniale come Zach Lowe—che prima stava in un blog di Sports Illustrated.com e ora ti ritrovi a parlare in podcast con Jeff Van Gundy—ma ha anche sdoganato la possibilità di questa stessa chat fra noi come mezzo intimo per affrontare un argomento.

 

ea3rfnqazfzjnocz9elv

 

Dario:

Sicuramente Bill Simmons ha avuto l’enorme merito di creare due dei migliori prodotti editoriali sportivi che si siano mai visti, vale a dire la serie dei “30 for 30” e Grantland (e, volendo, per i veri nerd di basket anche The Book of Basketball). Da quel punto di vista è stato un pioniere capace di circondarsi di persone di altissimo livello (Chuck Klosterman, Wesley Morris, all’inizio anche Dave Eggers ha scritto per il lancio del sito) e di dare un’opportunità ad altri meno conosciuti, come Lowe o Chris Ryan.

 

Il problema è… che sono tutti meriti artistici. Cioè, dal punto di vista finanziario Grantland non rendeva ASSOLUTAMENTE quanto costava, perché a livello di traffico si attesta sui 5/6 milioni di visitatori unici pur avendo la spinta di un sito come ESPN.com, che ne fa 200 al mese. E 5/6 milioni l’anno era anche la richiesta di contratto di Simmons, una cifra irreale.

 

Tim:

C’è anche da dire che su Grantland non hanno mai investito come progetto finanziario, se no figurati se la Disney (che controlla ESPN) non ci piazzava un miliardo i banner di sue affiliates. È stata una scelta coerente e conscia, quella di usare Grantland come posizionamento “alto” di ESPN, e di tenerlo quindi scevro di inserzioni pubblicitarie. E non penso che il valore di “30 for 30” possa essere calcolato in meno delle centinaia di milioni, tra syndication, posizionamento, branding e semplice awareness. ESPN, con Simmons, ha acquisito una credibilità che prima non aveva, e ha raggiunto persone che prima non avrebbe raggiunto.

 

Francesco:

Domanda mia a Dario, o anche a Tim se ne sai. Vorrei capire se questa faccenda delle cifre, o del fare le cose in perdita, ha una vera consistenza finanziaria. Mi spiego: a metà del Novecento non so se qualcuno si sarebbe posto il problema di una cosa chic che perde soldi. L’America ha tutta una tradizione di borse di studio, premi, fondazioni. La cosa che mi affascina è vedere come una realtà tipo ESPN non ha nessun vero interesse per i progetti mirati a un pubblico stretto, che immagino anche in qualche modo un po’ elitario. Qual è il peso economico della “perdita”, e qual è il peso culturale? Lo dico meglio: non esiste più l’élite e quindi i progetti di nicchia pesano solo numericamente?

 

Tim:

Secondo me ti sbagli proprio in questa visione delle cose. Non penso che la ragione per la quale hanno licenziato Simmons abbia a che far alcunché con lo spreco di soldi. Altrimenti cose come The Undefeated e Five Thirty Eight le avrebbero chiuse mesi, anni fa. Il contratto di Simmons non l’hanno rinnovato perché, e ne sono sicuro quasi al 100%, Simmons ha chiesto alcune cose e alcune libertà che ESPN non poteva dargli. Simmons a ESPN non ha senso, perché Simmons sta sopra a ESPN. Non è il suo target, non è il suo pubblico. È stato bello finché è durato, ed entrambi hanno goduto molto del lavoro dell’altro, ma alla fine dei conti Simmons non ci sta bene su ESPN. ESPN è Pete Rose, è SportsCenter, non è Simmons. Soprattutto non se poi Simmons stesso, come personaggio, come brand, si trova schiacciato in un angolo dove deve fare “il tipo strano” semplicemente perché “il tipo normale” di ESPN è un demente burino jock tipo Boomer Esiason che poverino non ragiona più perché ha i buchi nel cervello. Se non avessero voluto fare le cose eleganti e fighette con Simmons, avrebbero fatto Grantland in modo diverso e l’avrebbero riempito di ads. Hanno voluto fare il New York Times del giornalismo sportivo, hanno voluto scippare i critici cinematografici del Boston Globe freschi di vittoria di Pulitzer. Questo non è un caso, è una decisione.

