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Emanuele Atturo
Cosa ci dice il litigio tra McEnroe e Travis Scott
12 dic 2023
12 dic 2023
La storia del rapporto tra John McEnroe e Nike.
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Emanuele Atturo
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Travis Scott si guarda un attimo intorno e quando capisce che nessuno lo sta guardando imbratta con una bomboletta una targa dedicata al tennista John McEnroe. Cosa può portare una delle più celebri star planetarie a imbrattare la targa di uno dei più grandi tennisti di sempre? In che razza di multiverso siamo finiti?

La risposta è sempre la stessa: quello del capitalismo.

La storia è questa. A maggio Travis Scott sale su un palco indossando un paio di Nike molto simili a un modello anni ’80 reso celebre da John McEnroe. Travis Scott è una macchina da soldi e non indossa niente per caso. Specie una scarpa Nike, marchio con cui Travis Scott ha una lunga collaborazione. Il modello in questione è una Nike Mac Attack Light Smoke Grey e rimanda alla scarpa utilizzata da McGenius nel 1984, e che fu piuttosto rivoluzionaria nell’estetica delle scarpe da tennis. Per il collo alto, e i colori che rompevano il dogmatismo del bianco.

A giugno il modello è uscito sul mercato, con una campagna marketing che lo collega a Travis Scott e cerca di riattualizzare l’immagine di McEnroe verso un pubblico che probabilmente non lo conosce. Il nome della campagna è “Rebel like the OG” (dove OG sta per Original Gangster, o comunque guru, o comunque leggenda dell’Old School, eccetera).

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A far funzionare lo spot basta il cortocircuito di McEnroe e Travis Scott sullo stesso campo da tennis.

Il 10 dicembre comincia a circolare su internet un video strano. Sembrerebbe essere una riunione su Zoom registrata di nascosto da qualcuno, e dentro vediamo John McEnroe e Travis Scott. Nella riunione sentiamo McEnroe disapprovare l’idea di chiamare la linea di scarpe “CactusJack” e non “CactusMac”. Sembra un momento davvero stupido. McEnroe chiede un compromesso e poi dice «Dai, mostra un po’ di rispetto! È la mia scarpa». È un video non semplicissimo da interpretare, viene il dubbio che non sia vero. Possiamo credere che Johnny Mac abbia ancora quel tipo di follia per litigare alle riunioni di Nike a più di 60 anni? Che abbia ancora quel tipo di ego per rivendicare il proprio mito di fronte a Travis Scott?

Il giorno dopo esce un video di McEnroe vestito di nero con un trench lungo fino ai piedi e un caffè in mano per le strade di New York. Qualcuno lo riprende e gli pone delle domande sceme: «Qual è il tuo piatto preferito»; «Segno zodiacale?». Poi McEnroe mostra il tallone delle sue scarpe MacAttack con su scritto “CactusMac”, e infine una maglia, sotto al trench, con la stessa scritta. Cactus Jack è l’etichetta discografica di Travis Scott e ha già figurato in passato su altri prodotti Nike. Nel video McEnroe tiene la posa di chi ha appena fatto qualcosa di illecito, passando sopra Travis Scott. A quel punto abbiamo capito: è una campagna marketing di Nike per il lancio delle nuove scarpe, in cui compare la scritta "Cactus Jack". Tutto il litigio è stato architettato. Qualche ora dopo vediamo appunto quel video di Travis Scott che imbratta la targa di McEnroe.

La storia tra McEnroe e Nike

Il tennis è il primo settore in cui Nike ha creato delle partnership commerciali con degli atleti, cercando un angolo dell'estetica tennista fino a quel momento inesplorata, e di rottura. Ha messo subito contratto Ilie Nastase, il più noto folle della storia del tennis, e quando Nastase li ha mollati, cambiando brand, hanno messo sotto contratto John McEnroe, il “supermonello”. Lui dava la possibilità a Nike di vendere i propri prodotti senza scendere a compromessi col sistema di valori reazionario e conservatore del tennis. Si poteva spingere sull’immagine di McEnroe come personaggio irregolare, passionale, geniale. L’aneddoto di come Nike lo ha messo sotto contratto è raccontato nell’autobiografia di Phil Knight, fondatore del brand.

«Nel 1977 non avevamo un tennista sponsorizzato. Siamo andati a Wimbledon, abbiamo incontrato dei dirigenti della federazione americana che ci hanno detto che avevano diversi buoni giocatori. “Telscher forse è il migliore, Gottfried anche è incredibile. Invece state lontani dal ragazzino che sta giocando al campo 14. È una testa calda"».

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Ovviamente Nike, che non era interessata ai giocatori più convenzionali, si è fiondata al campo 14 e Phil Knight si è innamorato di questo ragazzino che la federazione aveva mandato a Wimbledon solo per giocare il torneo juniores, e che invece si era spinto fino alle semifinali del torneo. Dire che ci hanno visto lungo è riduttivo. McEnroe è diventato subito un asset strategico della comunicazione di Nike che, a differenza della stampa, non ha cercato di reprimere il comportamento sopra le righe di McEnroe, ma di incoraggiarlo per venderlo. «Mentre tutti scrivevano che ero un male per il tennis ho ricevuto una chiamata da Phil Knight che mi diceva “continua a fare quello che fai!”» ha raccontato McEnroe in un’intervista.

Nonostante fosse mal visto dal pubblico tennistico più conservatore, McEnroe vendeva. I numeri di Nike sono schizzati proprio in quegli anni. McEnroe vendeva a un pubblico che fino a quel momento non era stato interessato al tennis, con la sua polverosa rigidità, e che era ammirato dal suo anti-conformismo - o anche solo dal suo talento nel far parlare di sé. In un cartellone pubblicitario, McEnroe tiene la racchetta in mano ma è nel classico scenario del ponte di Brooklyn; indossa una giacca di pelle, dei jeans, sembra un tizio uscito da un concerto dei New York Dolls.

