
L’obiettivo di ogni grande attaccante che milita in un campionato europeo, trofei di squadra a parte, è di vincere la classifica dei cannonieri della propria lega, la migliore sublimazione del proprio lavoro in campo. Oggi a dire il vero il ruolo dell'attaccante si è evoluto ed è diventato più complesso: a un attaccante non viene più chiesto soltanto di finalizzare quanto prodotto dalla squadra, ma anche di partecipare alla costruzione di questo prodotto.
Un grande attaccante, però, deve saper conciliare questo sacrificio e questo lavoro col numero di gol. Il calcio si è evoluto ma i centravanti d’Europa non hanno smesso di puntare alla porta e alla vetta delle classifiche marcatori.
La Scarpa d’Oro è la Royal Rumble degli attaccanti, un tutti-contro-tutti dove si combatte a colpi di coefficienti e calcoli. In breve: a ogni campionato è associato un determinato valore, che va poi moltiplicato per il numero dei gol segnati nella stagione in corso. Ad esempio, essendo la Liga tra le prime cinque leghe europee, un gol segnato in Spagna va moltiplicato per 2. Nell’ultima annata, Messi ha realizzato 36 reti, che raddoppiate in base al coefficiente UEFA lo hanno portato a quota 72 punti, uno score tale da permettergli di vincere la sua sesta Scarpa d’Oro in carriera (è il giocatore che ne ha vinte di più).
Scorrendo l’albo d’oro di questo trofeo si trovano diversi nomi illustri: oltre a Messi c’è ovviamente Cristiano Ronaldo (quattro volte vincitore), Diego Forlan ha vinto in due occasioni così come Henry e Suarez, mentre Totti e Toni detengono una Scarpa d’Oro a testa. Continuando a procedere a ritroso si trovano nomi di altri grandi del passato come Jardel, Makaay, Larsson. E in questo turbinio di punte fortissime e affermate spunta un nome insolito, che forse abbiamo ormai dimenticato: Kevin Phillips.
Gli anni dell’anonimato
Phillips oggi resta l’unico calciatore inglese ad aver vinto la Scarpa d’Oro. Per molti anni è rimasto anche l’ultimo inglese ad aver vinto la classifica marcatori della Premier League (fino all’esplosione di Harry Kane). Phillips è riuscito a realizzare questi primati in una sola, straordinaria stagione, alla quale è arrivato dopo un percorso partito dai bassifondi delle leghe inglesi.
Nato ad Hitchin (nell’Hertfordshire) il 25 luglio del 1973, agli esordi della sua carriera Phillips faceva parte delle giovanili del Southampton. Leggenda vuole che in quel periodo abbia addirittura pulito gli scarpini ad Alan Shearer, mitico attaccante inglese che detiene il record di gol in Premier League (260).
Da giovane, comunque, Phillips era considerato troppo basso per giocare come attaccante: il suo metro e settanta di altezza ha portato gli allenatori a non considerarlo una prima punta e a utilizzarlo come terzino destro. Un ruolo nel quale, però, non è riuscito a brillare. Nel 1991, appena diciottenne, Phillips venne così scartato dal Southampton e fece ritorno nell’Hertfordshire, firmando un contratto con il Baldock Town. La sua carriera sembrava già arrivata a un punto cieco, con le giornate divise tra il lavoro di magazziniere alla Dixons e gli allenamenti per giocare nell’ottava categoria inglese. Phillips aveva 21 anni e avrebbe dovuto già dimostrare di poter fare il professionista.
Come ha raccontato in un’intervista, se la sua carriera da attaccante è decollata parte del merito va anche a Ian Allinson, che gli concesse l’opportunità di giocare come prima punta. Phillips sembra ricordare bene quel giorno: «Una volta (a causa di una serie di infortuni) ci serviva una prima punta, così ho alzato la mano e ho detto che sarei potuto andare io davanti, era quello che avevo sempre desiderato. In quella partita ho segnato una doppietta».