 

Francesco:

Capisco. Allora ripetici per iscritto la tua predizione.

 

Tim:

Prima vorrei che Dario dicesse la sua, poi arrivo con la Sparata del Secolo.

 

Dario:

Io ho una visione un po’ diversa di Bill, forse perché lo seguo da meno tempo di voi (ho iniziato a leggerlo continuativamente solo dal 2011). Negli ultimi anni per me è nettamente peggiorato e si è ESPN-izzato. A me è sembrato che volesse uniformarsi molto di più di quanto volesse farci credere, che volesse mantenere l’aspetto di quello che “sì, io sono l’alternativo che va contro l’establishment e qui non mi fanno fare quello che voglio quindi non mi allineo e sbatto i piedi quando non mi piace qualcosa”, ma alla fine sotto sotto aveva molte più libertà di quelle che ci lasciava credere. Ai suoi lettori un po’ piace che sia “l’alternativo dentro ESPN”, quello che se c’è da tirare una mazzata a Roger Goodell non si tira indietro e viene sospeso per questo, una sorta di paladino della libertà d’opinione underground all’interno della più grande azienda mediatico-sportiva del mondo. Ma lui era lì dentro, e per quanto fosse odiato all’interno, a ESPN stava bene avere uno così. Insomma, ha interpretato un ruolo, una parte.

 

Simmons-Rose

 

Francesco:

Ma si può parlare di Bill senza parlare del pescatore di uomini? Voglio dire, Jalen e Jacoby possono fiorire in un contesto non amministrato da Bill? Simmons mi interessa più come GM che come giocatore.

 

Dario:

Assolutamente, come recruiter è pazzesco. È il Vince McMahon del giornalismo sportivo alto, li ha iniziati quasi tutti lui.

 

Tim:

È uno che ha messo nello stesso posto Jalen Rose, Wesley Morris, Andrew Sharp, Molly Lambert, Rembert Browne, Jason Concepcion, Brian Phillips, Carles di Hipster Runoff e Mark Harris, cioè il critico che ha scritto questo articolo capolavoro. Quando cavolo li ritroverai mai tutti assieme?

 

Francesco:

Direi che è quella la sua legacy, no?

 

Dario:

Sicuramente, quello rimane e rimarrà per sempre. Anche i suoi BS Report, per dire, sono più interessanti per i suoi ospiti che per quello che dice lui, ma allo stesso tempo è anche lui a essere straordinario nel metterli nelle condizioni di dare spettacolo. Ed è un intervistatore molto sottovalutato.

 

Francesco:

Esatto. Infatti è molto meno egocentrico di quanto si dica, secondo me. Lui crea personaggi, non solo sé stesso. Il che mi fa pensare all’aspetto Wrestling della cosa, tanto è vero che la sua uscita di scena è stata paragonata a quella di CM Punk. Io sono più preoccupato da dove va il roster di Grantland: quanti se ne porta dietro secondo voi?

 

Tim:

Beh, a Brian Phillips ho già fatto un’offerta per venire a vivere a Milano e diventare il nuovo direttore di UU. Daniele capirà.

 

Dario:

Aspetta, dove firmo? A parte gli scherzi: Skipper ha annunciato che non si aspetta una diaspora di collaboratori di Grantland, perciò possiamo aspettarci che continui. Per quanto tempo e con che penne a disposizione, è tutto da vedere.

 

Tim:

Stessa intervista in cui Skipper dice questo su The Undefeated: «Ho molta fiducia che faremo un grande sito». Che se usata come pietra di paragone, possibilmente rende tutto il resto una montagna di cazzate. Io gli credo quando dice che Grantland rimarrà aperto, perché alla fine è il Page 2 di ESPN. Gli credo quando dice che non hanno rotto con Simmons per soldi ma per questioni di visione futura. Non gli credo quando dice che non ci sarà un esodo. Mi spiego tirando fuori la bomba?

 

Dario:

Siamo qui solo per questo.

 

Tim:

Simmons va a HBO. Si fa il suo programma tv stile late show sportivo. E produce dei documentari pazzeschi. E si porta dietro un paio di persone in gamba, tipo Jacoby e Jalen, immagino. Ha visto cos’è successo al brand personale di John Oliver quando se n’è andato a HBO e si è detto, molto semplicemente, fuck this shit.

