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Dario Pergolizzi
La Juventus dura sempre troppo poco
15 set 2022
15 set 2022
Contro il Benfica una sconfitta che riassume tutte le incongruenze della squadra di Allegri.
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Dario Pergolizzi
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Daniele Badolato/Juventus FC via Getty Images
(foto) Daniele Badolato/Juventus FC via Getty Images
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La partita contro il Benfica è iniziata molto presto per la Juventus, a dire la verità ancora prima che l'arbitro desse il suo fischio d'inizio. Già in occasione della sfida inaugurale contro il PSG era stato lo stesso Allegri a dichiarare che la qualificazione alla fase a eliminazione diretta si sarebbe giocata proprio contro i portoghesi di Schmidt. Una preparazione psicologica inusuale per una squadra che storicamente ha sempre fatto suo il mantra del “pensare una partita alla volta” e ovviamente del "vincere è l'unica cosa che conta". Allegri invece sembrava suggerire che perdere punti con il PSG non sarebbe stato troppo importante, proprio perché la partita decisiva si sarebbe giocata per l'appunto con il Benfica.

Questo approccio, a posteriori, non sembra aver pagato, non tanto per la sconfitta, ma per come questa è maturata. La Juventus ha chiuso la partita che doveva sancire la svolta creando molte meno occasioni degli avversari e salutando uno Juventus Stadium semivuoto e indispettito.

La Juventus è durata poco

La partita è iniziata sui binari giusti per la Juventus, grazie soprattutto a un atteggiamento in non possesso che favoriva una certa aggressività sulla costruzione del Benfica senza troppi adattamenti rispetto al sistema di partenza. Il 3-5-2 della Juventus aderiva al 4-2-3-1 stretto della squadra di Schmidt come uno strappo al suo velcro: le due punte Milik e Vlahovic pressavano i due centrali, Cuadrado e Kostic uscivano verso i terzini mentre Miretti e McKennie seguivano Enzo e Florentino Luis. Alle loro spalle, i quattro giocatori più avanzati erano controllati dal trio difensivo e da Paredes, agevolati dal posizionamento stretto avversario.

Il palleggio del Benfica è stato in affanno per il primo quarto d’ora di gioco, non riuscendo a manipolare il pressing dei bianconeri e defluendo spesso sugli esterni senza trovare sbocchi centrali o giocate utili in profondità. La Juventus, aiutata anche dal vantaggio acquisito dopo pochi minuti grazie a una punizione sulla trequarti guadagnata da Cuadrado, sembrava essere abbastanza in controllo, mentre il Benfica pareva non avere idea di come risolvere lo stallo, rischiando anche di subire il secondo gol in un paio di occasioni. Anche nel suo miglior momento, però, la proposta offensiva della Juventus non è stata molto varia, e ha avuto il suo apice sempre nel primo quarto d’ora di partita grazie alla capacità di sfondare lateralmente, arrivandoci in maniera più diretta o dopo un cambio gioco rapido.

Qui sopra vediamo probabilmente le tre più grandi occasioni della Juventus in tutta la partita (insieme a un cross di Miretti dopo un guizzo in area, non intercettato). Nei primi due casi l’azione si sviluppa a destra, prima con un cross di Cuadrado per Kostic, e poi con una triangolazione di Cuadrado con McKennie prima di stringersi dentro il campo e utilizzare Danilo come appoggio per cambiare lato e giungere rapidamente all’esterno ex Eintracht. L’ultima azione, invece, poteva portare diversi vantaggi dato l’atteggiamento del Benfica se solo fosse stata ripetuta con più continuità. Comincia con una verticalizzazione di Paredes per Milik nel mezzo spazio, con Miretti che si alza come terzo uomo, e Kostic che infine crea superiorità numerica sull’esterno.

Purtroppo per la Juventus questo controllo della partita si è esaurito molto presto. L’altezza del pressing è diventata più discontinua, e la capacità di portare fuori posizione il blocco di pressing del Benfica si è rivelata abbastanza limitata. La squadra di Schmidt, partendo dal 4-2-3-1, assumeva la forma di un 4-4-2 asimmetrico, a tratti 4-3-3, con Neres in avanti insieme a Rafa Silva e Ramos sui tre centrali di Allegri, e Joao Mario che si manteneva più basso e stretto per poter uscire su Cuadrado o stare addosso a McKennie. I momenti in cui la Juventus è riuscita ad avere la meglio sono coincisi con un posizionamento abbastanza aperto dei tre difensori, che hanno aperto un varco nella prima linea avversaria e consentito a Paredes di avere più spazio per ricevere. L’abitudine della Juve a non risalire per vie centrali, però, si è tradotta in un raro sfruttamento di questa opportunità.

