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Kappa Icons: Marco van Basten 1988/89
27 feb 2024
27 feb 2024
La leggenda del Cigno tra i tifosi del Milan.
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‘Kappa Icons’ è una rubrica di Ultimo Uomo realizzata in collaborazione con Kappa. Lo storico brand di Torino ci ha aperto le porte del proprio archivio, chiamato Basic Gallery, e ci ha permesso di tirare fuori le maglie e di portarle per le strade. Abbiamo raccolto le maglie di 4 giocatori iconici che hanno indossato Kappa. Le abbiamo portate a Milano, Torino, Genova e Roma. Le abbiamo fatte toccare e indossare a chi quelle maglie ha dato un significato: i tifosi.

Abbiamo parlato con loro, facendoci raccontare le storie e le memorieche nascono da queste maglie, e dai giocatori che le hanno indossate, concentrandoci su una stagione in particolare.

Dopo essere stati a Genova, sui luoghi di Gianluca Vialli, questa puntata è dedicata al "Cigno", Marco van Basten. Siamo stati a Milano e abbiamo parlato con vecchi e nuovi milanisti per farci raccontare la sua eredità. Abbiamo raccontato l'annata 1988/89, ricca di gol leggendari. Tutte le fotografie sono di Giuseppe Romano.

«Magari in pochi hanno notato che van Basten aveva la camminata e la corsa con le punte dei piedi leggermente aperte verso l'esterno, come i ballerini». Questa osservazione minuziosa, da amante, la fa Gino, tifoso milanista da 60 anni. Ha avuto il privilegio di veder van Basten giocare dal vivo tante volte: «Quando sono andato per la prima volta alla Scala e ho visto Roberto Bolle, ho pensato “guarda... si muove come van Basten”».

Giriamo per Milano con un borsone Kappa rosso con scritto sopra “Mediolanum assicurazioni”. Dentro la maglia Kappa del Milan della stagione 1988/89, quella della prima Coppa dei Campioni. L’abbiamo fatta toccare e indossare ai tifosi rossoneri; a quelli che quel Milan l’hanno vissuto direttamente, e a quelli che lo hanno vissuto solo sotto forma di mito. Tutti, però, quando parlano di van Basten aprono gli occhi alla ricerca di qualche parola che renda ingiustizia a quella bellezza indescrivibile. Tutti aprono gli occhi e usano l’aggettivo “elegante” come un riflesso pavloviano.

Van Basten è raccontato anche in una puntata di Icone, sempre in collaborazione con Kappa.

«Io avevo tra i 10 e i 12 anni e quindi le mie memorie sono anche un po’ i racconti di quelli che erano più grandi di me e van Basten aveva, rispetto agli altri giocatori dell’epoca, un’eleganza incredibile, senza tempo», ci dice Andrea che gestisce un negozio di vestiti vintage in zona Porta Venezia e che ci tiene a farci vedere anche la sua collezione di memorabile di quel Milan. Il pezzo più pregiato è una giacca da allenamento usata da un giocatore di quel Milan. «Andavo sempre in curva, van Basten aveva delle movenze di un’eleganza irripetibile» ci dice Matteo, tassista. «Andavo allo stadio, van Basten era classe allo stato puro. Weah non ce l’ha fatto rimpiangere, però il cigno era il cigno, non c’è paragone» si unisce Carlo, carpentiere. Siamo attorno al cimitero della Certosa e la città brulica di memorie nascoste di Marco van Basten. Siamo in zona per andare a trovare Ugo, proprietario del Bar Principe, milanista di ferro. Capelli bianchi, maglione a 'V', barba impeccabile, eleganza meneghina e una rivendicata somiglianza con Giorgio Armani. Più di 80 anni portati indifferente al tempo, il bar tutto pieno di maglie, foto di coppe dei campioni o abbracciato a Massaro, frequentatore del bar. Ugo, Matteo, Andrea, Carlo amano parlare del Milan, soprattutto del Milan di quegli anni. Perché gli ricorda la gioventù, e perché è bello ricordare quel Milan.

