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La Juventus femminile ha fatto un passo in più
22 dic 2021
Per la prima volta nella sua storia le bianconere si qualificano ai quarti della Champions League.
(articolo)
15 min
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Arianna Caruso tiene in mano due casse Bluetooth da cui esce fuori a volume più alto possibile Take Me Home, Country Roads di John Denver, in una versione remixata. È la capo fila e forse pensa: «Nessuna sarà lasciata indietro, costi quel che costi, ne va della celebrazione del divertimento.» Un trenino che esce dai binari è uno spettacolo molto peggiore di un semplice fallimento, è il divertimento che si spegne, è una rinuncia con un doppio livello di tristezza: per chi compone la fila e per chi la sta osservando.

Escono una dietro l’altra e ad attenderle al tavolo della sala stampa c’è Pauline Peyraud-Magnin intenta a rispondere a una domanda difficile: le chiedono se pensava, alla prima giornata, che sarebbe arrivato il passaggio del turno in Champions League.

Take Me Home, Country Roads di John Denver, brano degli anni Settanta in cui il cantautore statunitense porta alla memoria il ricordo di strade del West Virginia, è la colonna sonora che celebra la Juventus Women all’Allianz Stadium, dopo il match contro Servette Chênois, che insieme alle bianconere, al Chelsea e al Wolfsburg era stata inserita nel Gruppo A dei gironi di Champions League femminile 2021/22. Take Me Home, Country Roads ha ispirato anche i tifosi del Manchester United in giro per il mondo quando intonano Take Me Home United Road. Non è una scelta scontata.

16 dicembre 2021

La Juventus inizia e finisce il group stage contro il Servette. Le due partite sono facili nello sviluppo sul campo: per la squadra torinese funziona quasi tutto e quando qualche calo di concentrazione si affaccia a centrocampo, magari in copertura, il Servette non ne approfitta. L’unico rischio possibile, quello di sottovalutare le avversarie, derubricarle nell’approccio alla partita, non è accaduto e forse non sarebbe mai potuto accadere, perché negli ultimi due mesi e mezzo nessuna bianconera ha mai alzato troppo lo sguardo oltre il limite consentito o ha pensato di poter approcciare una di queste partite in modo meno che convincente.

Il 6 ottobre a Ginevra la Juventus vince 3-0 con i gol di Arianna Caruso, Lina Hurtig e Valentina Cernoia. All’Allianz, invece, costruisce il 4-0, assicurandosi il passaggio del turno già al primo tempo, con un comodo (ma non giusto) 2-0 (il vantaggio sarebbe potuto essere più largo) e arrivando alla ripresa con la mente libera e la strada in discesa.

Lina Hurtig come all’andata, Cristiana Girelli con due rigori convertiti e infine Agnese Bonfantini mettono le firme sul risultato che consegna questa Juventus Women alla Storia: la prima volta ai quarti di finale di Champions League.

Contro il Servette basta fare sempre una partita normale, a tratti non brillante, e far partire Lisa Boattin da un lato e Matilde Lundorf dall’altro, o imbeccare Lina Hurtig che in entrambe le gare è la pedina d’attacco fondamentale per velocità e tecnica, capace di imbambolare la difesa scarsamente tecnica del Servette. Le conclusioni della Juventus nascono da errori grossolani, in disimpegno o impostazione; un esempio su tutti: il centro di Valentina Cernoia all’andata da poco fuori area è un invito che nessuna avrebbe potuto rifiutare.

Tra l’inizio e la fine della fase a gironi la Juventus fa la sua Champions, collezionando: un rimpianto, due grandi prove e regalandosi un’impresa memorabile.

Il rimpianto

All’Allianz Stadium il Chelsea si presenta a metà ottobre; in quel momento arriva da una sconfitta e un pareggio pesanti, contro Arsenal in campionato e Wolfsburg nella prima giornata di Champions League, e una serie di risultati positivi e larghi in Super League.

