
Per chi segue la pallavolo solo attraverso la Nazionale, Ekaterina Antropova è l’alter ego di Paola Egonu, la seconda opposta che entra per il doppio cambio assieme alla palleggiatrice di riserva Carlotta “Charlie” Cambi. In realtà, a guardare bene, in questo biennio Antropova ha dimostrato di essere molto più di un’alternativa a Egonu, anche dentro la Nazionale, che spesso si è caricata da sola sulle spalle. È successo per esempio sia in semifinale che in finale, ai Mondiali - due partite in cui ha messo assieme 42 punti, contribuendo in maniera decisiva alla conquista del titolo iridato. Oggi, ad appena 22 anni, Antropova può essere considerata tranquillamente una delle migliori al mondo nel suo ruolo.
Antropova non a caso è già oggi una delle stelle dell’A1 e da quattro anni gioca in una delle squadre più ambiziose del panorama italiano ed europeo, la Savino Del Bene Scandicci. In questo 2025/26 la formazione di coach Marco Gaspari è impegnata in tour de force senza soste, scandito da 15 partite tra campionato e Champions League nei primi 55 giorni della stagione. Un calendario “compresso” a causa della partecipazione della Savino al Mondiale per club, che si disputerà in Brasile tra il 9 e il 14 dicembre, a cui la squadra di Firenze si è qualificata per la prima volta nella sua storia, grazie alla finale di Champions League raggiunta lo scorso anno (e persa contro un Imoco Conegliano apparentemente imbattibile).
Quando ho incontrato Ekaterina Antropova a fine novembre nella sede della Savino Del Bene Volley, quindi, volevo capire innanzitutto come si fa a ritrovare le motivazioni dopo aver vinto tutto nelle ultime due estati in Nazionale (Olimpiadi, Mondiali e due Nations League) e con meno di 10 giorni di pausa prima di ricominciare i suoi impegni a livello di club. «Quest’anno non avevamo tanti giorni liberi e abbiamo tantissimi impegni anche adesso», mi dice Antropova «Il tempo di riposo è stato poco ma noi ci adattiamo. Per quanto riguarda le motivazioni, io distinguo la Nazionale dal club: con la Nazionale abbiamo raggiunto tanti obiettivi, col club dobbiamo costruire ancora tanto».
Per la Savino Del Bene è un’annata vorticosa, in cui di fatto c’è pochissimo tempo per allenarsi e plasmare il nuovo gruppo, che ha visto partire giocatrici con un certo peso tecnico ed emotivo, come la schiacciatrice Britt Herbots e la centrale brasiliana Carol, sostituite da Caterina Bosetti e Avery Skinner in banda, oltre a Camilla Weitzel al centro. La squadra ci ha messo qualche settimana per trovare la sua forma, in cui ha lasciato qualche set per strada e perso a sorpresa a Cuneo, da cui è ripartita però vincendo, tra gli altri, gli scontri diretti con altre due big del campionato, Milano (3-0) e Novara (3-2).
Chiedo quindi ad Antropova, che rappresenta il punto fermo di questa squadra in attacco, se oggi si sente più responsabilizzata, come distribuzione ma anche come leadership, per quanto abbia pur sempre 22 anni. «Diciamo che cambiamo un po’ tutti gli anni, anche le personalità importanti: il primo anno ho giocato con Natalia e il secondo con Zhu Ting. Ogni anno bisogna ritrovare gli equilibri di cui parlavamo prima. Quest’anno abbiamo Avery Skinner che si prende anche lei tanti palloni e tante responsabilità in campo, giochiamo molto anche al centro. La quantità di partite permette di girare un po’ tutte le giocatrici, ma la responsabilità penso faccia parte del mio ruolo. Ormai ci sono abituata».
Per una giocatrice che per caratteristiche è portata ad attaccare decine e decine di palloni, spesso in situazioni scomode o su palla scontata, è determinante la gestione dell’errore e l’accettazione di quei frangenti quasi fisiologici in cui un’attaccante ha difficoltà a passare.