Ciascuno di questi tifosi, parlando di van Basten usa il soprannome “Cigno di Utrecht” con una soddisfazione particolare, come se fosse davvero una specie di fiera mitologica, di bestia sacra. Come se solo usando il suo soprannome si potesse riuscire a sfiorare il suo ideale di bellezza.

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Foto di Giuseppe Romano.

Il padre di van Basten è un ex giocatore di buon livello e gli impone la carriera calcistica. A 12 anni Leo Beenhakker lo vorrebbe al Feyenoord ma non se ne fa niente, lui tifa Ajax, da ragazzino sogna di essere Johan Cruyff. È il suo eroe e il suo esempio; è cresciuto ammirando il suo Ajax e la sua Olanda del calcio totale. Non può che giocare lì.

A 16 anni passa all’Ajax e a 17 anni esordisce in prima squadra entrando proprio al posto di Cruyff. Fa subito gol. A 19 anni Cruyff diventa il suo allenatore, e lui diventa capocannoniere dell’Eredivisie; a 21 anni vince la Scarpa d’oro dopo aver segnato 37 gol in 26 partite. A 22 anni vince la Coppa delle Coppe segnando in finale. La sua ascesa è folgorante: a nemmeno 23 anni ha già raggiunto ogni traguardo possibile nel calcio olandese, e allora è tempo di andar via.

Leggenda vuole che a Silvio Berlusconi siano bastati 30 secondi di VHS: «Basta così, so già tutto: è un fenomeno, prendiamolo». Siccome van Basten è in scadenza di contratto, al Milan basta sborsare appena un miliardo e ottocento milioni di lire, il cosiddetto “parametro Uefa” - una sorta di penale che si doveva pagare all'epoca sui giocatori presi a scadenza di contratto.

Il Milan si stava apprestando ad avviare la rivoluzione sacchiana: nel 1987 Sacchi si era seduto sulla panchina dei rossoneri. Insieme a Sacchi e van Basten arriva a Milano anche il secondo straniero, Ruud Gullit, Pallone d’Oro nel 1987. Ugo è tifoso del Milan da prima dei tempi di Gre-No-Li (il trio Gren, Nordahl, Liedholm) e quindi le ha viste proprio tutte: «all’inizio con Berlusconi che prende Sacchi è un punto interrogativo. E dopo… dopo però no. Sacchi ha cominciato a martellare ed è venuto fuori il grande Milan».

Gli olandesi sono personaggi letterari. All’estroverso Gullit, perfetto nella Milano da bere della fine degli ‘80, fa da contraltare l’introverso e ombroso van Basten. «Il Cigno è sempre stato molto freddo come persona, anche quando ha dato l’addio cos’è che ha detto in conferenza… “il discorso è veloce, smetto di giocare e tutto qui”» ricorda Carlo. «Era un timido, non parlava molto, ma come tutti i timidi aveva i suoi momenti d’entusiasmo nello spogliatoio» ricorda Pietro Paolo Virdis, compagno di Marco van Basten, che oggi ha un suo ristorante-enoteca a Milano, zona Gerusalemme. Cucina sarda e grandi vini, e tutto intorno i cimeli del vecchio grande Milan.

Anche Andrea, abbonato allo stadio alla fine degli anni ‘80, ci parla della sua timidezza: «van Basten non era uno espansivo, era uno abbastanza tranquillo, nel privato non gradiva fare tante scene. Era uno che faceva la sua vita, però c’era molto affetto dai tifosi per lui. Era anche una persona per bene, che non guasta eh». Andrea nella sua tintoria è custode di un piccolo mausoleo milanista. In vetrina un micro-prato artificiale, le statuette di Baresi e Gullit, gagliardetti, scarpini, palloni, maglie e foto di ogni epoca.

Foto di Giuseppe Romano.