In Inghilterra le prestazioni della squadra allenata da Emma Hayes non sono subito chiare: contro l’Arsenal il punteggio dice 3-2, al termine di una partita che dimostra qualche problema dovuto al cambio di modulo in difesa. In quell’occasione la coach ammette di dover trovare ancora la quadratura: per le sue calciatrici, passare da 4 a 3 necessita di tempo e di rodaggio. Contro il Wolfsburg, invece, le vice campionesse d’Europa partono bene, sono toniche, organizzate, dimostrano come si gioca contro un gruppo di avversarie che si infiltra nelle ripartenze, e che fa del pressing un marchio personale.

Minuto 1:03. Sam Kerr riceve una palla da Ji in corsa e piazza un pallonetto. Facile, deciso, una magia che doveva accadere, la metà esatta che completa l’ intuizione della centrocampista coreana. È 1-0.

La squadra tedesca rimane attaccata alla partita dal primo all’ultimo minuto, sembra non distrarsi mai e cercare l’occasione migliore per incrinare le altre: il pareggio arriva perché Magdalena Eriksson non sente l’arrivo in velocità Tabea Waßmuth, che crede nel lancio in avanti un po’ casuale della compagna e intercetta con la fronte per sorpassare la capitana del Chelsea. È un calo di attenzione grazie al quale le tedesche stracciano le inglesi e nella partita – e con il senno di poi più in generale – niente è più come prima.

Il Chelsea che sbarca a Torino affronta la partita bene: corre più veloce, attiva le transizioni in modo più concreto delle bianconere. Le calciatrici di Hayes non subiscono lo stesso pressing che hanno sofferto contro il Wolfsburg, mentre la Juventus vuole giocare con il palleggio, vorrebbe ragionare negli spazi sulle fasce, senza troppo successo. A centrocampo la squadra inglese è veloce e aggressiva: queste sono le partite da vincere, sanno come si fa e la Juventus è ancora troppo lenta.

Pernille Harder e Sam Kerr si avvicinano alla porta, sbagliano un gol per ciascuna, la difesa juventina sussulta ed è un avvertimento. Sara Gama e Cecilia Salvai sono spesso in recupero quando gli attacchi delle inglesi arrivano come onde continue, ma provano comunque a impostare e a far girare la palla sulle terzine, e ci riescono almeno una volta con Lina Hurtig che approfitta di una disattenzione di Millie Bright e quasi si procura una punizione dal limite.

Palla a terra il Chelsea spesso è più pericoloso, ma sui lanci lunghi si può costruire qualche azione rilevante. Fa questa scelta Matilda Lundorf, che da sola sulla fascia destra, ha lo spazio per cercare la testa di una delle compagne d’attacco, trovando quella di Barbara Bonansea: il colpo finisce poco sopra la traversa. Fino al 30’ del primo tempo la Juventus corre dietro al Chelsea ma allo stesso tempo cerca di tenere la palla, di fare paura, di farsi aiutare dal pubblico dell’Allianz Stadium, di provare a superare il centrocampo, per mettere in guardia le avversarie, ma al primo errore macroscopico difensivo delle bianconere Erin Cuthbert riesce a segnare quasi indisturbata. Nell’azione del gol, la squadra torinese è spaccata in due e in mezzo la centrocampista si infila senza problemi.

Il punto della Juventus è capire come accusare il colpo e ciò che viene fuori è un’analisi razionale: tengono il buono costruito sino a lì e provano a cacciare via il pensiero peggiore.

Lisa Boattin è da sola e lancia per Barbara Bonansea che sta arrivando dalle retrovie e con lei l’avversaria che parte in ritardo e non riesce a recuperare campo. La numero 11 fa un gol al volo, infiamma lo stadio, ci fa alzare tutti in piedi in un sentimento di reciproca intesa: un 1-0 può capitare, il Chelsea non è tanto più forte.