«Da quasi tre anni lavoro insieme con una mental coach. L’errore è un aspetto su cui ci siamo focalizzate molto perché è la base del mental coaching che ci ha fatto vedere anche Julio Velasco con il suo “qui e ora”, che sarebbe il concetto generale più semplificato. Cerco di restare nel momento, per quanto sembri banale ma in realtà non lo è. La tua autostima e le tue sensazioni in campo dipendono dalla tua performance ed è molto difficile non pensare al fatto che una partita determini quello che sei, però se ad esempio sbagli una partita o fai un brutto allenamento non significa che ti alleni sempre male. Bisogna distinguere i momenti e capire quando ripensare agli errori. La mia mental coach a volte mi dice: “non è questo il momento in cui pensare all’errore” e io rispondo “ma io voglio migliorare, come faccio a non pensarci?”. Lei mi dice di concentrarmi sul gioco e di ripensare all’errore a freddo, ma neanche troppo visto che non c’è tanto tempo [sorride]. Però è questa la chiave, tanto allenamento in palestra e tanto allenamento mentale, che fa la differenza».
PUNTI DI FORZA
L’opposta di Scandicci oggi è probabilmente la migliore battitrice in circolazione. Il suo servizio è una sentenza e i numeri restituiscono l’idea di un fenomeno fuori scala: negli ultimi due anni e mezzo è arrivata a 192 ace in campionato, 2,46 a partita, una media inavvicinabile per le altre giocatrici, che diventa ancora più clamorosa se si pensa che ha sbagliato appena 223 battute. Quasi un rapporto 1:1, che rende la misura della sua efficienza, a cui è arrivata tramite la standardizzazione del gesto tecnico.
Nonostante Antropova tiri sempre molto forte – il più delle volte verso la zona centrale del campo - trasmette un senso di grande controllo. «Abbiamo lavorato tanto sul dialogo interno», spiega riferendosi alla sua mental coach «Quando andavo in battuta avevo sempre un sacco di pensieri, del tipo “nel riscaldamento ho fatto 5 battute, 3 le ho sbagliate e 2 le ho messe di là. Questa sarebbe la sesta e quindi adesso faccio le proporzioni...” ma nell’arco degli 8 secondi a disposizione per battere non sono cose a cui dovresti pensare, dovresti avere la mente libera. Abbiamo iniziato da questo punto, poi abbiamo messo tanto ordine e tanta metodicità nell’esecuzione: la mental coach da poco mi ha girato un video di un mio servizio nel mio primo anno e si vede tanto la differenza. Quei rituali prima del servizio magari non ci sembrano tanto sensati, però ci rendono più tranquilli e sicuri. Anche il ritmo con cui faccio queste cose è molto importante».
Antropova, che tra l’altro è iscritta alla facoltà di psicologia, ci tiene a sottolineare il lavoro portato avanti assieme alla sua mental coach e a mettere in evidenza la dimensione psicologica dell’unico fondamentale su cui non possono influire compagne o avversarie, spiegandomi come riesce a “immergersi” nel mood della partita. «Ci sono alcuni palazzetti molto dispersivi, ad esempio Roma o Torino, che non sono studiati per la pallavolo e hanno dei soffitti molto alti, per cui sulla battuta si fa fatica perché perdi il contatto con la palla. Io ho l’abitudine di prendere dei riferimenti prima dell’inizio della partita. Nel riscaldamento entro nel mio mondo e quando sono a pancia in su mi concentro su un punto fisso del soffitto. Oppure tra un attacco a rete e la battuta io guardo gli angoli delle righe e poi il centro del campo, dove di solito ci sono le telecamere degli scout man. Che è poi la zona in cui batto, verso zona 6. Perché quando faccio la mia camminata, do le spalle al campo. Quando mi giro, vado subito a battere e non posso finire in un punto sbagliato. Devo controllare che ci siano delle strisce di taraflex, i led o il video check e capire come orientarmi».
