Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Dario Saltari
La doppia vita di Joe Tacopina
31 mar 2023
31 mar 2023
Il presidente della SPAL ha una brillante carriera da avvocato e una storia interessante.
(di)
Dario Saltari
(foto)
IMAGO / AFLOSPORT
(foto) IMAGO / AFLOSPORT
Dark mode
(ON)

«È un T-Rex vestito da squalo con la mente di Perry Mason»

Per quel che sappiamo Joe Tacopina ha almeno due vite, una per sponda dell’Oceano Atlantico. A ovest l’avvocato penalista di successo, la faccia sopra la giacca e la cravatta che in TV difende i suoi assistiti o commenta i casi del momento. A est l’imprenditore bonario, l’uomo che gira l’Italia nella tuta della sua ultima squadra portando nuovi investitori statunitensi in Serie A. A occhio è difficile credere che queste due vite possano essere abitate dalla stessa persona. Ci credete, per dire, che tra questi due video ci passano solo quattro settimane? Da una parte Joe Tacopina con la tuta azzurra attillatissima della SPAL, il cappello da baseball abbassato sugli occhi, che commenta una sconfitta contro il Frosinone, che con il cuore in mano dice che è vero, la squadra deve iniziare a fare punti, ma che gli è piaciuto il modo in cui ha giocato la squadra, I got to tell ya. Dall’altra Joe Tacopina con la barba appena fatta dentro un perfetto completo nero, il nodo della cravatta che sembra tenergli in piedi il collo enorme, in collegamento con la NBC mentre commenta le ultime indiscrezioni uscite sul caso che sta coinvolgendo il suo assistito più famoso, Donald J. Trump.

___STEADY_PAYWALL___

Certo, si dirà che un uomo può fare più di un lavoro nella vita, e che male c’è. Anzi, a livello puramente pratico, non è troppo difficile immaginare come un lavoro nutra l’altro. Joe Tacopina va regolarmente in televisione ed è uno degli avvocati più in vista degli Stati Uniti. Nella sua lunga carriera ha avuto clienti come: Michael Jackson, Jay-Z, il rapper A$ap Rocky, l’attore dei Soprano Lillo Brancato, il velista italiano Chico Forti, il già citato ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il suo lavoro è letteralmente quello di parlare con queste persone di alcuni dei loro più reconditi segreti, instaurare con loro un legame personale che quando si va sul penale è per forza di cose qualcosa di più del semplice rapporto avvocato-assistito. Joe Tacopina, insomma, per lavoro conosce persone importanti, quasi sempre ricche, persone che quando c’è da buttare qualche centinaio di milioni di dollari dall’altra parte dell’Oceano Atlantico non si tirano indietro. Credo abbiate capito dove va a parare questa storia.

O forse no, perché a seguire il filo della storia per come ve l’ho raccontata fino ad adesso forse potremmo arrivare alla conclusione che Joe Tacopina in Europa sia un semplice affarista. Che forse può essere una definizione esatta da un punto di vista strettamente letterale, ma che non ci dice nulla del modo in cui Tacopina viene percepito qui in Italia. A quanti affaristi la Curva Sud dello Stadio Olimpico ha dedicato uno striscione (“Tacopina uno di noi… Grazie Joe!”)? Quanti affaristi avete visto andare a pugni alzati sotto la Curva Bulgarelli, a Bologna, mentre la folla lo acclama? Quanti sono stati nominati cavalieri di San Marco, ordine della Venezia del XV secolo che oggi viene utilizzata per premiare le personalità che portano onore e gloria alla città? E quanti, infine, possono scambiarsi la maglia con uno dei capi ultras della curva della squadra che possiede?

Joe Tacopina, insomma, è molto amato, o almeno è molto più amato della media dei presidenti stranieri di club italiani, e la cosa è strana se pensiamo che anni fa si presentò in Italia portando con sé il nome di George Soros, “il mostro finale di tutti i complottisti” come una volta l’ha definito Vice.

