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La leggenda di Joseph Ndo
17 lug 2025
Uno dei migliori giocatori di cui forse non avete mai sentito parlare.
(articolo)
12 min
(copertina)
Imago / Buzzi
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Ne Le ceneri di Angela Frank McCourt tratteggia il clima d'Irlanda in poche righe: "Sull'oceano Atlantico si formavano grandi quinte di pioggia che risalivano lentamente sul fiume Shannon per stabilirsi a Limerick in eterno. La pioggia bagnava la città dalla Circoncisione a Capodanno, scatenando uno sgangherato concerto di tossi secche, raspi bronchiali, rantoli asmatici e gracchi tubercolotici". Dal suo punto di vista: "Un'infanzia infelice irlandese è peggio di un'infanzia infelice qualunque". Più del padre alcolizzato, dei "preti boriosi", della "madre pia e derelitta che geme accanto al fuoco" e addirittura degli inglesi, è l'umidità il vero tormento dell'isola di San Patrizio.

Pure Giovanni Trapattoni, CT dell'Eire dal 2008 al 2013, immortalò in eterno il clima dell'Isola Verde in uno dei suoi aforismi più celebri: «In Irlanda piove due volte a settimana. La prima da lunedì a mercoledì, la seconda da giovedì a domenica».

Guardare dagli spalti una partita di calcio del campionato irlandese richiede una tensione continua verso il cielo, che con rapidità impressionante passa da azzurro ceruleo a grigio tempesta. Nuvole minacciose si accalcano con la rapidità delle volute di smog che fuoriescono dagli altiforni di un'acciaieria. Un ombrello a portata di mano è sempre una buona idea, perché il fischio d'inizio potrebbe risuonare in una giornata primaverile e la gara concludersi in mezzo al diluvio.

Tra gli anni Novanta e il 2006 l'Irlanda è stata definita "Tigre Celtica" per la rapidità della sua crescita economica, così pure io mi sono ritrovato nel gennaio di quell'anno a camminare per i marciapiedi di Dublino alla ricerca d'inviti a cavalcare l'onda. Non sapevo ancora che quella crescita esponenziale si sarebbe tramutata in pochissimo tempo in una drammatica recessione, ma quei cieli plumbei, quell'umidità penosa e la flemma avvilente del fiume Liffey mi hanno spinto a rinunciare a un trasferimento già dato per fatto con amici e parenti.

Mentre camminavo languido e pieno di dubbi tra le vie fradice e deserte della capitale, il giocatore più forte di cui forse non avete mai sentito parlare si trasferiva dalla squadra del quartiere di Inchicore – stradoni di cemento spazzati dal vento gelato e circondati da casette basse in mattoni – a quello di Drumcondra, stessa cosa ma con qualche velleità decorativa e un po' più di alberi.

Il giocatore più forte di cui forse non avete mai sentito parlare si chiama Joseph Cyrille Ndo e se avete assistito anche voi a Italia-Camerun 3-0 dei Mondiali di Francia 1998 lo avete avuto davanti agli occhi senza farci troppo caso. Il 16 giugno, alla vigilia del match, la Gazzetta dello Sport ha raccontato che suo padre Daniel è il più celebre comico del Camerun, il suo nome d'arte Oncle Otsama. Il 18 il pagellista del Corriere lo premia con un 6,5, quello della Stampa lo boccia con un 5, ma i più preferiscono parlare di arbitri, sciamani, sortilegi e staffetta Baggio-Del Piero, piuttosto di concentrarsi su quell'esterno destro che non ha avuto paura di affondare il dribbling. In un'occasione Ndo si trova faccia a faccia con Maldini sulla linea laterale: lo irretisce alzando la sfera con l'esterno destro, lo supera in velocità sul breve allungandosi il pallone di punta, resiste a una spallata e poi crossa.