Pensavo che in un ambiente rumoroso e dispersivo come quello del palazzetto, con stacchi musicali sempre più frequenti e diversi tempi morti, anche tra un punto e l’altro, fosse difficile mantenere la concentrazione, ma lei sposta l'attenzione su un altro aspetto. «In alcuni palazzetti il video check dura di più, però io cerco di non stare mai ferma: mi sposto, faccio dei saltelli, mi riscaldo facendo il clapping, anche sulle mani».
Un altro fondamentale in cui eccelle è il muro: i suoi 202 centimetri non possono non rappresentare un fattore, ma sono soprattutto la compostezza e la capacità di essere invadenti a fare la differenza. Antropova quando va a murare prende la forma di una cabina telefonica, in grado di fare ombra all’attaccante avversaria anche da sola. Dal 2023 viaggia a 0,6 muri/set in campionato, una media ben al di sopra delle altre opposte, che vale il 13° posto in una classifica dominata dalle centrali.
«L’ordine di muro e difesa sono correlate. Essendo una squadra è importante che ci sia ordine e si sappia cosa fare tutte insieme. Poi la pallavolo è situazionale e tante decisioni le devi prendere all’ultimo, quindi non puoi comunicarle prima. Però questi sono casi eccezionali, in generale c’è un sistema e ci sono gli allenatori che fanno degli studi sugli avversari. Quindi c’è anche tanto merito loro, ma ci sono anche le situazioni più istintive, in cui metti le mani all’ultimo, oppure le togli. Anche Julio [Velasco, nda] ne parlava, deve essere una sfida rispetto al giocatore che ti sta davanti. A volte essere sempre ordinata può essere una pecca, anche Marco [Gaspari, l’allenatore di Scandicci, nda] dice che siamo troppo pulite. Ogni tanto bisogna fare qualcosa di inaspettato, ma questa lettura più istintiva arriva con l’esperienza che inizio ad acquisire e mi sento migliorare. Però posso fare molto meglio».
Il muro più importante della sua carriera?
TENSIONE AL MIGLIORAMENTO
Nel libro Oltre il sogno di Fabrizio Monari, Antropova ha dichiarato che la semifinale con la Turchia agli Europei del 2023 è stata «una partita che la verità te la sbatte in faccia», spiegando come non si sentisse ancora al livello di Egonu e Vargas. Antropova però in questi due anni ha compiuto un salto in avanti impressionante.
«L’obiettivo in questo lavoro è sempre aggiungere qualcosa. Anche perché ho 22 anni e molto margine di crescita. Ogni anno aggiungo qualcosa. Riesco a intuire e leggere meglio le situazioni rispetto a quello che ero nel 2023, poi sicuramente la mia difesa è migliorata. Ma un po’ in tutti i fondamentali ho aggiunto». Mentre parla mi viene in mente la difesa da terza di rete in tuffo contro Vallefoglia poche settimane fa, in cui va a terra per coprire Bosetti con una reattività sbalorditiva per una giocatrice di oltre due metri.
«Mi arrabbiavo quando mi dicevano: “Ma sì dai, sei due metri e in difesa fai più fatica”. Ma cosa c’entra? Io voglio difendere!».
L’opposta nata nel 2003 si sta imponendo come una delle migliori attaccanti del panorama mondiale, anche perché ha dalla sua una palla di una rara pesantezza. Pure in quelle situazioni più statiche, in cui attacca senza rincorsa o su palla scontata.
«Qui rimaniamo alla frase della mia prima allenatrice: “Se la palla è più alta della rete va benissimo se vai e attacchi”. Per adesso il motto è questo. Però dovrei essere più performante con dei colpi alternativi, come fanno le mie colleghe».