Da lì la nuova vita del calciatore Phillips ha preso il via. «Segnati quei due gol non mi sono più guardato indietro». Nel 1994 è stato acquistato dal Watford per 10.000 sterline, e dopo tre anni a buoni livelli è passato al Sunderland per 325.000 sterline. È il 1997, i Black Cats militano nella First Division inglese e ancora non sanno che da lì a due anni si ritroveranno a lottare per l’Europa in Premier League. Grazie anche alla migliore stagione della carriera di Kevin Phillips.
Quando Phillips ha cominciato a far parlare di sé
Il ventitreenne Phillips si trova così catapultato in una realtà inaspettata per la piega che aveva preso la sua carriera solo qualche anno prima. Talmente inaspettata da aver dato vita a un aneddoto curioso: nel corso di uno dei suoi primi giorni al Sunderland la squadra si allenò sulla spiaggia. Non aveva parole, non si era mai reso conto che la sua nuova casa fosse così vicina al mare, facendo scoppiare a ridere il resto della squadra.
Nelle prime quindici apparizioni in campionato Phillips ha faticato a imporsi con la sua nuova maglia: appena quattro gol segnati e Sunderland fermo a metà classifica. Poi l’attaccante inglese ha cominciato a carburare, e insieme a lui tutta la squadra: a fine stagione saranno 35 i gol segnati (29 in campionato), con i Black Cats terzi in classifica. Ai playoff, però, dopo aver superato lo Sheffield United, il Sunderland si arrese al Charlton dopo un rocambolesco 4-4. Partita persa ai rigori per 6-7, con Phillips (in gol durante i tempi regolamentari) costretto a lasciare il campo al 73’ a causa di un infortunio. Nel frattempo, però, l’attaccante era già entrato nella storia del club: era dai tempi di Brian Clough (1961-1962) che un calciatore non segnava 30 gol in una sola stagione con la maglia del Sunderland.
I Black Cats terminano la stagione seguente al primo posto conquistando la promozione. Phillips è ancora capocannoniere, questa volta con 23 reti segnate in sole 26 presenze in campionato (più altre due reti in Coppa di Lega). Una macchina da gol che a ventisei anni si apprestava a fare il suo esordio in Premier League. Ancora prima, però, era arrivato l’esordio con la Nazionale: Phillips scese in campo con la maglia dei "Tre Leoni" il 26 aprile 1999, in occasione di un’amichevole contro l’Ungheria. Non riuscì a segnare ma per la prima volta si presentò al grande pubblico. Phillips alla fine non riuscì mai a segnare, nelle sue 8 presenze, e il fatto che l'unico inglese a vincere la Scarpa d'oro non abbia mai segnato in Nazionale è uno di quei fatti assurdi che finisce però per accrescere il culto di Phillips come attaccante periferico.
La stagione dei 30 gol
Prima del suo esordio nella massima serie inglese, Phillips ha detto di essersi sentito nervoso, perché un conto era segnare tanto nelle leghe cadette, un altro invece era affrontare i grandi. E questo perché, se nella First Division le occasioni per segnare arrivavano spesso, nella serie maggiore “in genere hai solamente una o due chance”.
La stagione 1999/00 per il Sunderland non cominciò per niente bene: i Black Cats persero 4-0 sul campo del Chelsea. Neanche il tempo di assorbire la botta, però, che Phillips e compagni erano dovuti tornare subito in campo per affrontare il Watford nel turno infrasettimanale. E lì è cominciata la cavalcata dell’ex terzino destro del Southampton verso la Scarpa d'Oro: la doppietta ha convinto tutti sulla sua efficacia nel campionato maggiore. Phillips non era soltanto un bomber di categoria.
Phillips era alto appena un metro e 70 e aveva imparato a girare attorno ai propri limiti fisici. Era bravo a sfuggire al contatto fisico con i difensori lavorando sui smarcamenti con l'artigianalità scrupolosa dei migliori attaccanti. Si muoveva con un grande istinto sulla linea del fuorigioco ed era prodigioso a trovare lo spazio per coordinarsi e tirare anche negli spazi più angusti. La rapidità d'esecuzione era senz'altro la sua migliore qualità. Oltre a una capacità prodigiosa di trovare di volta in volta il modo migliore per superare il portiere, e oggi infatti viene interrogato sulla materia "finalizzazione" come uno dei più grandi esperti. Lui descrive la sua capacità di finalizzazione attraverso immagini che semplificano molto il gol come fatto: «Ho la maggior parte dei miei gol fissi nella testa. La maggior parte delle mie finalizzazioni erano forti all'angolino. E il mio angolo preferito era quello basso alla sinistra. Mi piaceva tirare secco e tagliato lì».
Oggi che Kevin Phillips fa l'allenatore gli piace far esercitare i suoi giocatori attraverso la ripetizione: «Ci sono esercizi che puoi fare con i manichini. Come smarcarti, fare un piccolo passetto, mettere in avanti le spalle e mettere la palla all'angolo. È un esercizio che ha a che fare con la ripetizione».
Phillips quell'anno ha continuato a segnare con una regolarità spaventosa: a Natale il suo bottino era di 17 reti, compresa una tripletta in un clamoroso 5-0 fuori casa rifilato al Derby County il 18 settembre del 1999. Così, l’attaccante ha cominciato a credere davvero di poter raggiungere quota 30 reti in Premier League, anche se nella seconda metà di stagione fare gol era diventato più complicato: «I difensori avevano cominciato a prestare più attenzione verso di me, quindi è stato un po’ più difficile». Questo, però, non ha impedito a Phillips di segnare altre 13 reti e di vincere la classifica marcatori della Premier League - e, quindi, la Scarpa d’Oro.
La valanga di reti non è stata sufficiente a permettere al Sunderland di raggiungere l’Europa: i Black Cats, dopo essersi presentati da terzi in classifica al Boxing Day, alla fine si sono fermati al settimo posto in classifica, un risultato comunque straordinario per una neopromossa. Phillips definisce comunque quella sua stagione «un successo», perché «generalmente quando i giocatori segnano 30 gol, lo fanno in una squadra che si trova tra i primi due, tre o quattro del campionato», mentre lui lo ha fatto «in una squadra che è finita settima, e questo ha reso l’impresa ancora più grande». Parte del merito, comunque, va data anche a un altro giocatore degno di essere menzionato, perché è stato fondamentale per Phillips almeno tanto quanto Phillips è stato fondamentale per lui.
L’intesa con Quinn
Dopo sei anni passati al Manchester City, nel 1996 il trentenne Niall Quinn pensava di terminare la sua carriera in Malesia. Il gigante irlandese fu però convinto dal Sunderland, che su di lui investì 1.3 milioni di sterline. Voluto fortemente dall’allenatore Peter Reid, nella prima annata Quinn è stato lontano dai campi per 6 mesi a causa di un infortunio al ginocchio. Così, l’estate successiva, nel tentativo di valorizzarlo, Reid ha cercato di convincere il suo connazionale Connelly a unirsi alla causa dei Black Cats, ma l’altro irlandese (partner d’attacco di Quinn in Nazionale) alla fine si trasferì al Feyenoord. Per questo il Sunderland è stato costretto a virare su un profilo diverso: Kevin Phillips.
Un inglese alto un metro e settanta, un irlandese alto un metro e novantatré: sembra l’inizio di una barzelletta, di uno sketch con Stanlio e Ollio protagonisti, e invece è solamente calcio all’ennesima potenza, espresso tramite una delle partnership più efficaci nella storia del calcio inglese. Phillips e Quinn, nelle prime due annate nella First Division hanno messo insieme prima 43, poi 41 gol, contribuendo in maniera determinante alla promozione del Sunderland in Premier League. E una volta arrivati nella serie maggiore non si sono sfaldati - anzi, sono riusciti a fare ancora meglio: 30 reti per Phillips, 14 per Quinn, 44 in totale. Un’intesa perfetta, due macchine da gol che hanno reso grande la loro scuderia.
Come ricorda Phillips, che ne parla come fosse una storia d’amore calcistico profondo e inspiegabile, «È successo e basta: non abbiamo mai provato niente in allenamento, l’allenatore mi diceva solamente di stargli intorno». E la tattica funzionava a meraviglia: i due si bilanciavano alla perfezione, alle mancanze di uno sopperivano le qualità dell’altro e viceversa. Le gambe di Quinn «non erano più quelle di un tempo», quindi l'attaccante irlandese non poteva correre molto come invece poteva fare il piccolo Phillips, che gli ruotava intorno cercando di sfruttare il suo lavoro da centravanti puro, fatto di sponde e spizzate di testa.
Lo stesso Quinn, che tra l’altro qualche anno dopo sarebbe diventato il presidente del Sunderland, ricorda quel periodo con piacere. Per lui è stato come l’inizio di una seconda, inaspettata carriera. L’irlandese sottolinea come fosse «tutto intuitivo, tutto istintivo» tra loro due, con Phillips che era «bravo nel leggere le situazioni». Entrambi sapevano esattamente cosa fare, e per tutta la stagione hanno messo a ferro e fuoco le difese della Premier League: il 77% dei gol dei Black Cats sono stati opera loro. Nessuno dei due, nel corso delle rispettive carriere, è più riuscito neanche lontanamente ad avvicinarsi ai numeri di quell’anno d’oro.
Il gol contro il Chelsea
Phillips non ha mai più vissuto una stagione come quella. È rimasto al Sunderland fino al 2003, poi ha cominciato un suo personale pellegrinaggio nel calcio inglese che lo ha portato a vestire le maglie di Southampton (non più da terzino, s’intende), Aston Villa, West Bromwich, Birmingham, Blackpool, Crystal Palace e Leicester. Si è ritirato all’età di 40 anni, che sarebbero stati 41 se solo fosse nato un paio di mesi prima.
Tra tutti i suoi gol ce ne sono di diversi generi: Phillips non è stato un giocatore estremamente tecnico, da copertina, ma ha comunque segnato reti bellissime, frutto di un tocco delicato e di un destro preciso. Quando gli è stato chiesto di indicare il più bello tra i 30 gol realizzate in quella stagione memorabile, l’attaccante inglese dice: «Quello contro il Chelsea allo Stadium of Light».
4 dicembre 1999: un girone dopo, il Sunderland si trova di nuovo ad affrontare quel Chelsea che aveva schiantato per 4-0 i Black Cats nella prima uscita stagionale: «È stata la nostra vendetta», dice Phillips ripensando a quella giornata gloriosa, che riassume perfettamente tutta l’annata 1999-2000 sua e della sua squadra. Quella partita terminerà 4-1, Phillips segnerà una doppietta e gli altri due gol saranno opera di Quinn.
Basta guardare il video con gli highlights del match per cogliere l’essenza di quel Sunderland: si vede Quinn segnare di rapina con Phillips che gli corre dietro come farebbe un figlio piccolo con suo padre appena tornato a casa da lavoro; si vede l’attaccante inglese ribadire il pallone in rete dopo un intervento miracoloso del portiere su un tentativo di pallonetto del gigante irlandese; si vede Quinn segnare su calcio d’angolo e non di testa, ma con un sinistro al volo venuto fuori dal nulla; e soprattutto, dal minuto 0:54, si vede Phillips, col numero 10 sulle spalle, fare una serie di cose perfette, grazie a un allineamento di pianeti evidente: lascia scorrere il pallone, lo fa rimbalzare ancora una volta e poi lascia partire il classico destro che lasci partire solo quando sei consapevole che quella è decisamente la tua stagione. Un gol segnato con un giro di mezzo esterno da 30 metri, che sembrano provenire da un'epoca calcistica più epica e in cui il calcio era più semplice.