 

Francesco:

Sì. E per me può anche non scrivere più i pezzoni.

 

Tim:

Anche perché ormai, come dice questo articolo su Deadspin: «Di questi tempi, quando si degna di scrivere e pubblicare pensieri su un dato argomento, quella volta ogni nove mesi o giù di lì…». Non me lo vedo Simmons scrittore. S’è rotto. Non lo fa più e quando lo fa è svogliato. Le rubriche paura, quelle cose lunghe mille pagine che trasudavano passione e amore e nerdismo assurdo che scriveva ai tempi di Page 2 e nei primi tempi di Grantland, sono praticamente sparite.

 

Screen-Shot-2013-12-20-at-10.07.12-AM1

 

Francesco:

Ok parliamo di scrittura, che ci interessa in vari modi tutti e tre. Parto dicendo una cosa: nel mondo dominato dall’hip hop, non è una critica seria dire a uno che fa name dropping e ama la vita con le celebrità, come si legge in quel pezzo. Ci sta, è la grammatica di questo decennio e a me non dà fastidio quando parla dei suoi pomeriggi con Magic, non sono invidioso. Mi pare che sia una descrizione reale come quando non conosceva le persone famose, non ci si può ossessionare per cose che poi sono alla base di quest’epoca di informazione e intrattenimento. Vedi, che ne so, le chiacchiere tra Arianna Huffington e Kobe Bryant ci stanno.

 

Dario:

Simmons ha sempre riversato tutta la sua vita nei suoi pezzi, dai suoi familiari (il padre invitato nei podcast, la moglie diventata la “Sports Gal”, anche i figli accompagnati alle partite dei Kings ecc…). Se la sua vita adesso è fare i pomeriggi con Magic, ci sta che ne parli. C’è anche una certa dose di invidia da parte del resto del mondo (e da Deadspin in particolare, che se c’è da criticare qualcuno è in primissima fila): Simmons è riuscito a fare quello che tutti sotto sotto vorrebbero fare, diventare l’industria di sé stesso e soprattutto guadagnare un fracco di soldi per, fondamentalmente, saper scrivere bene.

 

Tim:

Però siamo d’accordo tutti che, a scrivere, Simmons non è più quello di una volta? È anche normale eh, un tempo non faceva altro. Ora gestisce una redazione di 50 persone e probabilmente 30 avvocati e fa la radio e i podcast e il programma tv con Jalen Rose. È ovviamente uno scrittore diverso, meno, per usare un termine anche sportivo, committed.

 

Dario:

Assolutissimamente, non è più uno scrittore di alto livello né per analisi/competenza (che è sempre stata dubbia, in realtà), né a livello di battute divertenti, né a livello di stile. Non è neanche nei primi 10 autori del suo stesso sito, volendo essere cattivi.

 

Francesco:

Diciamo che idolatra Duncan, ma come scrittore è il vecchio Kobe. Duncan, diciamo, would pick his spots. Simmons è un ball hogger. Però immagino sia più impegnato ora. E poi sentite: la preseason con un quarto d’ora di lui e Jalen Rose su ogni squadra quanto è stata bella, due anni fa? Per me, meglio in video comunque. A ogni modo stamattina ho ascoltato Jeff Van Gundy con Zach Lowe per un’ora e sinceramente mi basta che The Lowe Post continui e sto bene.

 

Dario:

Ecco, secondo me i podcast sono il vero game changer. Una delle poche cose buone che si diceva su di lui in quel pezzo su Deadspin era proprio questo: nei podcast lui dà il meglio e fa veramente la differenza, anche a livello di numeri (oltre 500k download per ogni episodio). Sono il genere “del futuro”: facili da scaricare, accessibili, consumabili quando più si è comodi nell’era dell’on demand spintissimo. In più, ha quasi sempre ospiti di altissimo livello perché comunque può attingere al bacino enorme di ESPN. Non mi sorprenderebbe se decidesse di spingere ancora di più su quel fronte, anzi un po’ ci spero. Tim parlava di “inevitabilità storica” dell’addio di Simmons: è anche il destino di Grantland, quello di bruciarsi in fretta come una stella che muore troppo presto? (All’inizio di questo bel pezzo si faceva riferimento a The National).

