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Dario Costa
Kawhi Leonard è stato un lampo
25 apr 2023
25 apr 2023
L’ala dei Clippers ha giocato due grandi partite per poi infortunarsi, ancora una volta.
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Dario Costa
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IMAGO / USA TODAY Network
(foto) IMAGO / USA TODAY Network
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Una delle caratteristiche, anzi forse la caratteristica che consente alla NBA di continuare a crescere in popolarità è la capacità di attrarre, crescere e quindi proporre nuovi talenti. A ogni stagione la lega presenta volti nuovi, giovani all’esordio o che riescono ad affermarsi compiendo quel balzo nelle prestazioni che li porta all’attenzione di tifosi e appassionati. Tra le controindicazioni, invero poche, di questa caratteristica c’è viceversa la facilità con cui si tende a dimenticare chi, spesso per ragioni di forza maggiore o per un inevitabile calo di rendimento, fino a poco tempo prima era protagonista indiscusso e oggetto di ammirazione pressoché unanime.È il caso di Kawhi Leonard, ovvero l’unico giocatore insieme a Kevin Durant a essere riuscito a detronizzare LeBron James quando il Re era ancora al picco di carriera. Il consistente ricambio generazionale in atto ha messo un po' in disparte il prodotto di San Diego State, che peraltro non ha fatto granché per riguadagnarsi il palcoscenico. Da molto tempo, infatti, più o meno dalla stagione trascorsa in maglia Toronto Raptors nel 2018-19, Leonard tratta la regular season alla stregua di una lunga fase di preparazione fisica in vista dei playoff e, tra infortuni di varia entità e l’ormai celeberrimo load management, specialità di cui può ben dirsi precursore, i momenti davvero degni di nota, anche dalla primavera in poi, sono stati pochi. Nelle ultime due annate, Leonard ha prima dovuto dare forfait proprio sul più bello, a metà della semifinale di conference contro gli Utah Jazz, e successivamente non ha nemmeno messo piede in campo nella stagione 2021-22.Per molti, dunque, l’ultimo ricordo significativo di Leonard risale alla bolla di Orlando e alla clamorosa disfatta contro i Denver Nuggets. È perciò più che comprensibile che in questi tre anni, tra le resurrezioni cestistiche di James e Curry e l’emergere dei vari Antetokounmpo, Jokic ed Embiid, ci si fosse quasi dimenticati di lui. Le prime due gare della serie contro Phoenix, però, si sono rivelate un efficace promemoria: Leonard, quando riesce a rimanere sano, è uno dei migliori giocatori di pallacanestro sulla faccia della Terra. Solo che non riesce mai a rimanere sano a lungo. Reinventarsi in tempo realeI Clippers si sono presentati alla post-season con un’identità se non del tutto stravolta, di certo sostanzialmente modificata dalle scelte fatte sul mercato alla trade deadline. L’innesto di Mason Plumlee ha sancito l’abbandono dei quintetti senza lunghi di ruolo, architrave del progetto tattico di Lue fin dal suo ingaggio nell’estate del 2020, mentre quello di Russell Westbrook, non proprio il modello di giocatore plug and play, ha inevitabilmente scombussolato gli equilibri di squadra. Come se non bastasse, a complicare ulteriormente il lavoro del coaching staff è arrivato anche l’infortunio a Paul George che, a meno di un recupero tanto improbabile quanto rischioso, lo terrà fuori per tutto il primo turno di playoff. Infine, la classifica finale della Western Conference ha regalato un incrocio assai poco agevole con Phoenix, altra squadra che come e più dei Clippers ha optato per un restyling massiccio a febbraio.Dal punto di vista del talento complessivo a disposizione, il gap nei confronti dei Suns, per molti i favoriti a rappresentare l’ovest alle prossime Finals, è apparso da subito evidente. Nel quadro generale di una serie per molti versi indecifrabile, con le due contendenti impegnate a reinventarsi proprio nel momento cruciale della stagione, una cosa è risultata chiara a tutti fin da subito: le speranze dei Clippers erano legate alla condizione psicofisica di Kawhi Leonard, chiamato giocoforza a dare il meglio sia in difesa che in attacco. Le prime due partite hanno in qualche modo alimentato queste speranze, perché Leonard ha dominato su entrambi i lati del campo.In una squadra che già non poteva contare su molti giocatori in grado di crearsi un tiro da soli, l’assenza forzata di George ha finito inevitabilmente per accentrare la manovra offensiva su Leonard. Le lacune dei Clippers in fase di playmaking, solo in parte mitigate dall’aggiunta di Westbrook (peraltro non esattamente il decision maker più lucido della lega) hanno costretto Kawhi a prendere in mano le redini dell’attacco con maggior continuità. A dispetto di uno Usage Rate cresciuto poco rispetto alla regular season (da 26.7% a 28.5%), l’ex Spurs si è trovato a gestire buona parte dei possessi della squadra, a maggior ragione nei momenti decisivi delle partite (lo usage rate nel 4° quarto, frazione in cui si sono decise sia gara-1 che gara-2, è schizzato al 36.2%). Le cifre mandate a referto non hanno bisogno di grandi commenti: 34.5 punti tirando con il 54.5% dal campo, 6.5 rimbalzi, 6 assist, 2 palle recuperate e un generale senso di dominio fisico e tecnico avvertito anche nella sconfitta di gara-2.All’interno di una serie che è una vera e propria masterclass del midrange, Leonard ha inoltre tirato con il 49.2% dalla media distanza, dato speculare (49.3%) a quello di avversari che possono vantare mostri sacri della specialità come Booker, Durant e Paul (il dato complessivo dei Clippers nella serie è un ben più modesto 35.7%). L’efficacia al tiro non è solo frutto di una meccanica di tiro affinata durante gli anni a San Antonio in compagnia di Chip Engelland, quanto dei progressi dimostrati proprio una volta lasciato il Texas nel 2018. Da allora Leonard è migliorato in molti aspetti del gioco, prima di tutto nella capacità di leggere i potenziali mismatch che, considerata la combinazione di caratteristiche fisiche e tecniche di cui dispone, non mancano mai. Quelli sono i momenti in cui Kawhi si trasforma nella versione cestistica di Predator, metà alieno e metà robot, e sfrutta l’oggettivo vantaggio in termini di chili e centimetri oppure di agilità, ball-handling e rapidità d’esecuzione.