Qui sopra vediamo bene la disposizione del Benfica in pressing e l’opportunità per la Juventus quando il terzetto arretrato si apriva e si liberava spazio per Paredes. I due mediani di Schmidt venivano attirati da Miretti e McKennie e non sempre riuscivano a scalare in avanti. Paredes, però, in questa situazione gioca a muro verso Bonucci anziché controllare in avanti e salire in conduzione. Può sembrare una circostanza irrilevante, poiché la Juventus ha mantenuto comunque il possesso, ma queste piccole interpretazioni sono andate gradualmente a incrinare la capacità della Juventus nel mettere in difficoltà il Benfica. Qualche segnale di incertezza è arrivato anche nei casi in cui il Benfica, pressando sulle rimesse di Perin, è riuscito a togliere immediatamente tempo e spazio ai bianconeri, costringendoli al lancio.

La prima grossa occasione della partita del Benfica, il colpo di testa di Ramos al 27esimo, per esempio, è arrivata da un lancio di Bonucci intercettato da Antonio Silva e la conseguente transizione sfruttando lo spazio al centro sulla seconda palla. Anche nel momento peggiore della sua partita, il Benfica dava l’impressione di poter risalire soprattutto sfruttando le triangolazioni rapide in transizione, tipiche delle squadre di Schmidt, che ci tiene particolarmente a portare tanti giocatori vicino alla zona palla non solo per massimizzare le opportunità di recupero del pallone, ma soprattutto per poter andare velocemente in verticale una volta recuperato il possesso.

Anche se non sono arrivate subito delle occasioni nitide, si percepiva che il Benfica in queste situazioni potesse avere una marcia in più rispetto alla Juventus. Impressione che poi è gradualmente diventata realtà con il proseguire della partita. Ma la partita della Juventus non si è solo complicata perché la squadra di Schmidt è diventata più efficace nella riconquista del pallone: parte della responsabilità va fatta ricadere anche sulla squadra di Allegri, che sembrava non poter reggere difensivamente dopo aver interrotto il pressing alto che tanti problemi aveva dato al Benfica nei primi minuti.

Come il Benfica ha preso campo e fiducia

A dire la verità la Juventus non si è abbassata del tutto, e le azioni di pressing alto si sono ripresentate nel corso della gara. Dopo le prime ricezioni sulla trequarti, però, il Benfica piano piano ha preso fiducia ed è diventato più lucido e intenso nella gestione del pallone in fase offensiva. La squadra di Schmidt, portandosi più spesso a ridosso dell’area bianconera, ha iniziato gradualmente a trovare una certa pericolosità attraverso l’attacco prolungato, creando calci d’angolo e combinazioni che potevano mettere sotto stress il blocco difensivo di Allegri. Emblematica in questo senso l’azione del rigore guadagnato da Ramos. Gli indizi della crescita del Benfica, però, erano visibili anche prima.

All’inizio di questa azione, per esempio, vediamo come Cuadrado sia più basso rispetto al pressing iniziale, sulla linea dei difensori. A uscire su Grimaldo, dunque, è McKennie, preso a sua volta in mezzo a causa del movimento incontro di Joao Mario, che non viene seguito né da Bremer né da Cuadrado. L’azione prosegue in maniera apparentemente blanda con un cambio lato, che però dà così modo al Benfica di iniziare a trovare le misure e muovere un po’ il blocco di Allegri. Lo sviluppo successivo espone le prime criticità difensive della Juventus, con un fraseggio rapido tra i due mediani del Benfica che attira Paredes in avanti e trova poi il trequartista Rafa Silva tra le linee, mettendo così in risalto sia il posizionamento ambiguo di McKennie (che forse stava seguendo ancora Joao Mario) che la titubanza di Bonucci nel rompere la linea. Questo genere di incongruenze nelle spaziature e la graduale scomparsa dell’aggressività difensiva (alta e bassa) sono state la pietra tombale sulla partita della Juventus, che si è ritrovata per buona parte del secondo tempo in totale balia dell’avversario. Il Benfica non ha trovato il terzo gol solo per puro caso.

Non è che c'è stato un cambio di passo nel secondo tempo, semplicemente la squadra portoghese è arrivata alla naturale conclusione delle premesse che aveva creato nel primo. Il gol del 2-1 arriva con una dinamica simile a quella della primissima occasione del Benfica menzionata sopra, cioè lo sfruttamento dello spazio centrale a seguito di un rinvio lungo dei bianconeri intercettato da un difensore (in questo caso Grimaldo). La gestione difensiva della Juventus in questo caso è parsa abbastanza confusionaria, da Paredes che viene saltato con troppa facilità mentre protesta, al rientro turbolento della linea (con un probabile fallo da rigore di Bremer su Ramos) e infine Neres libero di battere a rete sulla respinta di Perin.

Il Benfica ha ottimizzato tutte quelle situazioni che nella prima parte di gara erano rimaste inespresse, per imprecisioni proprie o meriti di contenimento della Juventus: ripartenze, verticalizzazioni tra le linee, creazione di triangoli rapidi mediante l’avvicinamento di tanti giocatori in zona palla, grande fluidità nell’occupazione degli spazi in avanti. A questo punto, la partita del Benfica è sembrata prendere una piega offensiva ancora più convinta, forse anche perché gli spazi concessi dal blocco basso della Juventus sono progressivamente aumentati.

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Alcuni dei modi con cui il Benfica ha attaccato rapidamente l’ultima linea della Juventus nella ripresa.

Il trio di trequartisti si è mosso molto di più: Joao Mario andava incontro alla prima costruzione più spesso, ma viaggiava anche verso il lato opposto del campo se la sua presenza era utile per sovraccaricare e dare una soluzione di passaggio corto in più. Allo stesso modo, David Neres ha trovato un coinvolgimento maggiore sia puntando più volte l’uomo sulla fascia destra, sia scattando in profondità o in diagonale, senza essere vincolato a una zona. Questo ha portato anche i terzini Grimaldo e Bah a salire più spesso per accompagnare l’azione, mentre i due mediani Enzo e Florentino continuavano a ondeggiare da un lato all’altro per dare supporto al palleggio e stroncare sul nascere le ripartenze.

Allegri ha cercato di risolvere la situazione inserendo prima Di Maria e De Sciglio per Cuadrado e Miretti, adottando una sorta di 3-4-3 con l’argentino più avanzato, ma la soluzione ha avuto vita breve a causa dello sguarnimento centrale a cui è andata incontro la Juventus. A questo punto Allegri ha ovviato inserendo Fagioli e Kean per Kostic e Milik, passando a un 4-3-3 (spostando inoltre Danilo a destra e De Sciglio a sinisitra), che però a sua volta non è stato privo di incongruenze e problemi, in particolare nei movimenti dei centrocampisti, con Paredes e Fagioli a occupare alternatamente la parte centrale ma senza una reale efficacia, portando anzi più confusione che altro.

Il nuovo assetto della Juventus ha continuato a essere penetrabile tra le linee, e non è servito nemmeno a trovare più solidità nello sviluppo delle manovre. Qui sopra, nella seconda e terza immagine, vediamo come con la palla che arriva a Danilo transitando da sinistra a destra, Paredes rimanga completamente bloccato sul lato opposto anziché dare supporto, Fagioli rimanere in posizione avanzata sulla sinistra, McKennie muoversi per un ipotetico lancio in profondità del terzino, quest'ultimo che infine opta per un lungo linea verso Di Maria, intercettato. La Juventus ha fatto davvero una fatica enorme ad attivare i suoi attaccanti, e i momenti migliori sono stati quelli in cui Di Maria è riuscito a verticalizzare accentrandosi. Per il resto la Juve è sembrata poter sfiorare il pari solamente sperando nei calci piazzati.

In definitiva è arrivata una sconfitta meritata per i bianconeri, che da questa partita hanno ricavato più incertezze che segnali positivi. Lo stesso atteggiamento incoraggiante del primo tempo, in retrospettiva, sembra aver funzionato più per la compatibilità posizionale dei sistemi di gioco, che non richiedeva particolari letture o adattamenti in corso d’opera, che per una solida superiorità bianconera. La Juventus ha avuto il coraggio di approcciare la partita in modo aggressivo, giocando sugli anticipi e gli intercetti, ma si è sfaldata dopo pochi minuti dando modo al Benfica di ritrovare convinzione e mettere in mostra le sue armi migliori (e anche la sua imprecisione sotto porta).

Come già accaduto lo scorso anno e in questo avvio di stagione, la squadra di Allegri è una creatura strana, capace di segnare molto presto o molto tardi nella partita, anche in maniera un po’ mistica, ma che sembra aver ridotto il suo potenziale offensivo più sui rari momenti di spontaneità offensiva in situazioni disperate (e non è stato questo il caso, contro il Benfica) o in avvii incoraggianti. Tutto quello che accade nel corso della partita, però, sembra mettere in seria difficoltà la Juventus, quale che sia la formazione o la strategia utilizzata. Forse sarà il punto più basso della stagione e da questo momento si potrà solo risalire, ma quella contro il Benfica è stata una partita simbolica delle incongruenze che la Juventus si porta dietro da un periodo che inizia a essere troppo lungo. Nelle prossime ore Allegri avrà molto su cui riflettere.

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