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La stagione della carriera di Julius Randle
19 apr 2021
Non solo è diventato All-Star, ma si è anche portato dietro tutti i New York Knicks.
(articolo)
11 min
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La stagione della consacrazione di Julius Randle, quella del suo primo All-Star Game in carriera, non è arrivata in maniera casuale. Gli ci sono voluti anni prima di trasformarsi nel giocatore che è oggi, anni in cui già si vedevano le sue potenzialità, ma in cui non era riuscito a mettere assieme in maniera coerente tutti i pezzi del suo gioco. Ora invece è persino riuscito a riportare i New York Knicks alla rispettabilità, una parola che davvero non si poteva associare ai blu-arancio da anni.

Non è un caso se la breakout season di Randle sia arrivata proprio quest’anno, e le motivazioni sono da ricercare nel lavoro fatto dal nuovo coaching staff dei Knicks. Uno degli assistenti allenatori di Thibodeau è Kenny Payne, arrivato a New York dopo dieci anni passati alla corte di John Calipari a Kentucky. Payne ha un rapporto molto stretto con Randle ed è considerato uno dei mentori di altri illustri Wildcats come Devin Booker o Tyler Herro (per quello che vale lo era anche di Kevin Knox, ala al terzo anno dei Knicks, sparita dai radar in questa stagione). Quando le voci sull’arrivo di Payne a New York avevano cominciato a circolare, Randle lo ha chiamato per convincerlo ad accettare l’offerta e a riunirsi con un uomo a cui sia lui che i genitori di Randle devono molto. Thibodeau stesso si è rimesso al suo assistente per fare di Randle un giocatore più completo, e le cose stanno andando alla grande. Non che il nuovo allenatore dei Knicks non abbia meriti: nel sistema di gioco da lui ideato Randle ha spesso il pallone in mano, libero di creare, soprattutto da rimbalzo difensivo. Non una novità per un giocatore di Thibodeau, come possono testimoniare Karl-Anthony Towns e, soprattutto, Joakim Noah, che sotto l'ala del suo vecchio allenatore ha fatto registrare i suoi massimi in carriera per assist di media.

L’idea di coinvolgere maggiormente Randle al centro dell’attacco, peraltro, non è una novità introdotta da Thibodeau, bensì già da David Fizdale, che aveva grandi progetti per il suo lungo. Tuttavia, a causa di carenze del roster - e di un’abbondanza di giocatori nel ruolo di Randle - e delle difficoltà affrontate dallo stesso allenatore, l’esperimento è durato molto poco, giusto 22 partite, prima che Fizdale venisse esonerato registrando appena quattro vittorie.

Fast forward ad oggi, ed ecco che le cose stanno andando come molti vicino a Randle si aspettavano (o speravano). In questa stagione sta realizzando i suoi massimi in carriera per punti (23.6), rimbalzi (10.6), assist (6) e minuti giocati (37 a partita), il tutto suggellato da un net rating positivo (+2.9) per la prima volta in carriera. Le sue statistiche al tiro contribuiscono a creare un quadro piuttosto suggestivo per i tifosi: l’unico altro giocatore a registrare almeno 20 punti, 10 rimbalzi, 5 assist di media con il 40% al tiro da tre e l’80% ai liberi è stato Larry Bird nella stagione 1984-85, quella del premio di MVP.

MVP! MVP!

Non appena il pubblico del Garden ha ricevuto il via libera dal Governatore dello stato di New York per tornare alla World’s Most Famous Arena, i cori per Randle (tra gli altri) non si sono fatti attendere. Oggi l’ex Lakers e Pelicans è l’MVP di una squadra da playoff, in grado di arrivare a 31 vittorie con un record positivo, e che dopo l'improbabile vittoria al supplementare di ieri sera contro New Orleans ha la miglior striscia aperta di vittorie della Lega a pari merito coi Celtics.

Le ultime vittorie dei Knicks sono arrivate, tra gli altri, contro avversari che Randle conosce bene per svariati motivi: Lakers e Pelicans, le squadre che lo hanno formato e aiutato a rendere il giocatore che è oggi, e soprattutto i Mavs, squadra della città natale di Randle. Nella Big D è arrivata una prestazione da 44 punti, uno in meno del suo career high stabilito un paio di anni fa contro Portland, di fronte ai familiari che lo erano venuti a vedere tra le 4000 persone che popolavano l’American Airlines Center. Lo sapeva Rick Carlisle (“è un All Star che adora tornare a giocare qui”) e lo sapeva anche RJ Barrett (“per come è stato compilato il calendario, si sapeva che lo avrebbe fatto”). Lo sapeva bene anche Tom Thibodeau, che lo ha visto in estate in forma strepitosa e pronto per una stagione da grande protagonista.