Il rientro pigro dei Suns lascia Leonard accoppiato con Paul e l’ala dei Clippers ne abusa.

La strategia di Monty Williams per evitare di subire le conseguenze dei mismatch a favore di Leonard è consistita nel raddoppio, che in alcune fasi della partita è risultato quasi sistematico, sulla stella dei Clippers. Purtroppo per i Suns, tuttavia, un altro ambito del gioco in cui Leonard è migliorato molto nella seconda metà di carriera riguarda le letture offensive. Oggi l’ex Spurs è in grado di servire i compagni con tempismo perfetto anche quando viene raddoppiato o addirittura triplicato, generando così tiri aperti o canestri facili per i compagni.

La difesa dei Suns si chiude attorno a Leonard e lui trova un pertugio per servire Westbrook sotto canestro per un potenziale gioco da tre punti.

L’utilizzo del corpo, specialità che nel basket contemporaneo su un giocatore di quella stazza e di quel livello appartiene solo a LeBron James, rende Kawhi estremamente efficace anche come bloccante, permettendogli di generare tiri di qualità per i compagni anche senza toccare la palla. E, per finire, quando l’atmosfera in campo si riscalda, Leonard mantiene una freddezza quasi sovraumana.

La tripla di Leonard che tiene vive le speranze dei Clippers nel finale di gara-2.

Il ritorno dell’artiglioDal punto di vista difensivo, l’abbandono del progetto del quintetto senza lunghi di ruolo ha generato l’esigenza, ineludibile contro avversari come i Big Three di Phoenix, di ‘nascondere’ Zubac o Plumlee sull’esterno meno pericoloso degli avversari. Si tratta di un espediente gettonato anche nel resto della NBA in situazioni simili, ma che in presenza di un centro con punti nelle mani come Deandre Ayton necessita a sua volta di un esterno in grado di poter restare accoppiato contro un avversario di taglia fisica superiore. Allo stesso tempo, inutile negarlo, il piano difensivo dei Clippers non poteva non girare attorno all'obiettivo di limitare per quanto possibile la libertà di attaccanti eccezionali come Booker e Durant. Come avvenuto in attacco per ovviare alle carenze strutturali del roster, la soluzione individuata dalla panchina angelena per provare a risolvere questo complicato puzzle ha avuto un nome e cognome ben preciso. Lue ha provato a mischiare le carte a sua disposizione alternando l’opzione ideale per contrastare l’enorme potenziale offensivo dei Suns, cioè mettere Leonard su Durant o su Booker, a quella funzionale per gli equilibri difensivi di squadra, cioè Leonard su Ayton, e quella necessaria far rifiatare la sua stella, mettendo Leonard su Craig o Okogie. A prescindere dal compito assegnatogli, Kawhi ha ancora una volta dimostrato di poter condizionare gli avversari con la sua capacità di tenere sui contatti, come nel confronto con Ayton in post basso, o di saper sfruttare la mobilità laterale e la leggendaria velocità di mani per giocare d’anticipo, soprattutto nei tratti di partita in cui ha deciso di rientrare nel personaggio di The Claw.

