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Quindi, come è andato il primo anno della Juventus B?
17 mag 2019
17 mag 2019
Abbiamo parlato con Federico Cherubini, direttore sportivo responsabile del progetto Juventus Under 23.
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Abbiamo intervistato Federico Cherubini, Head of Technical Areas della Juventus e direttore sportivo responsabile del progetto Juventus Under 23. Gli abbiamo chiesto di raccontarci com’è andata la stagione d’esordio della prima squadra B italiana e quali sono le prospettive future del progetto.

Che bilancio fate del primo anno in Serie C della Juventus Under 23? Quali erano i vostri obiettivi ad inizio anno?

Tracciare degli obiettivi per la nostra seconda squadra era difficile da fare ad inizio stagione perché per noi questo della Under 23 era un contenitore completamente nuovo. Per quanto riguarda la parte sportiva, siamo contenti di aver chiuso senza essere coinvolti nella lotta per non retrocedere. È stato un obiettivo stabilito in corso d’opera, una retrocessione avrebbe messo a rischio il futuro del progetto. Per quanto riguarda il progetto formativo, siamo felicissimi di aver fatto da apripista e di averne pagato lo scotto iniziale: sappiamo che è stato un passo importante per noi come per tutto il sistema, perché altre squadre stanno guardando quello che stiamo facendo. Credo, però, che ci vorranno ancora degli anni per vedere altre seconde squadre tra i professionisti, oltre alla nostra.

In che modo pensate di aver raggiunto gli obiettivi formativi?

Dopo tanti anni di gestione dei ragazzi mandati a giocare in prestito in altri club, possiamo già dire che non c’è paragone con questa nuova esperienza formativa interna. Già i risultati in termini di minutaggio, che è un aspetto fondamentale soprattutto per i calciatori delle classi 1998 e 1999, e che da un punto di vista formativo ci interessa, sono stati molto importanti. Questi ragazzi hanno avuto la possibilità di allenarsi molto spesso con la prima squadra, e nelle ultime settimane hanno avuto la chance di andare in panchina o di esordire in Serie A. Dal punto di vista formativo l’esperienza acquisita è stata unica.

Foto di Alberto Gandolfo / LaPresse

Le convocazioni in prima squadra di Nicolussi, Kastanos, Mavididi e Matheus Pereira sono legate alle contingenze del momento, cioè agli infortuni patiti dai giocatori della Juventus, o rientrava in una programmazione che ha coinvolto i dirigenti della prima squadra? Diventerà una consuetudine nei prossimi anni o resterà un fatto occasionale?

Non c’è stata una vera e propria programmazione, è stato l’andamento positivo della prima squadra in campionato a concedere qualche possibilità in più a questi ragazzi. La Juventus per sua politica non ha mai regalato nulla a nessuno dei suoi ragazzi, si sono guadagnati la convocazione nel momento in cui ci sono state molte defezioni per infortuni in prima squadra. A regime, uno degli obiettivi principali della seconda squadra indicato dal Presidente Agnelli sarà di arrivare a ridurre la rosa della prima squadra di 2-3 elementi, con una Under 23 competitiva alle spalle da cui pescare ogni volta che la prima squadra ne avrà l’esigenza.

Avete intenzione di aggregare qualche elemento della seconda squadra alla rosa della prima squadra già l’anno prossimo?

Abbiamo già Nicolussi, che è partito dalla Primavera, ha collezionato qualche presenza in Under 23, ma in questo momento è a tutti gli effetti aggregato alla prima squadra. Quello che è accaduto a Nicolussi potrebbe accadere in futuro a qualche altro ragazzo della seconda squadra, consci però del fatto che l’indice di ricambio in Under 23 è e sarà molto alto. La seconda squadra dev’essere un passaggio-ponte, della durata di una o due stagioni, verso soluzioni più importanti, che possono essere la prima squadra della Juventus o di un altro club di prima fascia europeo.

Foto di Ivan Benedetto / LaPresse

In Inghilterra c’è ancora un dibattito intorno al campionato giovanile Under 23, nonostante quella che loro chiamano “Premier League 2” abbia un format consolidato dal 2012. Ora si ragiona se sia più opportuno che i ragazzi inglesi affrontino non più dei pari-età, ma dei professionisti. Dopo una stagione tra i pro, cosa ne pensi?

Personalmente non ho mai pensato che un campionato tra squadre Under 23 potesse essere formativo. Ho letto un’intervista recente di Guardiola, che conosce l’esperienza spagnola delle seconde squadre, nella quale si lamentava che i giovani in Inghilterra non crescono quanto dovrebbero sfidandosi tra di loro. Il concetto delle seconde squadre nasce proprio per calare i giovani in un contesto professionistico, tra gli adulti. Un contesto che non sia solo sfidante dal punto di vista tecnico-sportivo, ma anche ambientale. Faccio un esempio: fatto salvo un numero minimo di presenze obbligatorie nello stadio della prima squadra, le altre partite delle Under 23 inglesi si giocano sui campi dei centri sportivi. I nostri hanno avuto la possibilità di giocare in stadi veri con un pubblico importante, come è accaduto a Pisa, a Siena, ad Arezzo, a Piacenza. Anche l’aspetto ambientale fa la differenza.

