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Marco D'Ottavi
Al momento la Juventus non è una squadra
12 ott 2022
12 ott 2022
E le colpe di Allegri e della società sono evidenti.
(di)
Marco D'Ottavi
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Xinhua News Agency / IPA
(foto) Xinhua News Agency / IPA
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Quando Allegri dice che il calcio è semplice, in un certo senso ha ragione. È semplice, ad esempio, anche per un occhio poco allenato come il mio, capire quando una squadra non è più una squadra, ovvero quando ha perso tutti quei riferimenti minimi che rendono un insieme di calciatori professionisti qualcosa in più di un ammasso di singoli talenti. Per mettere le cose in prospettiva: la Juventus dell’anno scorso era una squadra che giocava molto male; la Juventus di quest’anno, invece, non è una squadra.Ne è una dimostrazione la partita di ieri con il Maccabi Haifa, ma lo sono anche quelle precedenti, anche buona parte di quelle, poche, vinte. Se chiedete a me, l’unica partita in cui la Juventus è sembrata una squadra, con un piano preciso e le capacità tecniche e tattiche per attuarlo, è stata quella contro la Roma, e neanche per tutta la partita (poi pareggiata). In altri momenti a far sembrare la Juventus una squadra sono stati o il talento individuale di alcuni singoli, come quello di Di Maria con gli israeliani all’andata, o una sorta di ribellione alla superiorità dell’avversario, come contro il PSG (partita comunque persa). E magari qualcosa salterà fuori anche nella prossima partita contro il Torino, che comunque è un derby, che arriva dopo un ritiro, ma questo non farà della Juventus una squadra e di Allegri l’allenatore adatto a portarla fuori dai problemi che ha contribuito in larga parte a creare.Sono le non-squadre, chiamiamole così, che prendono 2 gol in un tempo (che potevano essere 3) da un avversario tanto inferiore per mezzi e blasone come il Maccabi (che non vinceva in Champions League da 20 anni). Le non-squadre fanno queste cose qui, si muovono per il campo come estranei, non tengono le distanze, non sanno dove sono i compagni, sbuffano invece di reagire, alzano le spalle invece di cooperare. Nel secondo gol del Maccabi è tanto evidente la scollatura tra i calciatori della Juventus e l’ordine minimo necessario su un campo da calcio da essere quasi passata inosservata la quantità di comportamenti imperfetti, di passività e di indecisione.

Se tutte queste cose vanno storte, può essere solo colpa dell’errore del singolo? Se Cuadrado perde quel pallone, è completamente colpa di Cuadrado? Non è forse perché sta ricevendo un passaggio spalle alla porta ben marcato, in una zona di nessuno, da un compagno troppo vicino? E perché quel compagno, Danilo, poi gli si sovrappone alle spalle portandogli un avversario addosso invece di offrire una linea di passaggio sicura? Cuadrado a quel punto deve obbligatoriamente provare a orientare il controllo verso il centro, ma è una giocata difficile e scontata che l’avversario capisce (perché è più facile rubare palla a chi ha una sola alternativa) e sporca facilitando l’intervento del compagno (che si trova lì perché McKennie e Milik sono nel cerchio di centrocampo senza avere nessuna idea di cosa fare). Subito dopo è Paredes a sbagliare, provando a correre in avanti per recuperare il pallone invece di coprire il centro, rimanendo a metà strada. E poi, nella successiva ripartenza del Maccabi, Rugani è troppo passivo, mentre Alex Sandro stringe troppo e poi è quantomeno sciatto nel difendere il tiro di Atzili. Per chiudere in bellezza Szczesny è rivedibile nel suo intervento.Per trovare il colpevole in questo gol, ma anche in quasi tutti i 14 tiri in 90’ del Maccabi, si potrebbe dire, come ha detto Agnelli dopotutto, che sono i calciatori i responsabili perché non riescono a vincere un tackle. Il presidente della Juventus lo ha detto con la volontà di discolpare Allegri, non capendo però che se i tutti i calciatori perdono i duelli individuali o sbagliano tutte le scelte la colpa è per forza di cose dell’allenatore. Se Cuadrado era in quella situazione scomoda è perché non c’è un piano per farlo ricevere meglio, magari in corsa, magari fronte alla porta, visto che sono le sue caratteristiche. Se Paredes prova a difendere in avanti è perché è così che è stato abituato, una scelta che avrebbe funzionato in una squadra corta dove i tre difensori non stavano quindici metri alle sue spalle, pronti a scappare indietro. Di questi esempi se ne possono fare mille: nel gol di Brahim Diaz è solo Vlahovic che sbaglia un passaggio o è una non-squadra che fa ricevere in una zona sbagliata il suo centravanti? Nel gol della vittoria del Benfica è solo Paredes a perdere un contrasto o è tutta la squadra a muoversi male in fase difensiva, lasciando gli avversari a banchettare sulla trequarti? Allegri ha spesso provato a fare questo giochino di trovare i colpevoli: una volta erano i giovani, un'altra i vecchi che non badavano ai giovani, una ancora gli infortuni o i passaggi sbagliati, evitando di prendersi alcuna responsabilità davanti ai microfoni, come se lui non avesse alcuna influenza sulle prestazioni dei calciatori (i più pagati della Serie A). La sconfitta col Maccabi, che taglia la Juventus in maniera quasi definitiva dagli ottavi di Champions, proprio lo scoglio che invece era stato chiamato per superare, a chi può essere imputata?Ieri la Juventus ha iniziato schierata con il 4-4-2, il modulo più usato quest’anno, schierando però Cuadrado a sinistra e McKennie a destra, ovvero uno sulla fascia opposta a quella battuta in oltre 10 anni di carriera e uno semplicemente fuori ruolo. Come era stata preparata la partita? Non è dato sapersi, ma al Maccabi bastava far ricevere il suo numero 10 Chery nello spazio tra il centrocampista e l’esterno per far arrivare l’azione sulla trequarti e poi aprire sulla fascia per trovare un cross in un’area di rigore riempita il più possibile. Un piano non particolarmente articolato, ma efficace contro una squadra che non trova risposte contro quasi nulla. Dopo meno di 10 minuti, un gol e un quasi gol arrivati con la stessa identica azione, Allegri ha pensato di rimescolare tutto riportando Cuadrado a destra, alzando Alex Sandro a sinistra e passando alla difesa a tre (con Danilo più stretto), con McKennie mezzala sinistra a formare un 3-5-2. Questa disposizione ha portato, se possibile ancora più confusione. Chery ha continuato a ricevere muovendosi nei mezzi spazi, Atzili attaccava l’area partendo da dietro indisturbato, con la Juventus che non ha mai deciso chi doveva seguirlo (se non c’è l’allenatore, anche i calciatori non sembrano in grado di parlare tra loro). Nel mezzo, per la seconda (o terza) volta si è infortunato Di Maria, e anche tutti questi infortuni non possono essere totalmente frutto del caso o della sfortuna. Nel secondo tempo la reazione, ancora una volta, è stata affidata alla capacità di Cuadrado di creare qualcosa con il pallone tra i piedi. Stranamente non è servito. Ieri è sparita anche quella forza nervosa che permetteva alla Juventus di giocare bene i primi minuti di una partita o gli ultimi. Un ulteriore passo indietro, se è possibile fare passi indietro.