Con il passare degli anni, il gioco di Randle si è progressivamente allontanato da canestro, mantenendo il mid-range come terreno comune. Secondo le statistiche di Cleaning The Glass, nel suo primo anno intero in NBA (cioè la stagione 2015-16), il 57% delle sue conclusioni arrivavano al ferro; oggi la percentuale è scesa al 25%. Sebbene anche la frequenza dei tiri dalla media sia aumentata (il 49% di quest’anno è il dato più alto della sua giovane carriera), lo stesso si può dire delle triple, che oggi rappresentano il 26% del suo gioco offensivo, in crescita costante nelle ultime tre stagioni.

Per i canoni della NBA attuale, parecchi dei tiri che Randle si prende sono malconsigliati; al di là della posizione di campo, il 26% dei suoi tiri arriva dopo 3-6 palleggi, secondo NBAStats.com.

Questo non è esattamente un grande tiro da prendere, soprattutto perché la difesa era ben contenta di lasciargli spazio da tre (benché in quella partita Randle abbia fatto le fiamme, arrivando ad un punto dal suo career high). Quel giro e tiro in fadeaway, però, è anche la settima conclusione più tentata dall’ex Kentucky in questa stagione, e la sta convertendo con il 38% abbondante.

Come già accennato, però, in quanto a scelte di tiro Randle sta diventando un giocatore sempre più moderno; sono 288 le triple tentate finora e convertite con il 40% abbondante al tiro. Come se non bastasse, le difese tendono ancora a lasciargli spazio per il jumper, e lui non si fa pregare: 2.7 triple delle 5 tentate a partita sono considerate open e convertite con il 45%.

Randle rimane comunque un giocatore isolazionista, abituato a creare da sé il proprio tiro. È quinto per frequenza di isolamenti, che comprendono il 19.3% del suo gioco, pur non eccellendovi: i suoi 0.89 punti per possesso lo collocano appena fuori dal 54° percentile di Lega, dato non entusiasmante. Se non altro, ha sviluppato un gioco offensivo molto più vario rispetto a qualche anno fa, con la sua mano che ora si è abituata non solo ai catch and shoot da tre, ma anche al palleggio arresto e tiro dalla media, magari cadendo all’indietro. Tenta 7 tiri a partita dal palleggio producendo 6.3 punti di media: non è un dato eccelso, ma davanti a lui in classifica ci sono quasi esclusivamente giocatori di backcourt abituati ad avere tanto il pallone in mano e a creare con esso.

Nei minuti finali del terzo quarto contro i Pacers, con Sabonis in panchina a rifiatare, il povero JaKarr Sampson si è preso in faccia alcuni canestri di fila da Randle.

Randle è 15° in NBA per frequenza di utilizzo del gioco spalle a canestro; il gioco in post occupa il 18.5% del suo bagaglio offensivo, e spesso è la base di partenza per penetrare a canestro sfruttando i 113 chili che sfrutta il più possibile, concludendo al ferro o anche con un piccolo giro e tiro buttandosi indietro, come abbiamo visto precedentemente. Il nativo di Dallas ha sempre usato la forza bruta per farsi spazio vicino a canestro, rischiando anche di deragliare, commettendo fallo in attacco o perdendo palloni, ma essere diventato un tiratore credibile, sufficientemente dotato per mettere anche tiri contestati e scomodi, ha liberato il proprio gioco e spalancato nuove opportunità sul parquet. E la convocazione all’All-Star Game - unita al record di squadra e a una conference non eccelsa - ne è stata solo la logica conseguenza.

Point Forward

La vera differenza, quello che rende Randle un giocatore davvero speciale, è lo sviluppo delle proprie qualità in termini di creazione di gioco. Che avesse buone mani si vedeva fin dall’inizio della sua carriera, da come metteva palla per terra, portando anche il pallone nell’altra metà campo dopo aver conquistato il rimbalzo difensivo, ma adesso anche le cifre riflettono il suo potenziale. I 6 assist a partita sono il dato più alto nei Knicks, abbastanza indicativo del fatto che a New York manchino playmaker, nel senso stretto di costruttori di gioco. Tutti i play di ruolo seguono il detto - coniato in altre situazioni, ma ci siamo capiti - di shoot first, ask questions last, ad eccezione probabilmente di Elfrid Payton che comunque rischia di non avere un futuro nella lega nel giro di poco tempo.

L’unico ad aver fatto miglioramenti da questo punto di vista è RJ Barrett, che da un anno all’altro sembra essere molto più consapevole di ciò che accade attorno a lui. Non a caso, i Knicks sono penultimi in NBA per assist potenziali (39.3), penultimi per assist (21.1) e 22esimi per passaggi effettuati a partita (poco più di 275). Randle crea molto quando può penetrare a canestro e scaricare dopo aver attirato su di sé la difesa, o da transizione quando prende il rimbalzo e porta palla.

Il numero 30 dei Knicks produce 10.6 penetrazioni a partita ma, più che i punti che ne derivano, è interessante notare le cifre relative a passaggi e assist in questa situazione: il 46.3% delle penetrazioni a canestro di Randle prevedono un passaggio, un dato fuori scala per un lungo, tant’è vero che davanti a lui troviamo quasi esclusivamente giocatori di backcourt. Lo stesso vale per la percentuale di assist (12.6%), migliore di quella - tra gli altri - di LeBron James, Ben Simmons e Shai Gilgeous-Alexander.

Per quanto riguarda invece i contropiedi, anche qui la natura di Randle si scontra parecchio con i numeri di squadra. New York è una squadra lenta (comodamente ultima per numero di possessi giocati), che usa la transizione poco (12% di frequenza, penultimo dato di lega) e male (1.10 punti per possesso, quinto peggior dato, seppur a pari merito con altre squadre). In tutto questo, Randle rappresenta una delle poche fonti di punti rapidi quando le difese avversarie non sono ancora sistemate:

I prossimi aspetti del gioco in cui crescere per Randle potrebbero essere due: un maggior utilizzo del pick and roll - situazione ben poco esplorata dall’ex Lakers e Pelicans ma in cui produce 0.95 punti per possesso, nel 69° percentile di Lega - e una diminuzione delle palle perse. Ovviamente quest’ultimo è più necessario rispetto al primo, essendo Randle settimo, seppur a pari merito con altri giocatori, per palle perse a partita con 3.5: non c’è niente di strano, del resto, non essendo lui abituato a gestire così tanti palloni (è undicesimo in NBA per tocchi a partita con 84).

Randle pecca ancora un po’ di tunnel vision, problematica che si manifesta quando vuole entrare in area a tutti i costi facendosi largo a testate anche quando lo spazio non c’è. Nelle clip qui sotto c’è una summa di tutti i difetti di Randle come passatore, quello che davvero rappresenta l’ultimo step per diventare davvero un giocatore di livello superiore.

Nei primi due casi, l’All-Star dei Knicks prova a farsi spazio in area ma la difesa si chiude. Contro San Antonio è già in aria mentre cerca un assist disperato che, infatti, non arriva a bersaglio. Contro Atlanta è costretto ad interrompere il palleggio e a tentare un cambio di campo tra una selva di braccia, e il passaggio viene agilmente intercettato. Una situazione simile si presenta nella clip seguente, con Randle che tenta un passaggio cross-court a una mano con il rischio di decapitare Barrett sulla traiettoria e che finisce direttamente nella mani di Haliburton, ben posizionato ma ignorato da Randle. L’ultimo caso, invece, si conclude con un assist per merito di Immanuel Quickley ma, anche qui, cambiare idea mentre si è per aria non è mai consigliabile.

Nelle primissime settimane di questa stagione ci si è chiesti a più riprese quando i Knicks si sarebbero sgonfiati e quando le cifre di Randle si sarebbero normalizzate, ma dopo aver superato abbondantemente i 2/3 selle partite, nessuna delle due cose si è ancora verificata, visto che New York - pur attraversando qualche momento difficile - al momento è addirittura in corsa per uno dei sei posti per accedere direttamente ai playoff e, anche se dovesse scalare di una o due posizioni il play-in da settima o ottava non sembra essere in discussione. Un risultato che ora può sembrare quasi deludente, visto che in alcuni momenti sono stati in lizza per avere il fattore campo al primo turno di playoff, ma che non va dato per scontato considerando che a inizio anno erano indicati come la peggior squadra della NBA, con un over-under di 22.5 che hanno già agevolmente sorpassato, grazie al lavoro di Thibodeau, certo, ma anche all'incredibile stagione di Randle, che addirittura ora che ogni vittoria conta ancora di più sta salendo ulteriormente di livello.

Come la stragrande maggioranza dei giocatori NBA, anche Randle ha avuto bisogno di avere il contesto adatto attorno a sé per realizzare la miglior stagione della sua carriera. Esserci riuscito a New York, portando i Knicks a giocarsi un posto ai playoff che manca dal 2013, ha però un sapore particolare: nessuno in questi anni si è voluto prendere la responsabilità di riportare una franchigia derelitta a contendere per un posto tra le prime otto, ma lui ci sta riuscendo dopo una prima annata in cui nulla sembrava funzionare e anche la sua carriera sembrava arrivata a un punto morto. Ora invece sappiamo di che cosa è capace, ed è un gran bello spettacolo.

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