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Emanuele Atturo
Mourinho e l'incantesimo dell'Olimpico
12 mag 2023
12 mag 2023
Un'altra notte da ricordare per la Roma e i suoi tifosi.
(di)
Emanuele Atturo
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IMAGO / Gruppo LiveMedia
(foto) IMAGO / Gruppo LiveMedia
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“Non lo vedete?! È quello lì, quello col 52. Cinquantadue!” dice Xabi Alonso ai suoi giocatori imbambolati. Edoardo Bove ha appena attraversato mezzo Bayer Leverkusen senza lasciare traccia, e poi ha fatto gol. Sulla sponda di Abraham si è buttato in anticipo su Andrich portandosela avanti col petto. A quel punto fa una giocata leggermente imprevista. Gli si para dinanzi Tapsoba mentre la palla ancora rimbalza; sulla spinta del primo scatto sarebbe più facile andare alla propria sinistra, muovere il pallone con l’interno. Invece Bove ha la forza nelle gambe per arrestarsi leggermente e cambiare direzione verso destra. A quel punto potrebbe anche tirare, invece la passa ad Abraham. Il centravanti della Roma controlla per preparare il tiro di destro, Hradecky para, e sulla respinta c’è sempre Bove, che è sempre sorprendentemente pronto a coordinarsi con l’interno sinistro, non il suo piede, per segnare l’1-0, il gol che ha deciso la partita di ieri tra Roma e Bayer Leverkusen.Una partita decisa da Edoardo Bove, diventato più importante man mano che la squadra perdeva pezzi. Mentre tutti si infortunano, la Roma si rifugia nei suoi giovani. Bove ha rappresentato quello che dovrebbero rappresentare i giovani: una fonte di energia e vitalità, una risorsa, un rinnovamento nel momento in cui la rosa era in una situazione di siccità. È qualche settimana che è diventato un giocatore su cui contare. Aveva giocato titolare a Monza e contro l’Inter. È entrato presto contro il Milan, giocando 75 minuti, ed era stato titolare contro Atalanta, Udinese e Sassuolo. Nel momento decisivo della stagione, la Roma ha perso quasi tutti i suoi migliori giocatori per infortunio, e Bove è diventato una scelta obbligata. Ieri, però, non lo era.Mourinho aveva altre opzioni più scontate. C’era Mady Camara, un giocatore più esperto di lui, e forse si poteva rischiare anche Wijnaldum dal primo minuto. L’allenatore si è però fidato di Bove, che nelle scorse settimane lo aveva ripagato con prestazioni di straordinaria intensità fisica e mentale. Giocare mediano nella Roma è difficile: bisogna saper scegliere i momenti, quando restare in posizione e quando inserirsi. Bisogna aiutare gli attaccanti, ma sapendo che ogni corsa in avanti ha un costo, perché poi bisogna sempre tornare indietro e scivolare in orizzontale per non lasciare i “quinti” in inferiorità numerica. Bove tutte queste corse le ha fatte con l’esuberanza della gioventù. Ieri però ha fatto qualcosa di nuovo e diverso, un’azione di precisione e qualità che non ha solo messo “una pezza”, ma ha aiutato la Roma nell’operazione più difficile della sua stagione: fare gol.Dopo la partita Mourinho non ha lodato le qualità calcistiche di Bove ma quelle umane. Ha definito la sua educazione “estrema”, la sua formazione “intellettuale, accademica”, facendo riferimento alla sua frequentazione del corso di economia all’università. Bove con la mascella lunga e gli occhi freddi, un’inquietante crasi tra la faccia di Totti e quella di De Rossi, che ai microfoni ha detto che il gol “è stato un mare d’emozioni”, e lo ha detto senza tradire un’emozione. "Non abbiamo mollato un singolo pallone", ha detto.