È il Camerun di Mboma, del portierone Song'o, di un declinante Omam-Biyik da sei presenze nella Sampdoria e del futuro salernitano Rigobert Song. Eto'o assaggia i Mondiali ad appena diciassette anni, sulla sinistra agisce la futura meteora romanista Pierre Womé, mentre Ndo si muove dall'altro lato. È uno degli appena quattro convocati provenienti dal campionato locale.

Il selezionatore francese Claude Le Roy, alias, manco a dirlo, “lo stregone bianco”, è il prototipo dell'allenatore giramondo che passa da una Nazionale esotica all'altra. Ha pescato quel ventiduenne dinoccolato, leggermente curvo sulle spalle ma rapidissimo nei primi due tocchi nel Coton Sport di Garoua, a nord del Camerun. Sino al 1992 il club ha militato nelle serie minori, ma dal 1996 ha cominciato a macinare titoli in sequenza e Ndo è la novità più eccitante della nuova superpotenza del calcio camerunese.

Al Mondiale Joseph è titolare in tutte e tre le partite dei “Leoni Indomabili”, ma la squadra non ripete i fasti di Italia '90, facendosi eliminare al primo turno. Ho provato a riguardare gli highlights e l'ho notato tre volte in tutto: contro l'Austria prova un tiro da almeno trentacinque metri che finisce altissimo; con l'Italia batte un'innocua punizione da destra; nella sfida decisiva al Cile fa un entrata in scivolata killer che non viene sanzionata. Se gli scout italiani come me avevano visto solo questo, facile che nessuno si sia fatto un'idea.

“Spera di raggiungere Song nelle file della Salernitana e si è affidato agli stessi procuratori” scrivono di lui sulla Stampa, ma a fine torneo vola al Neuchâtel Xamax con il connazionale Njanka.

Della sua esperienza in Svizzera ho trovato poco o nulla, se non una top XI dei migliori giocatori nella storia del club che lo include nel trio di centrocampo e il video di un gran gol su punizione in cui mi è sembrato di individuarlo tra i giocatori che vanno a esultare dal rabbioso autore del tiro. Ma non posso giurare che si tratti di lui. Non c'è traccia delle giocate da funambolo che di recente gli hanno attirato le attenzioni degli spagnoli di Revista Panenka e di TikTok.

Il sito ufficiale dello Xamax lo include tra le “leggende” scrivendo il suo cognome in modo errato con l'apostrofo dopo la N, come sulla sua pagina Wikipedia in inglese. Un errore di spelling su cui Ndo si è dilungato in un podcast con la giornalista irlandese Sinéad Dolan, ridendo come un matto.

Racconta di aver provato a chiedere la correzione del refuso all'enciclopedia, ma gli è stato detto che non era possibile. Quando ci ha provato, la giornalista, modificando più volte manualmente l'intestazione della pagina, è stata prima chiamata "troll" e poi per poco non è stata bannata dal sito. «Chi produce quello show si sbaglia», le hanno risposto quando ha provato a spiegare che lavora a stretto contatto con l'ex giocatore.

Misteri enciclopedici a parte, nel 1999 Ndo passa allo Strasburgo dove da metà stagione ritrova il suo mentore Le Roy, ma un infortunio al ginocchio lo costringe spesso ai margini o a giocare solo grazie alle infiltrazioni. Nella sua seconda annata la squadra alsaziana vince la Coppa di Francia ma retrocede in seconda divisione. Ndo è tuttavia un comprimario e in estate lascia l'Europa per trasferirsi all'Al-Khaleej FC in Arabia Saudita, quindi in Cina al Chengdu Wuniu. Esperienze che se non fosse per l'ultima, straordinaria parte della sua carriera in Irlanda non sarei certo qui a elencare.

Ndo trova la sua terra promessa nel 2004 per quegli strani incroci del calciomercato internazionale e il suo impatto sul calcio irlandese “è a dir poco immenso”, come dicono in un documentario su FIFA TV. La sua prima squadra è il St Patrick's Athletic ma è dal 2010 con gli Sligo Rovers che diventa a tutti gli effetti un'istituzione locale. La sua personalità e il suo modo unico di giocare a calcio valgono da soli il prezzo del biglietto. E fa niente se minaccia pioggia.