Era il 2007, a Roma uno degli ultimi decadenti anni dell’era Franco Sensi, il cui tramonto aveva attirato nella capitale soggetti più o meno affidabili in vista della successione. Tra questi c’è, per l’appunto, Joe Tacopina, avvocato statunitense, sì, ma iniziato al romanismo da suo padre, Cosmo Tacopina, commerciante romano di scatole per l’imballaggio emigrato a New York che non ha mai dimenticato la lupa. «È lui che mi ha parlato della “Maggica” da quando ero bambino» dice in un’intervista radiofonica citata dal libro I russi, i russi… gli americani che ricostruisce quegli assurdi, incredibili anni. Tacopina, romanista, vuole quindi riportare in alto la Roma, ma con soldi americani s’intende, e per farlo chiede una mano allo studio legale Paul Hastings, che a sua volta lo mette in contatto con Raffaello Follieri. Follieri ha fatto parte dell’entourage di Bill Clinton ma soprattutto ha rapporti con la Chiesa, da cui cerca di comprare e rivendere immobili per arricchirsi. È uno di quelli che, qualcuno direbbe, sa stare al mondo, anche se nessuno sa esattamente come. In questa storia ha il ruolo fondamentale di mettere in contatto Tacopina con Massimo D’Alema, allora vicepresidente del consiglio in trasferta a New York per un vertice ONU. D’Alema lo ascolta interessato e con ogni probabilità è lui a metterlo in contatto con la famiglia Sensi, o almeno a dargli l’ultimo via libera per farlo.

Mancano ancora i soldi, però. Tacopina li trova mettendosi in contatto con il fondo d’investimento Inner Circle Sports, a cui l’idea di rilevare la Roma piace, ancora di più quando capisce che può portare dentro un pesce ancora più grosso, che per l’appunto è George Soros. Tacopina, insieme alla Inner Circle Sports, viene quindi incaricato di portare avanti la trattativa con la famiglia Sensi per conto di George Soros, con la premura di mantenere il massimo riserbo. Viene chiamata "operazione Shewolf" e le cose vanno come previsto, o almeno così sembra. Certo, non mancano i momenti di stop, alcuni dei quali farseschi come per esempio quando l’emissario della famiglia Sensi, l’avvocato Roberto De Giovanni, al finale disvelamento del nome dell’investitore misterioso dietro l’enorme figura di Joe Tacopina, chiede: “Soros chi?”. Ma le cose di fatto vanno lisce come l’olio. Talmente lisce che, una volta pattuita la cifra (tra i 270 e i 283 milioni di euro), già si pensa allo stadio di proprietà e al calciomercato futuro, che dovrà partire con il botto Drogba. Arrivati al momento delle firme, però, qualcosa si inceppa.

I Sensi, improvvisamente e misteriosamente, spariscono, non rispondono più a telefonate e fax, che già nel 2007 agli americani devono essere apparsi roba dell’altro mondo. Secondo la ricostruzione fatta dal libro già citato, si sarebbero resi conto troppo tardi di aver fatto male i conti o dell’importanza del soggetto che si erano ritrovati davanti. In ogni caso vogliono 40 milioni in più per appianare definitivamente i debiti familiari. E forse non sarebbe nemmeno uno scoglio insormontabile se non fosse per il modo con cui fanno arrivare la notizia ai loro ricchi interlocutori. Il 17 aprile di quell'anno, in un lussuoso palazzo di Piazza Venezia, gli emissari della Inner Circle Sports si incontrano con quelli della famiglia Sensi, che principalmente sono il già citato De Giovanni. È un incontro per firmare le ultime carte, per chiudere, ma poco prima che questo avvenga De Giovanni “tira fuori dal cassetto un foglio A4, dove c’è scritto che un gruppo petrolifero arabo si è fatto avanti con Unicredit”. Una notizia quasi sicuramente falsa, che secondo Joe Tacopina fu messa in circolazione attraverso un’email mandata direttamente a Unicredit da Pippo Marra, proprietario dell’Adnkronos e uomo molto vicino ai Sensi. Al di là di come andò realmente, dopo quel giorno George Soros si volatilizzò, lasciando a Roma solo la sua leggenda, e Tacopina iniziò a concentrarsi sul suo progetto secondario, portare nuovi investitori nord-americani in un’altra dissestata squadra del centro Italia, il Bologna.