Su McEnroe Nike ha spinto su due immagini leggermente diverse. Quella del ragazzetto qualunque, vagamente cool, che puoi trovare a New York; e poi quella del genio tormentato, del ribelle senza causa, a volte in modo anche estremamente didascalico. Nel 1978 una foto di Bill Sumner lo ritrae col cappotto lungo, le mani in tasca, l’aria inquieta. È ricalcata su una celebre immagine di James Dean, e la riprende esplicitamente con la scritta “Ribelle per una causa”.

Nel 1985 esce uno spot in cui McEnroe parla con se stesso nello spogliatoio prima del match. C’è una sfumatura di angoscia, di tormento, nelle sue parole, che McEnroe portava naturalmente con sé, e che Nike ha continuato a usare commercialmente - c’era un’energia negativa piuttosto inedita per lo sport agonistico, in McEnroe, che poi il tennis ha saputo esprimere pienamente con i patimenti di Agassi, fino alla tormentatissima contemporaneità.

McEnroe è stato importante per il brand anche perché ne ha fissato la strategia. Nei decenni successivi Nike continuerà a investire su atleti celebri per essere fuori dagli schemi, irascibili, maleducati: Eric Cantona, Charles Barkley, Ian Wright, Andre Agassi. Anche quando ha avuto tra le mani atleti meno carismatici, tipo Sampras, con la sua normalità ai limiti della noia, ha cercato di modificarne leggermente l’immagine per renderla più ruvida, spigolosa, provocatoria. Un celebre spot Nike vede Sampras lanciarsi la pallina per il servizio, solo che non è una pallina ma una granata.

Nel tennis questa comunicazione “sporca”, dura, irriverente - disruptive, bisognerebbe dire - ha contribuito a svecchiare un po’ l’estetica dello sport stesso. Eloquenti le pubblicità alla fine degli anni ’80, in epoca “Air”, con il claim: “Dimentica cosa è stato il tennis”. Le immagini non hanno nulla dell’elegante compostezza che associamo allo sport: ci sono corpi che volano, o distrutti dalla fatica, maglietta e pantaloncini sporchi di terra rossa. Il tennis non è più quello sport edonistico e borghese che è stato nel Novecento: è performance, sofferenza, sudore, potenza, velocità. Il tennis è lo sport dell’ultra-capitalismo, è dominato dai tennisti americani, dal metodo industriale di Bollettieri, e Nike impacchetta questo sistema di valori.

Vendere il conflitto

Negli anni Nike ha continuato a usare McEnroe come una vecchia icona sportiva, collegata alla storia del brand dalle sue origini. Ogni volta che Nike ha rispolverato vecchie collezioni, spingendo su un’estetica vintage, è fatalmente risbucato fuori McEnroe. Nel 2012 uno spot di Nike SB con lo skater Gino Iannucci, con musica jazz e strade newyorkesi, non può fare a meno di McEnroe. Le SB Court sono un altro modello indossato e reso celebre da McGenius.

Nel frattempo la comunicazione di Nike sul tennis si è affievolita. Oggi i più grandi tennisti hanno diversi contratti di sponsorizzazione, e le proprie economie non dipendono così strettamente da chi gli fornisce i kit da gara e le scarpe. Da parte dei brand c’è un uso più moderato degli atleti, per una comunicazione meno basata sullo star system. Sinner, Alcaraz e Rune sono i tre tennisti più promettenti al mondo, e sono sotto contratto Nike, che però non li sta usando più di tanto nella propria comunicazione, mentre un’icona di mezzo secolo fa come McEnroe continua a comparire nelle loro strategie di marketing. Strano, nel contesto in cui il tennis ha faticato nel suo ricambio generazionale, e due potenti brand ambassador di Nike come Federer e Nadal si sono ritirati o sono prossimi a ritiro. Oggi un atleta Nike con un ricco contratto come Sinner, compare negli spot di Gucci, ma non di Nike.

Soprattutto, però, è quasi del tutto scomparso quel desiderio di comunicare una morale e un’estetica provocatoria, che oggi suonerebbe inquietante. Siamo tutti molto meno tolleranti verso quel tipo di disruptiveness iper-capitalistica. E siamo sempre meno tolleranti verso le grandi star che ci spiegano come si vince e come si vive. A meno che non si tratti di messaggi etici e politici, sui diritti, su cui Nike invece ha insistito molto in epoca recente - con Colin Kaepernick o Megan Rapinoe, per esempio. Nella campagna “Dream Crazy” nel 2016 quell’idea di cambiare il mondo con le proprie azioni non è più individualistica, com’era ai tempi di McEnroe o di Agassi, ma collettiva. Si cambia il mondo rendendolo un posto migliore, non vincendo le partite, e lo sport diventa il veicolo di un messaggio, non il suo fine.

Oggi la spinta rivoluzionaria di McEnroe ci suona ovviamente esaurita. È l’icona di un anti-conformismo anni ’70 e ’80 che oggi possiamo al massimo pensare con nostalgia, ma da cui non ci arriva nessun tipo di forza. Quel tipo di individualismo geniale che veniva celebrato in quegli anni, oggi è visto come qualcosa di passato e persino pericoloso. Per questo Nike usa ormai la sua immagine come una reference quasi ironica: è buffo che McEnroe stia ancora a litigare su Zoom, a montare caciara, con Travis Scott, per un paio di scarpe. E noi sappiamo che si tratta di una pubblicità, quando vediamo costruirsi la storia sui social media, e forse ci sentiamo insultati nella nostra intelligenza. Alla fine però lo accettiamo, perché è impossibile non voler bene a McEnroe.

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