Ndo sembra sempre di buon umore quando parla davanti a una telecamera, forse ha preso questo lato da intrattenitore dal padre. Sorride allegro mostrando le gengive e non perde occasione per una battuta che gli consenta di lasciarsi andare in una risata di cuore. Come quando racconta di aver imparato nelle strade di Yaoundé i trick che lo hanno reso una leggenda gaelica: «"Sei un genio", mi dicono, "Ma che genio, ho solo copiato da un tizio per strada"», racconta divertito.

"Ndo era incredibile, probabilmente il miglior giocatore mai visto in Irlanda"

"Impagabile. Uno one man show dalle capacità oltraggiose"

"Era fantastico"

Sono solo alcuni dei commenti che ho rastrellato su Internet tra chi l'ha visto dal vivo. Ndo può raccontare ai nipoti di aver superato Maldini e in Irlanda era ingiocabile, ma a guardare i suoi highlights sembra desiderasse soprattutto mettere in condizione i compagni di rendere al meglio. Le sue giocate sono di una bellezza "oltraggiosa", appunto, ma per quanto siano ingannevoli i video di skills – e lo abbiamo capito di recente con l'hype sovradimensionato per Ronaldinho al Milan – i colpi a effetto di Ndo sembrano sempre necessari.

Il brasiliano, almeno a me che l'ho visto spesso allo stadio, sembrava interpretare stancamente una parte, così da accontentare tutti, mentre per Ndo la giocata di suola, il tacco al volo, la veronica e il sombrero erano un modo di esprimersi genuino. È visionario nelle sue aperture, nei suoi scambi palla a terra con i compagni, nelle sue finte, ma sempre con semplicità assoluta e una naturalezza unica.

Nei video delle sue prodezze indossa le maglie del St Patrick's Athletic, dello Shamrock Rovers, dei Bohemians (con cui segna addirittura in Champions al Salisburgo nel 2009), dello Shelbourne e soprattutto del suo amato Sligo. Nel Nordest lo accolgono da free agent a trentaquattro anni e lui trasforma una squadra nella media in un club vincente.

La sua giocata più famosa è del 2011 e non si conclude con un gol: Ndo ne parla in un format chiamato Blessed, descrivendola passo passo. Facendosi delle grasse risate appena può.

Gli Sligo giocano contro i rivali dello Shamrock, campioni d'Irlanda in carica, e durante la settimana Ndo ha provato a trovare una soluzione originale per concludere in porta accentrandosi dalla fascia destra. Non ha grande familiarità con il mancino, ma poiché in partita gli capitano spesso azioni "alla Robben" decide di allenarsi a concludere di esterno destro.

Riceve palla in surplace, poi con un gioco di gambe simile a quello che al Mondiale gli ha permesso di superare Maldini – «Ero molto veloce nei primi due passi» – si accentra lasciandosi alle spalle il marcatore. La porta è a una trentina di metri di distanza, è molto defilato, ma con l'esterno destro alza una parabola in cerca dell'incrocio sul palo opposto. La sua conclusione vola altissima, il portiere scruta l'aria senza capirci molto e di colpo vede la palla ricadere sul palo, a centimetri da un gol clamoroso.

«Se ti alleni le cose succedono», spiega Ndo, ma l'intervistatrice cattivella gli fa: «Sì va bene, ti sei allenato, ma quella volta non hai segnato». E lui, come se niente fosse: «Non ho fatto gol perché hanno sbagliato il passaggio». E ride.

L'altra sua giocata irreale è un passaggio no look alle spalle, forse il più bello che abbia mai visto. Il termine inglese è back heel e Ndo lo dona al mondo in uno stadiolo con gli alberi sullo sfondo e una tribunetta alta sei o sette gradini popolata da qualche sparuto drappello di tifosi con la birra in mano. Rimessa laterale in zona d'attacco e Ndo riceve palla con un avversario che lo tira per la maglia. Arretra flemmatico, come per tornare da un compagno a centrocampo, poi d'improvviso si sposta con la suola destra il pallone sul tacco sinistro e lo alza in pallonetto irretendo i difensori. Non ho idea di come sia proseguita l'azione, ma in basso a sinistra si notano spalti coperti abbastanza gremiti. Non sembra lo stadio dello Sligo, dove un pullman parcheggiato troneggia dietro una delle porte, ma la giocata viene comunque celebrata con un "ooooh" di meraviglia. È sufficiente.