Eppure il rapporto tra Sacchi e van Basten non era idilliaco, nella sua autobiografia Sacchi lo definisce dal carattere meteoropatico. Matteo, sul taxi, ci racconta di una faida ideologica di cui si parla in città in quegli anni: «C’era questa leggenda metropolitana per cui a Gullit era concesso tutto da Sacchi e invece van Basten veniva tartassato per ogni movimento sbagliato». Che Gullit fosse un pupillo di Sacchi è chiaro. Non c’era un giocatore migliore per la concezione di calcio del tecnico romagnolo. Gullit è l’alfiere della sua rivoluzione calcistica, mentre con van Basten c’era un’incomprensione di fondo - una delle conflittualità classiche del calcio, quella tra individuo e collettivo. Sacchi guardava al suo talento con sospetto, e la diffidenza era reciproca: «Ero abituato a Cruyff, che era stato un grande giocatore. Pensavamo allo stesso modo. Sacchi era più teorico. Dovevamo guardare tanti video e lui parlava sempre durante gli allenamenti. Era troppo. Gli dissi: "Mister, me l'hai già detto 12 volte. Se non lo capisco ora, non lo capirò mai". Era così fanatico che continuava a raccontare le stesse storie. Era difficile da accettare».

C'è un elefante nella stanza: van Basten è arrivato infortunato. All’Ajax si era già operato alla caviglia sinistra, ma aveva anche problemi alla destra. «All’inizio c’era stata quella specie di farsa. Ho fatto la preparazione, ho anche giocato le partite di Coppa Italia in agosto. Trattenevo il dolore come potevo, ma senza riuscire a muovermi liberamente. Nella prima partita di campionato contro il Pisa feci anche un gol, su calcio di rigore. Ma non stavo bene, la caviglia non migliorava» racconta van Basten nella sua autobiografia, Fragile: «Il Milan ha quindi deciso di fare un comunicato. La società ha reso noto il mio problema alla caviglia, e che non avrei giocato per qualche tempo così da lavorare al mio recupero». La prima stagione è andata via praticamente per completo.

Già si capisce che da un certo punto di vista il suo destino fisico è segnato, che la sua esperienza al Milan avrebbe dovuto convivere con lo spettro della fragilità fisica, col dolore e le attese di rivederlo in campo. «perdere un giocatore così è difficile, però purtroppo con lui era così, non potevi farci niente» dice Carlo: «aspettavamo sempre il rientro... e poi niente...».

Nella sua prima stagione ritorna ad aprile, a cinque giornate dalla fine: ritorno con gol, e poi segna anche nel decisivo scontro diretto contro il Napoli. In totale la sua prima stagione in Serie A gioca 11 partite e segna 3 gol. Eppure è comunque Scudetto al primo colpo. Virdis ricorda van Basten come un talismano, capace di risolvere le partite anche da infortunato. In realtà il "Cigno" non è davvero un protagonista del primo Scudetto del Milan di Berlusconi, è piuttosto una specie di co-protagonista. È proprio Virdis, invece, a trascinare la squadra con 11 gol che ne fanno il miglior marcatore del Milan in campionato, con Gullit a fare da stella della squadra.

A fine stagione van Basten va a giocare l’Europeo con l’Olanda, partendo da riserva, e lo vince: quello che è ancora il primo e unico trofeo internazionale degli Orange. Ma non è che lo vince e basta: finisce capocannoniere, segnando una tripletta all'Inghilterra e il gol decisivo in semifinale contro la Germania padrona di casa. E poi segna anche in finale: il suo gol più celebre, la traiettoria perfetta e impossibile, uno dei gol più belli della storia del calcio. Il gol che esprime al massimo il suo ideale di bellezza, la sensazione che solo alcuni esseri umani sanno usare il proprio corpo al massimo delle sue possibilità.

I milanisti guardando quel gol devono aver provato una strana sensazione. Prendono consapevolezza di avere in squadra uno dei migliori attaccanti al mondo, ma al Milan non lo hanno ancora visto all’opera.