Se mi sono dilungato con l’unica trattativa gestita da Tacopina che alla fine non si è realizzata (almeno tra quelle di cui siamo a conoscenza) è perché delle altre non conosciamo una tale quantità di dettagli. La trattativa che avrebbe dovuto portare i soldi di George Soros a comprare la Roma si può quindi prendere a prisma attraverso il quale vedere tutte le altre, di cui invece conosciamo solo la superficie. Tacopina, successivamente, si è legato ai nomi di Thomas Di Benedetto e James Pallotta, che invece finalmente riusciranno a prelevare la Roma; di Joey Saputo a Bologna; e infine di Duncan Niederauer a Venezia, dopo aver riportato il club in Serie B a seguito di una doppia storica promozione. Tutti nomi mal sopportati, o addirittura detestati, da almeno una buona fetta della propria tifoseria. Al contrario loro, invece, il nome di Tacopina non si è mai sporcato da un passaggio di mano all’altro. E non è facile capire perché, alla luce della diffidenza che in Italia accompagna chi cerca di cavare qualche soldo comprando e rivendendo, come Joe Tacopina non ha mai nascosto di fare.

View this post on Instagram

A post shared by Joe Tacopina (@joetacopina_spal)

Le teorie possono essere diverse. Forse è perché Tacopina, per interesse economico, prende squadre dissestate e le accompagna nei primi anni della loro ricostruzione, quando i sogni sono leciti e la grandezza sembra un orizzonte possibile. Joe Tacopina come oggetto nostalgico, quindi, quando questi sogni si rivelano illusioni e diventa chiaro che l’ultimo gradino - la Serie A, la qualificazione in Champions League, lo Scudetto - è sempre il più difficile da salire. D’altra parte, però, non va sottovalutata la sua arte manipolatoria, alla fine è un avvocato.

Joe Tacopina sembra sapere perfettamente cosa vogliono i tifosi italiani. Nonostante sia all’apparenza indistinguibile da un qualsiasi altra persona ricca venuta dagli Stati Uniti in cerca di fortuna, è forse uno dei pochi presidenti in Italia a emulare i magnati-tifosi che negli anni ’90 hanno fatto grande la Serie A. Innanzitutto è presente: va allo stadio a vedere le partite della sua squadra e si fa fotografare con i tifosi, scende in campo se ce n’è bisogno. A Ferrara ha addirittura iniziato a presentarsi in conferenza stampa dopo le partite. Capisce l’italiano perfettamente e se ci si mette di impegno riesce anche a parlarlo decentemente. Soprattutto è capace di parlare di calcio, e lo fa spesso, nelle numerose interviste che concede alla stampa. Quando parla poi la voce è calda e lo sguardo è diretto proprio a chi sta guardando o facendo la domanda: Joe Tacopina è qui per te. In questa lunga chiacchierata con Telestense fatta sul prato del Paolo Mazza l’intervistatore si permette di prenderlo sotto braccio mentre gli fa le domande: siamo tornati all’era del giornalismo alla Galeazzi?

Poi ci sono i dettagli più subdoli, quelli che entrano nel nostro cervello senza che ce ne accorgiamo. Joe Tacopina, nonostante la passione per il body-building, mangia senza problemi, anzi, sembra un vero cultore del nostro cibo. A Bologna, per esempio, si faceva vedere in alcune delle osterie più amate dalla borghesia locale. Sul suo nuovo profilo Instagram, aperto per l’occasione da quando è diventato presidente della SPAL e in cui abbondano le foto scattate al ristorante, c’è addirittura un post dedicato ai passatelli in brodo: my favorite dish in Ferrara.

Joe Tacopina è uno di noi, insomma. O meglio: è uno che ci conosce talmente bene che da fuori può sembrarlo. Un paio d’anni fa, poco dopo aver cercato di replicare la sua magia a Catania (da cui però sarà costretto ad andarsene pochi mesi dopo per contrasti con i proprietari del club), è tornato sui suoi primi passi in Italia, a Roma per la precisione, quando, cinque anni dopo il fallimento della trattativa per conto di Soros, riuscì finalmente ad aprire le porte del nostro campionato al capitale americano. È un intervento in collegamento a una piccola trasmissione locale, Al Circo Massimo, ma prendetela come una lectio magistralis nel dare al pubblico esattamente ciò che vuole. Joe Tacopina è molto netto nel dire che non ha più alcun rapporto con Thomas Di Benedetto e James Pallotta, è dubbioso quando gli chiedono se abbiano fatto un buon lavoro, sorride sardonico quando si passa a parlare del tentativo dell’ex presidente della Roma di comunicare con i propri tifosi su Twitter, si sforza di parlare in italiano quando deve dire che il suo sangue è giallorosso. «A Roma c’è solo un modo per misurare quanto hai lavorato bene: vincere i trofei». È una frase che potreste sentire in un qualsiasi bar di Roma e invece la dice questo uomo enorme, con le mani grosse come vanghe, che teoricamente con l’ambiente romano non dovrebbe avere nulla a che fare.