È veloce, sì. Pericoloso, certo. Ma non sempre organizzato e senza sbavature e questo la coach Heyes lo comprende perché nella ripresa le inglesi cambiano passo, capiscono di avere sofferto troppo, secondo le loro aspettative: pensavano di impostare la partita sul controllo e la verticalizzazione, ma hanno trovato di fronte una squadra che prende coraggio un minuto dopo l’altro e si fa vedere in attacco. Diventano più attente, mentre aspettano il primo calo fisico delle avversarie. Il gol di Pernille Harder arriva dopo un mini arrembaggio e come armonia del tridente stellare: partecipano sia Fran Kirby sia Sam Kerr, che anticipa Sofie Pedersen dietro di lei e Cecilia Salvai davanti e serve la compagna dimenticata da tutte. Con la danese arriva una sentenza quasi scritta: non ci sarà pareggio, le underdog devono rassegnarsi.

Mentre le calciatrici della Juventus salutano lo stadio riempito a festa, appena finita la partita, sono rammaricate; percepiscono lo smacco della sconfitta proprio quando l’arena maggiore le accoglie e il risultato non torna del tutto: sul campo sono state vicine alle avversarie, nel secondo tempo hanno preso l’iniziativa, hanno vinto più contrasti rispetto al primo tempo. Hanno subìto, ma hanno anche inciso e non c’è niente di peggio che andare a dormire con l’incubo che tutto quello che si può fare non è abbastanza.

Le prove

Dopo il sorteggio dei gironi di Champions League era lecito pensare che la Juventus Women avrebbe fatto la partita solo contro il Servette. Né contro il Chelsea né contro il Wolfsburg, candidate a passare il turno come prima e seconda rispettivamente, ci sarebbero state gare alla portata: si poteva sperare in qualche gol, in un po’ di spettacolo nelle partite in casa e qualche buona intenzione su cui ripartire l’anno prossimo.

Dopo la seconda giornata contro il Chelsea la situazione non si modifica di tanto, anzi: alla Juventus manca l’esperienza, la giocata, la cattiveria, quella caratteristica quasi mostruosa che nello sport diventa una sorta di licenza di maturità.

Nel frattempo in campionato quando la partita si inceppa c’è un’altra Juve che subentra dalla panchina, le soluzioni in più quando il momento si complica. Succede in casa dell’Inter a fine ottobre, quando dalla panchina Andrea Staskova all’80’ fa il 2-1 e segna il suo gol juventino più importante della stagione fino a lì, permettendo alla squadra di non perdere punti preziosi rispetto al Sassuolo secondo; succede contro la Sampdoria la giornata seguente, quando a fare il minimo 1-0 è la solita Valentina Cernoia a metà del secondo tempo.

Risolvere due partite difficili e stare a un passo dal raggiungere una delle squadre più quotate d’Europa posiziona la Juventus in un momentum, da cui mettere a punto piccoli cambiamenti, come ad esempio potenziare l’atletismo o applicare il cinismo o ancora adottare più velocità nel palleggio: senza la partita contro il Chelsea e le due di campionato appena citate, la prima gara contro il Wolfsburg a Torino sarebbe stata completamente diversa.

È il 9 novembre, è il 21’: la Juventus ha la palla per ricominciare il gioco da una punizione. Aspetta, cerca un po’ di distensione. Le tedesche stanno giocando su ogni pallone come al solito e quando spezzano il ritmo, le italiane lo riallacciano, in un andirivieni di fratture e calcificazioni continue. Cecilia Salvai lancia là dove lo spazio di centrocampo è vuoto: non ci sono compagne posizionate ma nemmeno avversarie e Arianna Caruso lo vede, ci arriva con la punta del piede. Vuole l’uno-due con Barbara Bonansea e alla fine il passaggio filtrante arriva a Cristiana Girelli, puntuale: l’intesa è latente, agisce dove la 10 si muove e fa tutto senza palla, mentre Bonansea e Caruso preparano la scena. Quando tocca a lei ruba lo spazio e il tempo alla difesa e Almuth Schult sbaglia. L’1-0 di Cristiana Girelli è un tiro in diagonale sul palo più lontano.