La nuova Serie A inizia a ottobre, perché c’erano state le Olimpiadi di Seul. Il ritardo gioca in favore di van Basten, che può curare con attenzione il suo fisico precario. Per capirci, il Milan esordisce prima in Coppa Campioni, contro il Vitosha Sofia (l’attuale Levski), che in Serie A. Nella sua autobiografia van Basten scrive: «Tutti gli occhi erano puntati su di me, ma la pressione che mettevo a me stesso era ancora maggiore. Il primo anno al Milan l’avevo comunque considerato un anno perso, quindi adesso ero convinto di dover dimostrare di cosa fossi capace».

L’impatto con le prime partite della stagione è devastante: van Basten si sente bene fisicamente e prova cose che non si erano mai viste. In Italia non c’era mai stato un centravanti così tecnico e creativo fuori dall’area di rigore. Per capirci, a Cruyff era anche balenata l’idea di farlo giocare trequartista. L’eleganza del gesto rubava l’occhio, ma van Basten era soprattutto un giocatore freddo e preciso: quando doveva finalizzare il gioco, sì, ma anche quando doveva rifinirlo. Dopo il 2-0 a Sofia, l’esordio stagionale in casa della Coppa dei Campioni riflette bene il suo stato psicofisico: i suoi primi tre gol sono di sinistro e il quarto è di testa. E no: van Basten non era mancino - per dire della completezza assoluta del suo repertorio.

Il Milan non inizia però come sperato la difesa del titolo. Gullit è infortunato e la sua mancanza si sente: 3 vittorie e 2 pareggi nelle prime 5 giornate. Nel frattempo ci sono gli ottavi di Coppa dei Campioni contro la Stella Rossa. È forse proprio questa doppia sfida tra fine ottobre e inizio novembre a drenare le prime energie mentali della squadra, perché sarà una delle più toste della stagione. L’andata a Milano finisce 1-1, gol di Stojkovic e Virdis. Gli jugoslavi giocano alla pari del Milan, le speranze di vincere al ritorno sono abbastanza basse, come confesserà lo stesso van Basten. Ormai già celebre per la franchezza radente al pessimismo cronico ai microfoni.

Al ritorno però si palesa il cosiddetto “culo di Sacchi”, come lo chiamerà Gene Gnocchi parafrasando ironicamente il francese “cul de sac”. La partita si gioca in una nebbia così fitta che non si vede nulla. Non solo in tv, ma anche in campo. A un certo punto si intuisce che abbia segnato la Stella Rossa e poco dopo che Virdis è stato espulso, all’insaputa di tutti. Al minuto 63 la partita viene sospesa, è impossibile proseguire e il regolamento parla chiaro: si riprende il giorno dopo, ma si riparte dal primo minuto in 11 contro 11, con Virdis comunque squalificato.

Il giorno della nuova partita non c’è la nebbia ad aspettare la sfida, ma un freddo pungente. L’anima pragmatica, da olandese, di van Basten gli suggerisce una soluzione di fortuna: pantaloni lunghi della tuta tagliati a metà e usati sotto i pantaloncini come fossero scaldamuscoli. È un altro Milan, ma anche un’altra Stella Rossa, forse stanca. I rossoneri passano in vantaggio proprio con il cigno di Utrecht. Van Basten di testa dal secondo palo su cross perfetto di Donadoni alla mezz’ora, ma il Milan viene ripreso subito dal fenomeno Stojkovic assistito dal genio Savicevic. I due giocatori più temuti. Per un brutto infortunio a Donadoni i rossoneri devono tirare fuori la carta a sorpresa: Gullit convocato anche se ancora infortunato, mezzo miracolato dopo i massaggi del santone olandese Troost, fatto venire appositamente con un volo privato la sera prima.

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In foto trovate, in ordine di apparizione: Ugo, Gino, Pietro Paolo, Andrea e Filippo. Foto di Giuseppe Romano.

Neanche l’ingresso di Gullit basta: è quasi impossibile vincere al Marakana di Belgrado contro questa Stella Rossa. Per riuscirci servono i rigori. Il primo per il Milan in teoria lo dovrebbe calciare il rigorista van Basten, che però svaga al momento delle assegnazioni; si propone allora Baresi che segna. Van Basten va invece per secondo e calcia un rigore perfetto al sette che gela il Marakana. Il primo a sbagliare è Savicevic tirando un rigore brutto, centrale e quello decisivo per passare lo calcia Rijkaard, non certo un rigorista e si vede dal fatto che la palla calciata maluccio prende il palo interno prima di entrare. Con enorme fatica il Milan è ai quarti di finale. Non ci sarebbe stato il Milan degli Immortali senza queste due giornate a Belgrado.

Tornando al campionato la sconfitta 2-1 con Atalanta in casa e soprattutto per 4-1 a Napoli fanno capire che la difesa del titolo non sarà una passeggiata. La vittoria a Lecce viene seguita da una pesante sconfitta nel derby per 1-0. Due pareggi e nuovamente sconfitta stavolta col Cesena. Il Milan è settimo dopo 12 giornate e a 10 punti dall'Inter di Trapattoni primo. Il lunedì successivo alla sconfitta di Cesena c’è Biscardi che annuncia l’esonero di Sacchi nel Processo. I giornali danno per fatto l’arrivo di Capello. Van Basten le ha giocate tutte, ma ha segnato solo 4 gol. All’ingresso in campo per la partita contro il Torino dopo il derby perso, gli viene chiesto espressamente se pensa di riuscire a superare questo momento difficile. Lui, sempre di poche parole, si dice tranquillo.

In quella partita segna una doppietta, la prima in Serie A, il gol dell’1-0 ad inizio partita e poi quello del 2-2 nel finale. Il gol di inizio partita è uno di quelli a cui siamo abituati ad associarlo: il colpo di testa in tuffo. E tornerà più avanti in una versione ancora più gloriosa.

Nel frattempo, il 27 dicembre 1988 vince il pallone d’oro: dietro di lui Gullit e Rijkaard, è un premio anche per l'Olanda campione d’Europa. Soprattutto un riconoscimento di tutta l’Europa della grandezza del Milan: i rossoneri sono la squadra più forte al mondo e van Basten ne è la stella.

La sconfitta di Cesena che aveva fatto parlare di esonero è la quarta sconfitta stagionale, ma anche l’ultima. Dalla vittoria di Como alla tredicesima giornata il Milan non perderà più e inizierà a scalare la classifica. Nella vittoria per 3-1 a Roma van Basten sbaglia un gol solo in area piccola su assist al bacio di Gullit e il telecronista dice: «i gol facili non sono la specialità del centravanti». Poco dopo sembra voler dare un significato ulteriore a quel gol facile sbagliato, segnandone uno complicato: c’è un cross dalla sinistra, sponda al centro di prima, la palla arriva veloce e van Basten la stoppa al volo e calcia subito di sinistro.

I risultati utili consecutivi portano il Milan dal settimo al terzo posto di inizio primavera, ma il Napoli e soprattutto l’Inter di Trapattoni, appaiono irraggiungibili. C’è anche la sfida con il Werder Brema di Otto Rehhagel nei quarti di finale della Coppa dei Campioni: una squadra fisicamente devastante, un bello scoglio per le italiane dell’epoca. Dopo il pareggio per 0-0 in Germania con tanto di polemiche sull’arbitraggio, al ritorno arriva il gol su rigore di van Basten per passare il turno. Dal dischetto aveva una freddezza speciale.

Il suo gol porta alla semifinale più attesa, quella contro il Real Madrid. È una finale anticipata ed è la sfida sognata da tutti i milanisti. È il modo per iscriversi nuovamente al club delle grandi squadre d’Europa. Il Milan tornava nella competizione europea più importante dopo quasi dieci anni, mentre il Real era alla terza semifinale consecutiva. Gli spagnoli si apprestavano a vincere la loro quarta Liga consecutiva e erano considerati anche i favoriti in quella Coppa dei Campioni. È il Real Madrid della Quinta del Buitre (l’attaccante Emilio Butragueño), di Hugo Sánchez e dei grandi talenti tecnici. Il Real Madrid negli anni precedenti aveva eliminato Inter, Juventus e Napoli. A Milanello circola grande ottimismo, e il capitano Baresi cerca di portare equilibrio: «A me qualcuno sembra fuori di testa, il Real Madrid non perde da 37 partite».

Il pareggio finale dell’andata potrebbe far pensare a una gara equilibrata: in realtà la squadra di Sacchi domina a Madrid con un’esibizione di pressing organizzato e sincronismi perfetti della linea difensiva. Nessuno accorciava il campo in quel modo per giocare il fuorigioco. Il Real Madrid, allenato dall’olandese Leo Beenhakker (quello che voleva al Feyenoord van Basten sedicenne), non riesce a giocare. Eppure il Real Madrid riesce a portarsi in vantaggio col solito Hugo Sanchez, il centravanti dai gol a un tocco, a cui risponde con un gol a un tocco van Basten. Il gol più bello della sua stagione.

A 15 minuti dalla fine, Tassotti dalla trequarti crossa in area molle, a mezza altezza. A quel punto van Basten potrebbe stopparla per servire l’inserimento del centrocampista, e invece si lancia sul pallone di testa quasi ad allontanarsi dalla porta, perché il pallone sta curvando all’indietro. Si lancia mentre il suo difensore lo guarda attonito, colpisce di testa il pallone che si impenna immediatamente, ma è una frustata. Il colpo di testa supera il portiere Buyo, che non era fuori dai pali, ma si stampa sulla traversa, e poi come dice Pizzul “carambola” sulla schiena di Buyo ed entra.

Marco van Basten non stava giocando bene in area di rigore, aveva sbagliato almeno due gol facili, eppure ancora una volta in questa stagione gli basta un momento per cambiare le sorti di una partita. In questo caso forse proprio della stagione del Milan. Cosa è stato, quel momento, per un tifoso del Milan? Andrea, della tintoria, ricorda: «Mio cognato, anche lui milanista, era a Madrid per lavoro e quando è tornato mi ha portato i giornali spagnoli e mi ricordo i titoli “un equipo que ha encantado”, riferendosi al Milan “empate y gracias”, pareggio e grazie per dire che il Milan ha giocato molto meglio». Il capitano Baresi indica nell’1-1 al Bernabeu il momento in cui la rosa ha preso consapevolezza della sua vera forza, il momento in cui si è aperto a tutti gli effetti il ciclo degli Immortali.

Per il ritorno l’atmosfera è diversa, la vittoria del Milan è nell’aria. Ci racconta Matteo il tassista: «Ho fatto carte false per prendere i biglietti contro il Real Madrid, a cercarlo fuori lo stadio, ad un certo punto vedo Leone di Lernia che faceva il bagarino e mi dice se ne voglio uno, chi poteva immaginarlo». Al ritorno a San Siro, la Scala del calcio, va in scena la caduta degli dèi: i giocatori del Real sembrano addirittura incapaci di capire cosa stesse succedendo. Il Milan schianta per 5-0 i favoriti spagnoli, dimostrando tutte le proprie idee non solo col fuorigioco e il pressing, ma anche con il pallone.

Il gol del 4-0 di Marco van Basten è la firma di un nuovo stile di gioco, di qualcosa che travolge il vecchio calcio per sempre. Fraseggio a centrocampo, palla avanti e palla dietro, poi al momento giusto lancio nello spazio verso Gullit, sponda di testa verso van Basten, controllo di destro, un piccolo controllo ancora e poi sinistro forte sotto l’incrocio lontano. Un’espressione formidabile di dinamismo, con giocatori in posizioni diverse rispetto a quelle di partenza, tutti attivi – anche quelli che non toccano il pallone. 24 secondi, 7 tocchi, 7 giocatori coinvolti, con due che toccano due volte il pallone. Van Basten che aiuta la manovra e poi la finalizza. Scrive nella sua autobiografia: «Era una sensazione pazzesca far parte di una squadra tanto forte, che poteva mettere alle strette gli avversari in quel modo, anche quando non avevamo la palla. Dopo due stagioni avevamo affinato sempre più questi automatismi. Certo, il sistema di Sacchi era solido, ma alla fine era decisiva la qualità dei giocatori.»

Si arriva alla finale di maggio a Barcellona contro la Steaua Bucarest, il Milan formalmente in trasferta deve giocare con la seconda maglia e la Kappa ne fornisce una nuova per l’occasione: invece che la classica bianca con le due bande rossonere sul petto dietro allo sponsor Mediolanum, è tutta bianca col colletto rossonero e priva di sponsor, un dichiarato omaggio a quella con cui il Milan aveva vinto la sua prima Coppa dei Campioni nel 1963.

A Barcellona arriva una marea rossonera dall’Italia con tutti i mezzi di trasporto a disposizione, sugli spalti del Camp Nou ci sono circa centomila milanisti: non si poteva uscire dalla Romania, quindi niente tifosi della Steaua. Ci dice sempre Gino: «una finale tutta di tifosi rossoneri, mi sembrava di giocare in casa». Un entusiasmo che finalmente contagia anche van Basten: «Era stato un tragitto pazzesco, dall’Hotel Ritz al Camp Nou. Sul volto dei giocatori si leggeva la sorpresa. Non era normale, si era diffusa spontaneamente la sensazione di essere imbattibili, la consapevolezza che quella sera sarebbe dovuto succedere davvero qualcosa di clamoroso per non farci vincere».

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In foto, in ordine di apparizione: Anna, Andrea, Daniele e Andrea. Foto di Giuseppe Romano.

La Steaua, alla fine degli anni ‘80, era una delle grandi squadre d’Europa. Aveva vinto la Coppa dei Campioni nel 1986 e nel 1988 aveva raggiunto la semifinale. Arrivava a quella finale sulla scia del quinto titolo nazionale e di un’imbattibilità che durava da tre anni. Era una squadra che Bruno Pizzul in telecronaca descrive come «tatticamente molto evoluta, che vanta nelle sue file alcuni elementi di notevole classe, a cominciare da Hagi, ma poi anche Lacatus e Piturca». Nel pre-partita Sacchi legge allo spogliatoio riunito l’articolo di Gianni Brera: «Giochiamo contro i maestri del palleggio e del possesso palla, dobbiamo aspettarli e uccellarli in contropiede», Sacchi ovviamente non segue il consiglio.

Non c’è partita: la linea difensiva rossonera impedisce allo Steaua di attuare il suo gioco, i due attaccanti olandesi ne liquidano le speranze in pochi minuti. Il primo tempo finisce 3-0, è una sinfonia rossonera. Cinquanta secondi dall’inizio del secondo tempo e un filtrante di Rijkaard trova van Basten tra i due centrali; ovviamente il numero 9 non sbaglia e sigla il 4-0: «Sbucai alle spalle del mio uomo e col sinistro centrai il secondo palo». Il secondo e il quarto gol della finale sono di van Basten, gli altri due di Gullit. Non sembra un caso che le reti arrivino premiando una volta uno e una volta l’altro le due stelle della squadra, quelle che l’hanno trascinata sul tetto del mondo. Ci racconta sempre Gino: «io lavoravo in un’azienda il cui datore di lavoro era interista sfegatato. Sono riuscito a strappargli la promessa che se il Milan avesse vinto quella Coppa dei Campioni, sul pennone al posto della bandiera dell’azienda avrebbe fatto mettere quella del Milan».