 

Tim:

Io parlerei del lavoro fatto come “direttore” di un giornale. Prendete questa quote di Deadspin: «Quest’anno Grantland è stato nominato per tre National Magazine Awards, probabilmente i premi più prestigiosi per i media dopo i Pulitzer. Le uniche pubblicazioni che hanno ricevuto più nomination sono il meglio dell’editoria attuale, e nessuna di queste è esclusivamente online: New York Magazine, Bon Appetit, The New Yorker, The Atlantic, GQ, e Virginia Quarterly Review. […]».

 

Francesco:

Quindi ora chi fanno direttore, innanzitutto? Un esterno o un interno?

 

Dario:

Io credo uno esterno, perché gli interni sono tutti fedelissimi di Simmons. Non ce li vedo a prendergli il posto che è stato suo, con che faccia tornerebbero a parlargli? Anche perché temo che Simmons, appena scade il contratto, faccia partire la jihad contro ESPN: il suo personaggio ne ha un po’ bisogno, anche per quello che ci siamo detti prima per la sua figura da “uomo contro l’establishment e controcorrente”. Ovunque vada, mi aspetto frecciate su frecciate verso i suoi ex datori di lavoro. Anzi, volendo ha già iniziato in privato.

 

Francesco:

Ah certo, specie se sta andando da HBO. Comunque Dario, sarà anche più establishment di quanto sembri, ma il problema di non poter dire cose sulla NFL esiste o no?

 

Dario:

Il casino che si è creato con la NFL è un punto di svolta del suo rapporto con ESPN, ma mi sembra più una scusa che non la vera causa del suo mancato rinnovo di contratto. Insomma, non è stato tanto il fatto di aver chiamato “bugiardo” il commissioner della NFL Roger Goodell, quanto aver sfidato i capi a licenziarlo subito dopo. Per anni Simmons ha giocato con la possibilità che lo licenziassero—”Don’t get fired Bill!” gridato da Jalen Rose era diventato un tormentone—e gli ha fatto comodo, dando l’impressione di avere una personalità incontenibile, sempre in bilico tra il rimanere fedele al proprio posto di lavoro e ai propri “principi morali”, il che è sempre affascinante.

 

Francesco:

Ma tu cosa provi? Non capisco come ti senti di fronte a tutto ciò. Grantland è stata la mia colazione e il mio Late Show negli ultimi anni.

 

Dario:

Io? Io ho paura che il posto di lavoro dei miei sogni domattina sparisca. Cioè, da quando è nato Grantland è il mio sogno nel cassetto: probabilmente irrealizzabile, ma è quello che vorrei fare nella vita. Credo che si noti molto bene da quello che scrivo, da come lo scrivo e da tutto quello che twitto.

 

Francesco:

Ok. Intanto avrai notato che Tim è sparito e sta mandando il suo CV a Grantland.

 

Tim:

Scusate ero su volagratis.com. Sapevate che i voli Milano – Los Angeles costano pochissimo?

 

Francesco:

Vabbè. Tim, dicci chi diventa direttore di Grantland.

 

Tim:

Ah, non ne ho idea. Però secondo me Bill ormai è tipo un allenatore. Ha smesso di giocare. Ora inizia una nuova fase della sua vita, in cui a scrivere saranno altri, e lui non farà altro che presentare. Comunque, da qualche parte atterrerà. E atterrerà bene.

 

Dario:

Per me è un grande centravanti che a fine carriera arretra e si trasforma in rifinitore. Però allo stesso tempo pretende ancora il rispetto assoluto dei compagni e di essere trattato come il #1… Vogliamo dire Totti?

 

Francesco:

No, no, no, no, non esagerate.

 

Dario:

Scusa Fra, dovevo.

 

Tim:

NON SI TOCCA IL CAPITANO.

 

Francesco:

Macché: non voglio che paragoniate i due. Lasciate in pace Simmons, che almeno ha avuto la forza di volare da est a ovest, da Boston a L.A., mentre Totti non è mai stato a Roma Nord oltre l’Olimpico né a Roma Est. CON TUTTO IL RISPETTO EH. (Chiudiamola qui che me la rischio. Forza Magica Roma).