È stato come inventare un nuovo giocatore, qualcosa che Mourinho aveva già sperimentato la scorsa stagione con Nicola Zalewski. Un altro giovane entrato in punta di piedi nella Roma, e che una partita alla volta ha dimostrato la sua durezza e la sua maturità, e lo ha fatto soprattutto nelle partite europee, col picco raggiunto nella semifinale di Conference. Uno dei meriti più chiari di Mourinho, che ha rinnovato il legame storico che esiste tra il settore giovanile giallorosso, uno dei migliori d’Italia, e la prima squadra. In queste due stagioni ha sfoltito la squadra, ma al contempo l’ha resa più permeabile all’ingresso dei giovani. Un patto tra generazioni. Oltre a Bove e Zalewski, in questi due anni hanno fatto il loro esordio Cristian Volpato, Jordan Majchrzak, Dimitrios Keramitsis, Benjamin Tahirovic, Filippo Missori, Niccolò Pisilli.Gi altri meriti di Mourinho sono quelli che la Roma ha dimostrato in campo ieri. Dopo il gol la squadra è riuscita a gestire la partita nel suo solito modo: con una difesa posizionale strenua, attentissima, perfetta nell’applicazione fisica e mentale di tutti i giocatori. Quando la Roma non vuole che si giochi a calcio, allora non si gioca. Una squadra che sporca tutte le tracce avversarie, tutti i duelli individuali, tutti i palloni. Una squadra che ha elevato la distruzione del gioco avversario a un arte zen.Non sempre alla Roma riesce. In queste ultime settimane senza Smalling la squadra era sembrata meno coriacea. Nelle sconfitte con Atalanta e Inter, nei pareggi con Monza e Milan, la Roma non aveva perso il suo fuoco, ma pareva aver perso un po’ di concentrazione, un filo di precisione difensiva. La difesa è stata leggermente più permeabile, soprattutto nei bivi decisivi delle partite. Quando si è stanchi si è anche meno concentrati, aveva spiegato Mourinho. Ieri però, con alle spalle il soffio di uno stadio glorioso, la Roma è tornata nella sua versione migliore. Dopo la Real Sociedad, dopo il Feyenoord, il Bayer Leverkusen era arrivato con grandi promesse di gioco offensivo, con tanti talenti rapidi e tecnici da mettere in vetrina. Spinazzola e Mourinho l’avevano presentata come una squadra di velocisti, di potenziali campioni olimpici. Il Leverkusen schierava però anche giocatori di grande raffinatezza tecnica: i dribbling di Diaby e Frimpong, la precisione da futsal in spazi stretti di Florian Wirtz, la qualità balistica di un campione del mondo come Ezequiel Palacios. La Roma ha neutralizzato e assorbito queste potenziali eccezionalità, come spesso le capita. Gli avversari fanno paura, finché non risuona l’inno, finché non sventolano le bandiere, finché la partita non viene abbracciata dai cori perenni della Curva Sud: «Se i tuoi colori sventolo / I brividi mi vengono» lo scorso anno; «Giallorossa è unica / Questa maglia è magica per me» quest'anno. Allora gli avversari si spengono, ipnotizzati, disimparano quello che fino a quel momento sono sempre riusciti a fare. Queste notti europee romane stanno diventando uno dei riti romantici nel calcio europeo, un incantesimo.La Roma gioca davvero tutta insieme. Sembra un modo di dire, una banalità, finché non la si vede giocare. Una squadra dalle possibilità fisiche, tattiche e tecniche spesso ridotte davvero all’osso, e che però ha qualche energia nervosa nascosta da qualche parte, e che la anima come un corpo unico, in attacco e in difesa, attraverso la sofferenza, che è la cifra emotiva di questa Roma di Mourinho. Non la sofferenza pazza e lunatica delle altre versioni della Roma, ma una sofferenza cristologica, appassionata, gloriosa. Mourinho allora pare davvero aver modificato l’identità storica della Roma. «È stato bello vedere la compattezza della squadra, come tutti abbiamo difeso e attaccato insieme» ha detto Abraham, ed è davvero così: la compattezza della Roma, la sua ruvidezza, diventa uno spettacolo estetico, qualcosa di bello da vedere. Il modo in cui Belotti battaglia su ogni pallone come una questione di vita o di morte. Unico attaccante della storia amato dai suoi tifosi nonostante non abbia MAI segnato in campionato. E poi lo stile manesco di Mancini, l’esuberanza casinista di Ibanez, l’onnipresenza dinamica del capitano Pellegrini, l’instancabilità alla Sisifo di Spinazzola sulla fascia, i giovani della primavera portati per mano. E ogni giocatore della Roma sembra avere un tifoso a proteggerlo e a spingerlo. Una comunione d’energie tra stadio, giocatori, allenatore e proprietà che è uno spettacolo unico, che sa toccare un’essenza intima del calcio, che ha solo relativamente a che fare con la vittoria e la sconfitta. La materializzazione migliore possibile dell’amore calcistico. Da quando è arrivato, Mourinho ha spinto ed elaborato una retorica da underdog, ha usato e riusato la parola "empatia" per indicare l'emotività estrema che circonda la sua squadra, e che le rende possibile obiettivi altrimenti fuori portata. In questo finale di stagione, però, con tutti i problemi di infortuni, la Roma ha raggiunto una sua purezza, coincidendo in modo esatto con la narrazione che ne fa Mourinho. «Non potremmo stare lì» ha detto Mourinho parlando della lotta Champions, «Siamo lì perché giochiamo duro». «Siamo lì, con tutti i nostri problemi» ha detto anche ieri.

Il fumo giallorosso, e i canti, hanno accompagnato il pullman della squadra a Viale Angelico, scortandola fino all'Olimpico.

Al ritorno sarà diverso. Nonostante una partita in fondo non troppo sofferta, la Roma ha rischiato più volte di subire gol dal Bayer Leverkusen. Due volte a freddo, nei minuti iniziali, quando l’intensità mentale non si era ancora affinata. E poi nei minuti finali, su un pasticcio fra Rui Patricio e Ibanez che ha portato Frimpong al tiro a porta vuota (poi respinto dall’eroico Cristante, occhio nero, fuori ruolo, altra partita di spessore tattico fuori scala). Il conto degli xG si è fissato sul pareggio. La Roma non vinceva dal 20 aprile (contro il Feyenoord) e il Leverkusen non perdeva fuori casa da metà febbraio. La Roma è riuscita a vincere la partita d’andata senza Dybala e Smalling, i due giocatori che ne fanno l’ossatura insieme a Matic, principe del centrocampo. Questo, insieme a tutto il resto, dovrebbe darci le proporzioni di una partita d’andata che resta un’altra piccola impresa da celebrare: l’ultima partita all’Olimpico della stagione europea della Roma, un'altra grande partita.

Roma-Bayer Leverkusen l'abbiamo commentata anche sul nostro talk calcistico: La Riserva.

Ciò che però rende la partita di ieri un’impresa è anche ciò che fa restare tutto aperto per il ritorno. La Roma è una squadra ridotta ai minimi termini, che non recupererà del tutto i suoi giocatori migliori (e forse non li recupererà affatto, la presenza di Smalling rimane incerta). Basta calare un minimo d'intensità e il Leverkusen apparirà molto più forte di quanto non sia sembrato ieri. La squadra è attesa da un’altra prova di fatica e sofferenza, ma in effetti non c’è niente di più esaltante.

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