Uno dei tanti esempi di come per il Maccabi fosse facile entrare all’interno della difesa posizionale della Juventus, con i giocatori posizionati troppo lontani tra loro e troppo passivi. Da questa giocata nascerà poi il primo gol.

Se contro il Monza, in una maniera che è difficile da spiegare, era sembrato che davvero i giocatori avessero voluto giocare contro Allegri (forse indispettiti da alcune delle tante dichiarazioni di quest’anno, in cui aveva più o meno detto che la rosa non era quella che si aspettava), la sconfitta con il Maccabi è colpa del caos che in questo momento guida le scelte di Allegri. È dall’inizio di questa stagione che quasi ogni partita della Juventus è animata da cambi modulo a ogni cambio di vento (nella sconfitta col Benfica ce ne sono almeno tre), spostamenti di uomini da una parte all’altra del campo alla ricerca di una soluzione che sembra esistere solo nella sua testa. Il calcio però non è come un puzzle, dove - prova e riprova - l’incastro lo trovi, soprattutto se le prove avvengono durante le partite e non durante gli allenamenti. In questo momento i suoi calciatori non capiscono, o si rifiutano di farlo, le sue indicazioni, quello che cerca attraverso i cambi apparentemente sballati (come quello di Milik col Benfica, come fatto notare da Di Maria) o le sue scelte controintuitive. Se il mio giudizio può essere parziale, ci sono i numeri a confermare l’assenza di una che ben minima idea dietro alle prestazioni di questa squadra: la Juventus, con quel potenziale lì, è undicesima in Serie A per xG creati, tredicesima per tocchi nell’area avversaria, sedicesima per tocchi nella trequarti avversaria, terzultima per dribbling tentati. Tira a partita lo stesso numero di volte della Cremonese. Anche nella fase difensiva, che era il fiore all’occhiello dell’allenatore, le cose non vanno tanto meglio: la Juventus è nelle ultime posizioni in tutte le statistiche che riguardano il pressing, i tentativi di fermare i dribbling avversari. Per funzionare una fase difensiva in cui non si pressa, deve essere capace di difendersi in maniera posizionale in maniera perfetta, ma questa versione della Juventus non ci riesce: è decima per xG concessi, ottava per pericolosità per tiro concessa, terzultima nei duelli aerei vinti (una delle poche statistiche che Allegri dice di guardare), nella seconda metà della classifica anche per quanto riguarda falli commessi e subiti. Sono numeri, prove reali cioè, che dicono che niente va bene. Anche l’unica piccola gioia per i tifosi, le prestazioni di Miretti, sono scivolate verso l’oblio dopo l’episodio del rigore contro il Benfica.