Ma è davvero così? Perché non possiamo credere alla buona fede di Joe Tacopina? Alla passione con cui va sotto la curva, togliendosi la maglia e agitandola in aria? Il fatto è che, come dicevamo, Joe Tacopina vive almeno due vite pur essendo una sola persona. Lui dice che per farlo non dorme mai e che ci riesce proprio grazie a quel fuoco sacro che ci mostra dentro gli stadi italiani: «Quando sono in Italia passo le mie giornate lavorando in ufficio per il club e la sera (quando è giorno negli Stati Uniti) lavorando per i miei clienti. Quando sono a New York faccio lo stesso. I ritmi sono infernali e a volte mi chiedo io stesso come faccio a gestire le due cose dedicando tutto me stesso. Ma la risposta è sempre una: passione».

Anche negli Stati Uniti Tacopina è sempre stato molto attento a curare la sua immagine, dire le cose giuste, mettersi in bella vista come una persona che non ha segreti per nessuno. In uno dei primi profili lunghi che lo hanno riguardato, comparso su GQ il 12 marzo del 2007 (poche settimane prima, quindi, che naufragasse la sua trattativa per portare Soros a Roma) viene presentato al mondo così: “Stasera Joe Tacopina - o come la truccatrice per la TV lo chiama: ‘Joe-che-peccato-che-sia-sposato-Tacopina’ - vaga per le spiagge di Aruba con indosso la sua maglia da calcio italiana preferita, il suo orologio Panerai da 6500 dollari (brand ufficiale della marina italiana) e i sandali di cuoio che ha comprato a Milano”. Il pezzo si chiama 1-800-Save-My-Ass e ricostruisce la sua storia dalle origini.

La crescita a Brooklyn nella casa dei genitori, i loro sacrifici per farlo studiare nei migliori college (in un’altra intervista, sempre a GQ, Tacopina dice che la madre gli «ha cucito la maggior parte dei miei vestiti quando ero bambino, in parte perché non potevamo permetterci di comprarli»), infine la scalata della piramide sociale dello spietato mondo giudiziario. I primi piccoli casi a difesa di alcuni poliziotti («Joe conosce i poliziotti, ama i poliziotti, ma non ha paura di rompergli le palle se è necessario»), poi la svolta grazie alla madre, che riesce a ritagliargli un piccolo ruolo nell’enorme processo al mafioso italo-americano John Gotti, che per Tacopina rappresenta quello che gli sceneggiatori chiamerebbero ghost. Nel profilo che gli ha dedicato GQ, la madre sembra quasi imbarazzata ad aver innescato la carriera del figlio in questo modo; il padre, il cui alimentari ha avuto problemi con la criminalità organizzata, “distoglie lo sguardo quando sussurra la parola mafia”. Successivamente Tacopina dirà che i mafiosi sono l’unico limite che si pone nell’escludere a priori un cliente, che odia i Soprano e la rappresentazione macchiettistica che danno della comunità italo-americana, forse anche perché inevitabilmente in parte ci si rivede. “Il suo ufficio”, si legge sempre nel profilo di GQ “è decorato da chincaglierie di Giulio Cesare, alcune delle quali vengono messe in bella mostra quando è impegnato in un processo. «Giulio Cesare è stato il più grande stratega di tutti i tempi», dice Joe”. Vi viene in mente una cosa più Soprano di questa? D’altra parte anche lo stesso John Gotti viene “omaggiato” dai Soprano con il leggendario personaggio di Johnny Sack.