Per completare l’attuale rosa della Under 23 avete anche acquisito nuovi giocatori. I ragazzi che sono stati presi erano stati selezionati secondo dei principi di gioco che immaginavate, o avete colto delle opportunità di mercato?

L’ossatura della seconda squadra è nata a partire dalla nostra Primavera dello scorso anno e da alcuni giocatori rientrati dai prestiti. Purtroppo siamo partiti col progetto a metà luglio, e abbiamo dovuto aggiungere alcuni ragazzi presi sul mercato per completare la rosa. Pur in minima parte, è una cosa che continueremo a fare in futuro, perché la seconda squadra ci permette di dare spazio e di fare investimenti su ragazzi in una fascia d’età per cui faremmo fatica ad inserirli nella prima squadra, il cui livello attuale dei titolari è altissimo. Gli acquisti di Touré e Mavididi sono stati fatti perché ai due ragazzi riconosciamo una prospettiva. Erano quindi delle opportunità di mercato.

Per la seconda squadra abbiamo ragionato sulla costruzione della rosa e non sullo sviluppo dei singoli. Noi puntiamo ad avere nella seconda squadra ragazzi in cui riconosciamo già una prospettiva: se non sono funzionali al progetto di squadra ci fa correre dei rischi, certo, ma in questo momento lavorare sulla classifica non è una priorità. Vogliamo avere ragazzi che possano diventare giocatori della Juventus o, in alternativa, giocatori di club europei di prima fascia, trasformandosi in ricavi o plusvalenze da cessioni.

Nel settore giovanile invece ragioniamo al contrario, per questo con i più giovani scegliamo di giocare un calcio molto europeo, dalla costruzione dal basso all’idea di mettere in campo una squadra propositiva e offensiva. Questa scelta, che abbiamo fatto dalla didattica di base in avanti dove in termini di campionati vinti abbiamo un palmares meno ricco, in questi ultimi anni ci ha premiato, perché stiamo producendo tanti buoni calciatori.

Ha senso un modello in cui Primavera, Under 23 e prima squadra giocano tutte secondo gli stessi principi di gioco?

È un tema su cui si dibatte da tantissimo. Io di modelli simili a livello europeo non ne vedo più di due o tre. Ci sono state grandi scuole che hanno avuto la capacità di segnare delle epoche e di riuscire a tracciare la strada futura per il proprio club, con delle logiche metodologiche molto vincolanti. Nessun club italiano ha una componente metodologica nella costruzione del settore giovanile che dura da più di qualche anno, soprattutto perché le nostre prime squadre sono legate alla filosofia dell’allenatore, non a quella del club. Nell’Ajax o nel Barcellona è la filosofia del club ad essere preponderante sulle scelte. In Italia è l’allenatore a determinarle.

Foto di Ivan Benedetto / LaPresse

Però ci sono scuole nuove, come quella del Salisburgo, dove dalle giovanili salgono in prima squadra sia i calciatori che l’allenatore.

È un progetto nuovo interessante, innovativo a livello metodologico, particolare perché inserito in un network di club collegati alla stessa proprietà. Dovremmo però valutare tra vent’anni se quello che stanno facendo oggi sarà stato capace di segnare un’epoca, come in passato hanno fatto Ajax o Barcellona. Nel contesto italiano, in questo momento, è difficile immaginare di seguire la stessa traccia. Noi nel settore giovanile stiamo cercando di portare dei principi di gioco comuni a tutte le fasce d’età, che non sono riferiti ad uno specifico modulo, e che permettono di sviluppare le qualità del singolo. Dobbiamo sì imparare la lezione delle grandi scuole europee, ma dobbiamo anche calarle nella nostra cultura e nel nostro DNA. Il nostro obiettivo più difficile sarà quello di trovare una terza via, una nostra sintesi che non faccia perdere nulla della tradizione calcistica italiana e del club che rappresentiamo.

Ho avuto l’impressione che l’impostazione tattica della seconda squadra a inizio campionato seguisse i principi del gioco di posizione (costruzione da dietro paziente, ricerca dell’uomo nei canali). Nella seconda parte del torneo, però, mi è sembrato che la ricerca delle punte sia stata molto più diretta. È stata la Juventus Under 23 ad adattarsi alla Serie C oppure sono cambiati i vostri obiettivi formativi?

È una valutazione corretta. L’allenatore della Under 23 Mauro Zironelli ha cercato almeno inizialmente di dare alla squadra una filosofia di gioco offensiva e propositiva. Questo si è scontrato col fatto che nel girone d’andata, nonostante le ottime prestazioni, bastavano uno o due episodi a partita per essere puniti severamente in termini di punteggio, contro avversari rapidi e compatti.

Mauro ha apportato dei correttivi e i ragazzi stessi hanno avuto un’evoluzione verso un calcio più pratico. In termini teorici ci piacerebbe competere in un campionato allenante come la Serie C senza snaturare la nostra filosofia di calcio propositivo e permettendo ai giovani di crescere. Riuscire a fare tutto al primo anno era difficile, ma a regime sarà diverso

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