Guardare Ndo rimanda a una dimensione perduta del calcio. Anche in Irlanda ci sono folle entusiaste o incazzate, giornalisti che raccontano le partite cercando la polemica, avversari rudi desiderosi di vincere o di entrarti male sulle caviglie – non necessariamente in quest'ordine – ma ogni cosa è ammantata di una serenità intrinseca che consente di provare giocate di quel tipo. Sarà il verde smeraldo delle colline e dei prati, così riposante. Sarà la certezza che subito dopo un acquazzone il cielo si aprirà di colpo, vasto come da nessun'altra parte.

«Mi piace mettere i miei compagni al centro della scena», ha raccontato Ndo in un'intervista, ma quando in campo supera un difensore facendogli un tunnel in corsa dopo averne saltati due in palleggio è difficile guardare altro. Come nel tacco al volo con piroetta con cui lancia un altro compagno sulla fascia da centrocampo o quando contro il Drogheda United in finale di coppa supera la barriera con un lob delizioso dopo aver fintato la conclusione su punizione. Ti distrai a pensare a quello che hai appena ammirato e sapere se qualcun altro ha segnato o meno è un dettaglio secondario, come il tempo che passa.

Uno dei suoi trucchetti preferiti era fingere di calciare di prima mandando a vuoto il pressing, ma sapeva pure girarsi in un fazzoletto di campo passando tra due o tre avversari senza apparente sforzo. Si dirà che è solo merito del contesto mediocre, ma contro Maldini ai Mondiali? E poi che importa? La Gioconda sarebbe meno bella appesa nel vostro tinello?

«Amo davvero lo Sligo e vincere il campionato è stato incredibile», ha raccontato Ndo in un'intervista di dodici anni fa e dicendolo i suoi occhi si sono inumiditi. L'Irlanda gli ha rubato il cuore e ancora oggi è la sua casa: è un pundit, il corrispettivo del nostro commentatore tecnico, e continua a sorridere parlando di calcio con lo spirito di chi sa che è la cosa più importante tra quelle meno importanti.

In una recente intervista alla Gazzetta dello Sport Davide Santon, uno che per essere all'altezza del calcio d'élite ci ha quasi rimesso la salute, ha spiegato: «Tra i campi di padel cerco l’essenza dello sport più genuino, voglio giocare senza pressione». Quando scendeva in campo in Irlanda, Ndo sembrava immerso in qualcosa di davvero genuino, senza pressioni. Ha scambiato lo stress di Santon – che senza dubbio ha guadagnato più di lui e ha avuto possibilità di farsi conoscere dal mondo – con una serenità assoluta, invidiabile sotto tanti punti di vista.

Se riguardate i trick di Ronaldinho al Milan forse li troverete comunque più esaltanti di quelli di Ndo a Sligo. Il contesto è di un altro livello. Ma il brasiliano giocava con l'euforia disperata dell'ubriaco che balla su un parapetto con il rischio di cadere di sotto. Ndo sembrava solo felice.

Non so se l'essenza del calcio, dello sport in generale o della vita sia davvero questa: prenderla nel miglior modo possibile, senza stress. Ma scoprire un giocatore come Joseph Ndo, capace di trasmettere gioia in un contesto calcisticamente depresso – con la pioggia, per di più – riappacifica con il concetto stesso di bellezza.

Forse la vita va davvero affrontata come ha fatto lui, un tunnel alla volta. Sperando di trovare con un colpo di tacco un compagno libero dall'altra parte del campo e permettergli di fare bella figura.

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La leggenda di Joseph Ndo