A questo punto le mostro il video delle quattro pallette vincenti nella semifinale mondiale col Brasile, a riprova di quanto secondo me abbia aggiunto variazioni sul tema e di quanto evidentemente abbia spiazzato un Brasile che in quella partita aveva difeso l’impossibile.
«Ci sono solo pallonetti», controbatte Antropova a fine video «Non proprio quelle pallette che vorrei fare. Finché cadono va benissimo, diciamo che sto trovando fiducia anche in questi colpi qua. Il pallonetto sta un po’ nel mezzo tra il punto diretto e l’errore, e a volte non è male come soluzione, sono solo io che devo imparare ad accettarlo come compromesso».
Antropova è una giocatrice completamente protesa al miglioramento, che pretende tanto da se stessa: nel già citato libro di Monari raccontava che ci sono attacchi, come la diagonale nei due metri e mezzo che sono di Egonu e soltanto di Egonu. Al che le mostro un altro filmato, risalente alla partita di campionato della Savino proprio contro la Vero Volley Milano di Egonu, in cui da seconda linea gira una diagonale stretta dentro i 3 metri.
«Sì però questa è una palla piazzata, non forte. Ottimo colpo, perché dalla seconda linea non è facile. Di solito viene fatto dalla prima con una palla più vicina a rete». Mi ha colpito anche la mimica di coach Gaspari, che allarga le braccia dopo l’attacco. «Sulla “zero” [l’attacco da seconda linea, nda] lavoriamo tanto e forse stava pensando: “guarda, sai fare anche questo”».
A proposito di Egonu, Antropova nelle ultime due estati in azzurro si è dovuta ritagliare un ruolo differente rispetto a quello di titolare indiscussa a Scandicci, ossia quello di riserva pronta a subentrare almeno una volta a set. Le ho chiesto quindi se vedere la partita da fuori le permetteva di avere una visione più lucida o se al contrario viverla dall’esterno era più limitante.
«Con la mental coach ho lavorato molto anche su questo aspetto, perché essendo un ruolo diverso rispetto al club serviva un approccio nuovo per dare una mano alla squadra. Lei mi ha detto che quando sono in panchina non sto guardando la partita come se fossi a casa davanti alla TV, ma che mi devo preparare a un eventuale cambio. Mi consigliava di scegliere la giocatrice del mio ruolo, quindi l’opposta della mia squadra o di quella avversaria, e fissarla per imitarne i movimenti per la teoria dei neuroni a specchio. Le ho spiegato che mi sembrava un po’ eccessivo, ma magari succederà che nelle prossime partite io attacco assieme a Paola ed entrerò ancora meglio, chissà [ride]. Alla fine ho imparato a guardare solo Egonu che fa la partita».
A vederlo da fuori è stato incredibile come ogni volta che calasse una delle due, l’altra entrava e aveva un impatto immediato, rialzando immediatamente il livello dell’attacco. Incredibile quanto sfiancante per l’avversaria di turno.
«E non è neanche scontato avere la lucidità mentale di cancellare quello che c’è stato prima ed essere pronta a rientrare in campo. In questo siamo state molto brave: chi entrava, era subito sul pezzo e portava quelle informazioni che mancavano o quel qualcosa che notava da fuori».
Tornando alla Savino Del Bene, Conegliano chiaramente rimane la squadra da battere. Ma dopo la partita persa al Palaverde 1-3 (per almeno due set abbastanza equilibrata), le ho chiesto se ha avuto la sensazione che il gap si fosse ridotto.
«Conegliano è la squadra più forte al mondo, lo sappiamo. Però quando le affrontiamo c’è sempre un mezzo timore che ti porta a pensare: “se riesco a fare qualcosa bene, sennò pazienza è sempre Conegliano”. Sì sono forti, però mezza squadra gioca in Nazionale con me, mi alleno ogni estate con loro e in qualche modo le si deve affrontare. Speriamo di incontrarle anche al Mondiale, ma vediamo una partita alla volta».