La partita gira qui, e da qui si complica perché dopo pochi minuti, nella porzione di gara migliore della Juventus, le avversarie pareggiano. Di nuovo, come contro il Chelsea, non si perdono e attaccano gli spazi, mettono fretta e agitazione, Sara Gama sbaglia il rinvio e da fuori la conclusione di Lena Lattwein è implacabile.

Il secondo minuto esemplare della partita è l’88’: la Juventus è sotto 2-1, il copione contro il Chelsea si ripete. Hanno trovato il pareggio e poi il vantaggio con un’azione in velocità iniziata sulla destra e terminata al centro, su cui tutte sono state in ritardo, dopo la quale tutte sono nel panico: corre la sensazione di terrore crescente, nei disimpegni sbagliati, in qualche errore tecnico di troppo, in Sara Gama che mette una palla in angolo anche se è da sola e potrebbe gestirla.

Per dieci minuti, però, dopo il 75’ la squadra allenata da Joe Montemurro si toglie di dosso le incombenze e scende a patti con la partita: bisogna aggredirle sulla palla, sulle ripartenze, bisogna essere asfissianti, bisogna rischiare qualche scontro. È questo il passo avanti rispetto alla gara contro il Chelsea.

È l’88’, Agnese Bonfantini finisce a terra per un fallo al limite della fascia destra, sulla trequarti del Wolfsburg. Felicitas Rauch, già ammonita, prende un altro cartellino giallo e il Wolfsburg in dieci si ritrova a gestire una punizione quando in campo c’è Valentina Cernoia.

La numero 7 bianconera sa scegliere la cosa giusta quasi sempre, soprattutto quando si tratta di calci piazzati. Dal suo piede la palla va verso l’area, una testa la rimpalla e Bonfantini la intercetta per mandarla a sinistra, dove si precipita Staskova che con la sua carica fisica la protegge; grazie al suo intuito si gira, trova un varco: tira forte, troppo forte. Hurtig ci mette un centimetro di piede, un tocco controllato e rallenta la sfera, allenta il destino, mentre Cristiana Girelli è pronta davanti alla porta. Gol.

Alla fine della gara, Sofie Perdersen dirà: «Hanno vinto più duelli di noi stasera. Abbiamo bisogno di crescere nella pressione, provare a rubare la palla» e detto da lei assume un significato ancora più rilevante, perché è la giocatrice di centrocampo incaricata del contrasto, dell’attenzione costante alle avversarie e ai loro movimenti con e senza palla. C’è da migliorare ancora, ma la partita finisce 2-2 e l’indomani il pareggio diventa un manifesto.

Al ritorno la vittoria è possibile, perché dopo l’idea del Chelsea anche quella del Wolfsburg muta: in Germania la Juventus trova il bandolo della partita, riesce a tenere al meglio il gioco delle tedesche e a disinnescarle a centrocampo.

Tutte, in generale, giocano a viso aperto, convinte di poter vincere e ciascuna migliora la prestazione precedente: Joe Montemurro alla vigilia aveva parlato di una partita per misurare il livello raggiunto dalla squadra e le risposte arrivano sonanti da ogni reparto.

Dall’edizione 2012/13 il Wolfsburg arriva sempre almeno ai quarti di finale di Champions League, ha vinto due titoli di questa competizione e rappresenta uno dei club più importanti d’Europa. Contro di loro le calciatrici della Juventus hanno messo in campo buone azioni e ottima organizzazione tattica, ma soprattutto un piglio ben definito, una certa ambizione che non si acquista negli spogliatoi ma solo giocando le partite e imparando il più possibile da ciascuna. Perdendo di misura e poi pareggiando di convinzione, per vincere alla fine.

L’impresa

A Londra il Chelsea deve scontare la vittoria a Torino e le servono le migliori risorse: Fran Kirby però appare un po’ sottotono, Sam Kerr sbaglia una rete facile, Pernille Harder impegna tutta la difesa che, attenta e precisa, è l’esempio di quanto sia cambiata la Juventus. Lo 0-0 contro il Chelsea è la partita di Pauline Peyraud-Magnin che approfitta dei primi errori tecnici delle attaccanti della squadra inglese e poi chiude ogni spiraglio, ogni millimetro possibile. Ingaggia una lotta personale con la partita e ogni recupero, ogni parata, ogni anticipo di Lenzini o recupero di Salvai sono motivo di resistenza e incitamento per loro e se stessa.

Peyraud-Magnin ha preso il posto di Laura Giuliani a inizio stagione ha abituato il pubblico e le compagne a uno stile di gioco basato su rifessi eccellenti e anticipi frequenti.

La Nazionale francese prende per mano la Juventus che chiude il suo girone con 12 gol segnati e solo 4 subiti, mentre il Chelsea non rimaneva all’asciutto in casa da 3 anni e perde malamente l’ultimo incontro contro il Wolfsburg.

Le tedesche, dunque, da prime del girone affronteranno ai quarti di finale l’Arsenal, mentre la Juventus troverà di fronte il Lione della ritrovata Ada Hegerberg.

Pallone d’Oro nel 2018, prima della storia del calcio femminile, la talentuosa attaccante norvegese è tornata in panchina in Champions League nella partita contro l’Hacken, dopo l’operazione alla tibia e lo stop di venti mesi, per poi segnare una doppietta contro il Benfica alla quinta giornata.

Nella Division 1 Féminine, il Lione detiene il record di 18 titoli e nel campionato in corso la squadra è prima con 11 vittorie su altrettante partite giocate. Al secondo posto il PSG contro cui il Lione vince il 15 novembre scorso: il 6-1 ha lasciato poco spazio alla gara. In Champions League la squadra francese fa una strada secondo le aspettative: perde solo in casa del Bayern Monaco per 1-0, mentre nelle altre cinque gare del girone non delude, né trova uno scossone e mette in campo qualità soprattutto in fase offensiva.

A Monaco, però, entrambe le squadre interpretano la gara con poca precisione nelle conclusioni e poca lucidità. Il Lione non è la solita formazione brillante, né tantomeno perfettamente organizzata, mentre il Bayern fa un’ottima gara difensiva e trova il gol al 68’, su un calcio d’angolo, su cui la difesa sta ferma mentre Saki Kumagai intercetta di testa. La centrale difensiva giapponese regala la partita alla sua squadra, spezza il record di vittorie del Lione e sugella una prestazione magistrale, in cui contrasta e ridimensiona la qualità di Ada Hegerberg durante tutta la partita.

Il Lione ha molta qualità, ha vinto 7 delle ultime 11 Champions League disputate, l’ultima nel 2020, ha giocatrici giovani che hanno già vinto e affrontato molte partite importanti tanto nei club di appartenenza quanto nelle nazionali. Due su tutte: Ellie Carpenter, terzina australiana classe 2000 e Catarina Macario, centrocampista offensiva classe 1999.

Quest’ultima in particolare ha notevoli doti di tiro e di dribbling, anche da fuori area e riesce a mettere in difficoltà le avversarie con un gioco di palla fine.

A marzo la prima partita dei quarti di finale sarà a Torino e alla Juventus mancherà di certo Cecilia Salvai, che dovrà operarsi al ginocchio e rimarrà ferma per tutto il resto della stagione: probabilmente sarebbe stata la più adeguata a prendersi cura di Ada Hegerberg.

Sulla carta le due partite sono completamente differenti per pressione rispetto al girone e per aspettative rispetto a quelle degli ottavi disputate l’anno scorso sempre in Champions: la Juventus ha perso il turno contro il Lione con un 3-2 in casa e un 3-0 fuori e il divario fra le due formazioni è stato palese, quasi irrecuperabile; la Juventus sembrava costantemente in pericolo, precaria nell’atteggiamento difensivo e poco efficiente in attacco. La squadra di quest’anno, invece, ha qualità in più ma soprattutto esperienza maggiore e ha imparato a misurarsi in ogni partita.

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