Joe Tacopina, però, sembra tenerci sinceramente alle sue radici italiane, che d’altra parte negli Stati Uniti significano ancora stile, famiglia e passione. Ha raccontato di farsi mandare l’acqua in bottiglia direttamente dall’Italia («ne hai bisogno per fare il vero espresso»), di indossare mutande Dolce e Gabbana con l’elastico tricolore, di aver rimorchiato sua moglie con una lettera scritta in italiano. Tutto emana la luce di una persona appassionata ma fedele, che per amore potrebbe scendere con te a lottare nel fango. Da questo punto di vista è impossibile tracciare un confine con il Tacopina avvocato, quello secondo cui «i clienti che rappresento spesso vengono da me quando sono sotto assedio, e siccome prendo sul personale tutte le ingiustizie che sono state fatte loro, combatto per loro con tutto quello che ho». Tacopina, come nella migliore tradizione americana, non è però un idealista, anzi, in diversi pezzi compare direttamente la sua parcella oraria (750 dollari l’ora, al tempo), e lui non si nasconde, come sempre racconta tutta la sua storia, o almeno quella che noi pensiamo che sia. In un pezzo del New York Post chiamato eloquentemente “L’avvocato del diavolo” dice che il prerequisito più importante per lui è che un cliente sia credibile. «Devo credergli fin dentro la mia anima. Perché io lavoro bene solo se ho la passione, devi tenerci davvero. Se ho rappresentato persone che credo siano colpevoli? Assolutamente sì. Ma anche le persone che hanno fatto degli errori nella loro vita hanno diritto a una difesa».

L’onestà sfacciata di fronte alla sua ambigua lista di clienti - che include poliziotti coinvolti in caso di stupro, attori dei Soprano accusati di omicidio di poliziotti, e adesso anche ex presidenti degli Stati Uniti che tentano di far passare sotto silenzio relazioni extra-coniugali - si reggeva fino ad oggi sulla scia di successo che Tacopina si porta dietro. L’incredibile lista di premi e aforismi su di lui riportati sul sito del suo studio legale lo rendono la cosa più vicina al Cristiano Ronaldo degli avvocati, nel campionato delle toghe che tutti in Italia sotto sotto sperano di vedere quest’estate. Tacopina è stato nominato l’anno scorso tra i 35 migliori avvocati degli Stati Uniti da The Hollywood Reporter, nel 2018 da Billboard tra le persone più influenti nel mondo dell’hip hop (principalmente per la difesa del rapper statunitense Meek Mill). Come ha detto il conduttore radiofonico statunitense Don Imus: «Quando assumi Joe Tacopina è finita».

Oggi, però, l’enorme statua di carne, muscoli e ossa dedicata al successo che Tacopina ha eretto sulla sua persona inizia a mostrare le prime crepe. Al suo interno, adesso, si possono vedere più distintamente le due vite che contiene, che iniziano ad essere sinonimo di doppiezza più che di coerenza. Poche settimane fa su TikTok è apparso un video, poi diventato virale, in cui si mostrano letteralmente due facce. In alto quella del Joe Tacopina avvocato di Donald Trump, che in televisione difende il suo assistito nel caso che lo vede accusato di un presunto pagamento illecito all’ex pornoattrice Stormy Daniels durante la campagna elettorale del 2016 per comprare il suo silenzio su un rapporto extra-coniugale avuto anni prima. In basso quella del Joe Tacopina commentatore televisivo di cinque anni prima, che attacca Donald Trump e secondo cui le accuse sollevate nei suoi confronti farebbero insospettire «qualsiasi pubblico ministero». L’immagine che Joe Tacopina aveva dipinto fino ad adesso era quindi per l’appunto questo: solo un’immagine appiccicata sopra la vetrina del suo studio legale?

La risposta, ancora una volta, si deciderà sul campo. Oggi la SPAL è ultima in Serie B a pari merito col Brescia e vede pericolosamente la Serie C, e contemporaneamente il gran giurì del tribunale di Manhattan, a New York, ha votato per incriminare Donald Trump, trasformandolo nel primo primo ex presidente statunitense della storia a essere sottoposto a un processo penale. Potrebbe finire in qualsiasi modo, ma forse Tacopina in vita sua non ha mai affrontato una fase difficile come questa. Come ha detto una volta Meek Mill: «Joe Tacopina mi ha insegnato che a volte devi andare in guerra».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura