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Foto di Roby Jay Baratt / Getty Images
Calcio Daniele Manusia 28 settembre 2020 4'

Aspettando che parli Ilicic

Dovremmo fare silenzio.

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Ho l’impressione di scrivere del niente. In senso metaforico e letterale. Sto scrivendo del vuoto, dell’assenza di luce, della mancanza di vitalità. Ma sto scrivendo anche di una non-notizia, di qualcosa di fabbricato sul silenzio del suo protagonista. Per cui iniziamo da questo: Josip Ilicic ha parlato di molte cose – di quanto lo ha colpito la morte di Davide Astori, dell’infezione ai linfonodi che poco dopo fa gli ha fatto pensare di andare a dormire e di non svegliarsi la mattina, di cosa significa crescere senza padre, in un periodo di guerra – ma non ha mai parlato di depressione. Eppure sui giornali italiani è una cosa data per scontata, almeno da quando lo scorso luglio è tornato in Slovenia, saltando la parte finale della stagione.

 

La narrazione sulla presunta malattia mentale di Ilicic mostra in maniera fin troppo evidente tutta l’inadeguatezza dei media e del sistema calcio in generale, in Italia: siamo passati dall’imbarazzo iniziale per un’assenza troppo lunga e peculiare per  essere giustificata con un problema muscolare, per cui si parlava di “problemi personali” – su Repubblica si è parlato di «male oscuro», senza ovviamente citare il diretto interessato, specificando che «se la sua sia depressione lo possono dire solo i medici» – alle interviste all’agente di Ilicic secondo cui trovarsi a Bergamo durante il primo picco pandemico del nuovo coronavirus aveva acuito problemi passati, al sensazionalismo delle interviste agli ex compagni (tra cui qualche poeta che paragona la sua fragilità a quella dei “tronchi degli alberi antichi”), a quelle ai suoi compagni attuali che lo hanno ritrovato con “una faccia diversa”.

 

Si continua a parlare di Ilicic in sua assenza, anche adesso che è tornato. E si continua a parlare dei suoi problemi mentali, senza che lui abbia detto una sola parola al riguardo. Interrogato sul rientro in campo di quello che fino a febbraio è stato il miglior giocatore del campionato, il suo allenatore ha detto che non c’è fretta, che l’importante è che abbia messo alle spalle “il brutto momento”. Gasperini ha anche raccontato un aneddoto simpatico: a quanto pare Ilicic gli ha chiesto scherzando (sì, insomma, più o meno) cosa aveva Miranchuk più di lui, e con la sua sensibilità (quella di un uomo che con dei possibili sintomi da Covid-19 si è comunque seduto in panchina per una partita di Champions League) l’allenatore dice di aver risposta: la testa.

 

Non avrei voluto scrivere niente su Ilicic, adesso. Perché di Ilicic è bello scrivere quando è in campo, anzitutto. Lo scorso febbraio, nel suo momento migliore, avevo scritto che l’unicità di Ilicic sta nell’essere un “grande campione” ma al tempo stesso una persona fragile (e scrivevo anche che finalmente sembrava aver trovato la leggerezza giusta per rendere al meglio delle proprie possibilità….). Ilicic ha avuto dei problemi a gestire i traumi che sono capitati sul suo percorso? Può darsi. È, oppure è stato, depresso? Non lo so. Ma in campo Ilicic rappresenta, per il suo stesso stile, il superamento di una situazione precaria, la sublimazione della sua fragilità in qualcosa di grande. Se sto scrivendo di Ilicic fuori dal campo, però, contraddicendo i miei buoni propositi, con l’impressione che sto scrivendo del niente, è solo per dire che nessuno avrebbe il diritto di parlare di lui in questo periodo.

 

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Foto di Massimo Paolone / LaPresse.

 

Anche se fosse, non è questo il modo di parlare di depressione. Prima di tutto, se si tratta di una storia personale, solo il protagonista ha il diritto a raccontarla. Di certo non ne aveva il diritto un giornalista estraneo, né il suo agente. Non avevano il diritto di commentare Muriel e Caldara: loro avrebbero dovuto rifiutarsi di rispondere, mentre i giornalisti dovrebbero smetterla di fare domande pruriginose, trattando una possibile malattia mentale alla stregua di un fatto curioso, come se a Ilicic avesse preso una qualche malattia tropicale. Allo stesso modo, nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di dire a una persona che ha sofferto di depressione che quello che gli manca è “la testa”, come se dipendesse dalla sua volontà, come se fosse una qualità umana (o peggio, tecnica) che o ce l’hai o peggio per te. 

 

Kevin Love, su The Player’s Tribune dove molti atleti stanno raccontando le loro storie legate ad ansia e depressione, ha scritto che «la via d’uscita dalla depressione non è una cosa che si conquista». Non è come un titolo, o come i soldi. Bisogna fare terapia, parlare con un medico proprio si farebbe per un problema alla spalla, o alla schiena, ma Love consiglio di cominciare in modo semplice: «Parlane con qualcuno». E ricorda che nel momento peggiore lo ha aiutato una domanda: «Cosa posso fare per te?».

 

L’Atalanta, come società, ha mostrato comprensione e delicatezza e non metto in dubbio che Ilicic abbia trovato qualcuno in grado di fargli una domanda di questo tipo. E che magari proprio Gasperini, nel privato, gli abbia dimostrato profonda comprensione e solidarietà. Perché, però, nessuna delle persone intorno a lui non si è sentita in dovere di aspettare che fosse lui a parlarne? Perché non hanno aspettato che fosse Ilicic ad avere voglia di dirci come sta e, se mai vorrà, a raccontare come si è sentito in quei mesi?

 

Capisco anche la buona fede dei giornalisti e dei lettori che hanno condiviso quegli articoli con messaggi di solidarietà, ma affrontando un argomento tabù in questo modo si rischia di fare peggio, rafforzando i pregiudizi di fondo. Di depressione e malattia mentale in Italia se ne parla ancora con l’imbarazzo che si riserva alle cose che si preferirebbe tenere nascoste, che sarebbe meglio non nominare. Sullo sfondo c’è l’idea che sia una colpa, una cosa in meno, o che quanto meno sia inguaribile, una disgrazia di cui non ci si può liberare. Di articoli su un giocatore inattivo e silenzioso per mesi, sul niente cioè, ne sono stati scritti e condivisi troppi, al punto che sotto si direbbe ci sia un’ossessione. Essere depressi, soffrire di attacchi di ansia o panico, avere problemi a dormire, fare pensieri suicidi, non è “normale”, ma purtroppo è molto comune. Nel calcio, dove chissà quanti infortuni mascherano disagi psichici, come dappertutto.

 

Forse prima di concentrarsi su Ilicic ci si dovrebbe guardare attorno, o dentro.

 

 

Tags : atalantajosip ilicic

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).

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