Ricordo una partita di una noia mortale. Ricordo i tempi morti, i ritmi bassi, il tempo che non passava mai, i colpi di sonno. Ricordo una partita tra due squadre paranoiche e mosse solo dalla paura di perdere. Ricordo una delle partite più brutte viste allo stadio in vita mia. Era Bologna-Empoli ed era la prima partita di Thiago Motta sulla panchina rossoblù dopo l’esonero di Sinisa Mihajilovic. La squadra prese due traverse, Orsolini giocò in maniera frustrante e Bandinelli in contropiede regalò la vittoria all’Empoli.
Uscendo dallo stadio non sapevamo cosa pensare. Si era capito: il Bologna voleva costruire qualcosa ma non era molto chiaro cosa. Si era schierata a 4 in difesa e aveva provato ad alzare il baricentro e a stare in campo in maniera meno disperata. I giocatori si passavano la palla con l’attenzione di chi non è abituato a farlo: come se si stessero effettivamente passando quella palla per la prima volta nella loro vita, decifrando una coreografia sconosciuta.
Ripenso a quella partita perché è difficile sovrapporre l’immagine di quel Bologna a quello che diventerà poi. Associare quella squadra rigida, sterile e noiosa a quella libera e leggera che incanterà il campionato più o meno un anno dopo: la fluidità, gli scambi di posizione, i gol segnati dopo azioni da 35 passaggi. Usciti quel giorno dallo stadio le persone si domandavano per quale motivo seguissero il calcio, mentre quello gli stava per regalare una delle più grandi gioie della loro vita da tifosi. Dovevano aspettare solo un anno e mezzo.
Mi torna in mente quella partita adesso che la Juventus sembra giocare ingabbiata dentro una camicia di forza, e guardare le sue partite rappresenta un esercizio contemplativo. Una squadra che è diventata una sfarzosa macchina da zero a zero.
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