Forse Allegri si è illuso di poter intervenire in maniera mistica, grazie alla sua capacità di relazionarsi con i giocatori e di trovare una soluzione in corso d’opera, perché nella sua vecchia esperienza alla Juventus andava più o meno così. Allegri provava un po’ di cose e poi tutto magicamente si aggiustava. Ma quella era un’altra Juventus, non solo più forte, ma che aveva sviluppato - per meriti della società, di Conte e dello stesso Allegri - una specie di autocontrollo automatico sulle partite (e, nei rari casi in cui veniva meno, erano dolori). Oggi Allegri è vittima della sua presunzione. Porta avanti una battaglia che ha già perso, trascinandosi dietro la squadra e i tifosi. Una battaglia che ne ha minato anche le sue capacità comunicative, trasformando ogni intervista in un'ulteriore picconata allo stato d’animo di tutte le persone che hanno a cuore la Juventus. Dire dopo la partita col Maccabi che «quando una sfida è più difficile diventa più bella» per giustificare la sua scelta di non dimettersi (rispettabile, per carità, vista la presenza di un contratto lungo ancora due anni e mezzo) è l’ennesima conferma che ormai Allegri è un uomo che pensa solo a sé stesso e a provare un punto che ormai è anche difficile capire quale sia. E questo è l’esatto contrario di quello che dovrebbe fare un allenatore. Se prima poteva essere considerato un allenatore conservativo, che faceva giocare male le sue squadre, che aveva più a cuore l’equilibrio che l’armonia, oggi non si tratta più di avere uno stile di gioco spiacevole, ma di aver perso quelle capacità taumaturgiche che ti spingono fino ad allenare la Juventus. A un allenatore a questo livello viene richiesto di trattare il calcio come una scienza, anche se possiamo obiettare che non lo sia. Deve essere preparato, conoscere tutto, valutare tutto, unire insieme tantissime capacità gestionali e sportive. Mettere i giocatori in campo come se tutto questo non contasse, come se l'importante fosse «andare avanti, non indietro» o «passare la palla a quello con la maglia uguale alla mia» vuol dire non fare il proprio lavoro. E non fare il proprio lavoro per un allenatore si riverbera a cascata sulla società: lo stadio si svuota, le magliette non si vendono, i like diminuiscono, i nuovi tifosi spariscono. In poche parole entrano meno soldi. Dopo la batosta del Covid e alcune (molte) scelte sbagliate, la Juventus può permettersi di avere un dipendente che le fa perdere soldi? Che dopo alcune delle partite più brutte della storia della Juventus dice che non bisogna essere «simpatici e bellini». Allegri sa che lo sport è anche intrattenimento? Che è chiamato a valorizzare la rosa, creare un gioco, formare un'identità e attraverso queste arrivare ai risultati? Allegri lo sa che gli abbonati della Juventus pagano dai 650 ai 2700 euro, più del doppio di ogni altra squadra di Serie A? Che comprare un biglietto per lo Stadium è un salasso? A questo punto Allegri dovrebbe fare almeno il gesto, prendersi le sue responsabilità e vedere come reagisce il gruppo e la società, che non è certamente esente da colpe. In mancanza di confronti interni ed esterni è scontato pensare che sia ancora al suo posto solo perché guadagna troppo e ha un contratto troppo lungo, anche perché l’unica uscita a riguardo ha lasciato intendere sia così. https://youtu.be/z4CfgUUgR9U

Arrivabene che risponde a un tifoso che chiede l’esonero di Allegri, questa è la comunicazione Juventus al momento.

Un cambiamento radicale nella gestione della Juventus, che è necessario anche solo perché il mondo va avanti e non si può restare fermi, richiede prima un’analisi dei propri errori. In un tempo abbastanza breve la società ha sperperato un capitale che sembrava non potesse esaurirsi mai. Ha sbagliato diverse scelte, di campo e fuori. Ha costruito una rosa forte sulla carta, ma piena di storture. Non è stata in grado di gestire la transizione da un gruppo a un altro, tenendosi in squadra - e strapagando - giocatori che non hanno più nulla da dare (vedi Alex Sandro, costretto a essere titolare nonostante le pessime prestazioni visto che non c’è un altro terzino sinistro) o che non si sono dimostrati abbastanza forti per le ambizioni della Juventus. Ha responsabilizzato al massimo i suoi allenatori, esonerando prima Sarri e poi Pirlo, ma ora non sta facendo lo stesso con Allegri, coprendo le spalle a un allenatore che non sta portando nulla di buono alla causa. Ora la Juventus è a un bivio: scegliere cosa vuole essere in futuro. Una scelta che va oltre l’esonero di Allegri, quanto piuttosto verso la capacità di rinnovarsi in maniera positiva. In uno sport che va sempre di più verso un approccio olistico, non esiste il campione che da solo vince le partite, o il direttore sportivo illuminato che scova i fenomeni per due spicci, ne l’allenatore che sa solo vincere, checché ne dica l'interessato. Esiste un approccio più totalizzante, che è quello usato dalle migliori società in Europa, e che al momento la Juventus non riesce a costruire. Come è successo in negativo senza quasi rendersene conto, anche il cambiamento in positivo può iniziare solo con una scintilla: una decisione forte, che scuota l'ambiente, e che riporti alla Juventus il piacere di giocare a calcio. Prima delle vittorie, mi sembra, sia un passaggio necessario.

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