 
 

Tags : bill simmonsESPNgrantland

Francesco Pacifico scrive su IL e Repubblica e il suo ultimo romanzo è "Class - Vite infelici di romani mantenuti a New York" (Mondadori 2014).

Timothy Small vive a Milano. Head of Content di Alkemy digital enabler, ha diretto VICE Italia fino al 2012. Giornalista e film-maker, ha co-fondato l'Ultimo Uomo nel 2013 con Daniele Manusia e nell'aprile del 2015 ha fondato Prismo, rivista online di cultura contemporanea. Scrive regolarmente per GQ, L'Uomo Vogue, Linus, e ogni tanto anche per IL, Undici, The Paris Review e Studio.

Dario Vismara è caporedattore della sezione basket de l'Ultimo Uomo. Laureato in linguaggi dei media con una tesi sulla costruzione mediatica della carriera di LeBron James, ha lavorato come redattore a Rivista Ufficiale NBA e nel 2016 è passato a Sky Sport curando la sezione NBA del sito. Ha tradotto "Eleven Rings. L'anima del successo" (Libreria dello Sport) ed è il curatore della "Guida NBA 2017-18" (Baldini & Castoldi).

Condividi:
Carica i commenti ...

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi "Stili di gioco" direttamente nel tuo inbox.

Potrebbero interessarti

Boxe Katherine Dunn 12'

In difesa di Tyson: il morso della discordia

Un estratto dal libro “Il circo del ring. Dispacci dal mondo della boxe” di Katherine Dunn pubblicato da 66th and 2nd.

Boxe Tommaso Clerici 8'

Mi manca combattere, intervista a Daniele Scardina

Abbiamo intervistato il pugile di Rozzano, che venerdì torna sul ring dopo oltre un anno.

tennis Emanuele Atturo 9'

Il tennis di Djokovic nasce dalla testa

Una finale dominata grazie alla sua lucidità.

tennis Emanuele Atturo 8'

Aslan Karatsev è la storia di questi Australian Open

Il russo giocherà la semifinale contro Djokovic dopo essere partito dalle qualificazioni.

UFC Giovanni Bongiorno 8'

Kamaru Usman chiede rispetto

Con quella di UFC 258, Usman è arrivato a 13 vittorie consecutive.

Dello stesso autore

mou Francesco Pacifico 1'

Mou: il personaggio

Il personaggio-Mourinho: l’allenatore del millennio, l’attore del secolo, nel nostro terzo long-form.

Sport Francesco Pacifico 9'

Go big or go home

La scena degli sportsbar a Hell’s Kitchen, New York, il libero mercato, il bisogno di stabilità, il primo giorno dei playoff NBA, posti chiusi per renovation, Knicks – Celtics, «ne vuoi un’altra?», Rajon Rondo in borghese, sottotitoli in diretta, le persone che vedi su YouPorn.

I più letti del mese

Calcio Dario Saltari 8'

La lite tra Ibrahimovic e Lukaku non è solo un affare personale

Non solo una rissa tra bulli.

Serie A Redazione 16'

Come riparare il vostro Fantacalcio

Non è ancora tutto perduto.

Calcio Fabio Barcellona 10'

Di cosa parliamo quando parliamo di costruzione dal basso

Un aspetto di cui si parla spesso a sproposito.

UFC Daniele Manusia 11'

Conor McGregor contro la realtà

C’è uno scarto significativo tra quello che McGregor sa di essere, e quello che dà a credere agli altri.

Serie A Emanuele Atturo 9'

Perché il Milan ha ricevuto così tanti rigori

Un ragionamento sul rapporto tra rigori e VAR.

altro da bill simmons
Sport Dario Vismara 13'

L’impatto di Grantland

Elaborare il lutto e andare avanti.

Sport Redazione 8'

È stata una bella avventura

Commemoriamo la chiusura di Grantland scegliendo i nostri articoli preferiti.

NBA Dario Vismara 13'

Chiedi chi era Moses

La carriera, i silenzi, l’incredibile mole di lavoro della superstar più dimenticata del basket NBA, che ci ha lasciati a soli 60 anni.