Sono tutti concentrati sulla Coppa Campioni. Chiudono il campionato con 4 vittorie, che non bastano però a vincere il titolo. È forse attraverso la frustrazione che van Basten si abbatte sulle povere difese italiane: fa 8 gol in quelle 4 partite inutili. Tra marzo e maggio aveva segnato soltanto 2 gol in campionato. Chiude con 19 gol, secondo assieme a Careca del Napoli nella classifica dei cannonieri, 3 meno di Serena dell’Inter.

La stagione si conclude con l’insolita Supercoppa del 14 giugno 1989 tra il Milan scudettato solo in teoria e la Samp vincitrice della Coppa Italia 1988. Una partita posticipata di mesi sempre a causa dei Giochi Olimpici di Seul. Vialli porta in vantaggio la Samp, ma poi vince il Milan 3-1; van Basten serve l’assist per i primi due gol del Milan e poi segna su rigore il terzo. È la prima Supercoppa Italiana organizzata.

Van Basten chiude la stagione con 33 gol in 47 partite, numeri pazzeschi per quell’epoca, soprattutto nella Coppa Campioni: 4 gol nel primo turno, gol decisivo per pareggiare a Belgrado negli ottavi, gol del passaggio del turno ai quarti, gol andata e ritorno nella semifinale, doppietta in finale. Segna 4 gol di testa, 4 di sinistro e 2 di destro, è l’apoteosi del suo repertorio tecnico.

A fine 1989 vince un altro Pallone D’Oro a ricordare quella che probabilmente è stata la sua più importante stagione in carriera, quella in cui ha posto le basi per diventare il miglior centravanti della storia del Milan e uno dei più iconici della storia del calcio, costante pietra di paragone per tutti quei numeri nove che cercano di ammantare di stile il proprio mestiere.

«Io ho la fortuna di essere cresciuto in una famiglia profondamente milanista», ci dice Daniele tifoso trentenne il cui primo impatto con il mondo del Milan e quindi del calcio è stato proprio nell’epoca di van Basten: «mio padre è una persona molto sanguigna, ama e odia i giocatori del Milan: non gli ho mai sentito dire nulla contro van Basten, era un’entità superiore. Quindi io sono cresciuto in questo culto. Il mio approccio con il pallone è stato filtrato da quegli standard estetici, da quegli standard tecnici. Ci sono stati pure giocatori che sono stati molto forti poi dopo nella storia del Milan, però senza quella nota estetica».

Una percezione di picco massimo di eleganza raggiunto che in van Basten è condizionata anche dall’effimerità della sua carriera: «Siamo palesemente in una situazione in stile Achille, cioè vita breve e immortale. Il suo nome sarà ricordato da tutti ma la sua carriera è durata quel che è durata» continua Daniele, toccando il filo del destino che lega van Basten ai grandi topos mitologici. Il suo corpo allo stesso tempo in grado di fargli fare i gesti più eleganti e forse troppo fragile per il calcio sempre più fisico che si andava creando in quegli anni. Ci dice sempre Daniele: «Io a 5-6 anni senza sapere nulla di anatomia umana andavo dai miei genitori e dicevo: la cartilagine gliela posso dare io, facciamo un trapianto che a me non serve per giocare quanto a lui». Andrea del negozio vintage, ricorda la fase in cui è infortunato in modo cronico e non riesce più a tornare al 100%: «Si è ritirato nel momento in cui stava diventando il più grande di tutti. Cioè van Basten a 28-29 anni si può dire che ha smesso di giocare, si è ritirato a 32, ma a 29 già non ce la faceva più per la cartilagine…» Una fiamma raggiante e bruciata in fretta.

Il Milan vincerà tanto anche senza di lui, a van Basten è però legato al momento esatto in cui il Milan raggiunge la dimensione dell’immortalità. Matteo è categorico: «van Basten era un qualcosa di unico, irripetibile, un centravanti così non lo vedremo mai più, mai, mai più».

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