Velocità di mani e presa sulla palla: quando Leonard ne entra in possesso è quasi impossibile togliergliela.

Come ricordato da Ohm Youngmisuk in una recente puntata del podcast di Zach Lowe, Leonard è il terzo giocatore dietro solo a P.J. Tucker e Trevor Ariza ad aver marcato Kevin Durant per più minuti in gare di playoff. La versatilità di Kawhi è essenziale per la tenuta difensiva di squadra, in particolare sui pick and roll dove i Clippers fin qui hanno faticato parecchio. La sua assenza anche in Gara-5, confermata questa notte, mette la squadra di Los Angeles spalle al muro, contro un attacco che non hanno davvero modo di contenere, se ognuna delle stelle di Phoenix farà la sua parte. Una scommessa dall’esito molto incertoSe la prima parte della serie coi Suns ha confermato una cosa, quindi, è che oggi più che mai Kawhi Leonard è il fulcro dei Clippers, interamente modellati attorno alla sua presenza (Ivica Zubac è l’unico superstite della loro versione precedente alla firma di Leonard nell’estate del 2019). Ed è proprio la sua presenza, o per meglio dire la sua frequente assenza, a rappresentare un fattore di rischio sempre meno potenziale e sempre più concreto, quasi scontato. Senza poter contare su Paul George, Leonard è stato obbligato a cantare e portare la croce, dimostrando di saper fare entrambe le cose ma pagando lo sforzo con il riacutizzarsi della distorsione al ginocchio destro patita nella prima gara della serie. La conferma della assenza in gara-5 è un colpo durissimo per i Clippers, che dovranno affrontare lo spettro dell'eliminazione fuori casa e senza il loro miglior giocatore. In questo momento l'idea di una loro vittoria e di un rientro di Leonard per gara-6 sembra fantascienza. Alla luce di questo ennesimo infortunio, sul proseguimento della carriera di Leonard si stanno addensando nubi minacciose. Capire quali siano le sue reali condizioni di salute, d’altronde, appare complicatissimoe il dramma, sportivamente parlando, e che gli stessi Clippers, a cominciare dal loro allenatore, paiono brancolare nel buio. Alla frustrazione accumulata nelle ultime stagioni e che deriva dal sentirsi in balia di un enigma indecifrabile si aggiunge quella più recente, frutto del rammarico dovuto alla sensazione che la squadra, pur priva delle sue due stelle, abbia perso il controllo della serie contro Phoenix solo a causa di un Booker stellare e non una comprovata e netta inferiorità. Cosa pensare se stanotte i Clippers perderanno una partita simile a gara-4, cioè combattendo fino all'ultimo contro una squadra dal talento nettamente superiore mentre Leonard e George verranno inquadrati a bordo campo in borghese? I due pilastri su cui si fondava il progetto avviato nell’estate 2019 hanno entrambi un contratto in scadenza nel giugno 2024 e una player option per la stagione 2024-25, mentre i Clippers sono destinati anche per le prossime stagioni ad avere il monte stipendi più alto della lega. Nelle quattro stagioni trascorse insieme, Leonard e George hanno giocato 118 partite di regular season, pari al 38% del totale di quelle disputate dalla squadra, e 24 di playoff, pari solo al 67% del totale. La scelta della dirigenza e del proprietario Steve Ballmer di affidargli il proprio destino e il tanto agognato riscatto nel panorama cittadino di Los Angelesper ora ha pagato dividendi assai modesti. L’investimento, in termini tecnici ed economici è stato enorme e il miglior risultato ottenuto fin qui– la finale di conference nel 2021, comunque la prima volta nella storia della franchigia – è arrivato, ironia della sorte, senza Kawhi. Sempre lì si torna, parlando di questi Clippers: alla presenza o all’assenza dell’ex Spurs. La scommessa fatta ormai quattro anni fa è per certi versi ancora in piedi, ma i margini di successo appaiono sempre più risicati. Pronosticare il suo esito rimane un azzardo, perché quando di mezzo c’è Kawhi Leonard i limiti del possibile, sia in senso positivo che negativo, diventano effimeri.

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