Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Quando si spegne la fiamma, intervista a Jeremy Menez
22 ott 2025
Abbiamo parlato con uno dei grandi incompiuti del calcio.
(articolo)
6 min
(copertina)
IMAGO / Insidefoto
(copertina) IMAGO / Insidefoto
Dark mode
(ON)

La mia intervista con Jeremy Menez è cominciata con una discussione su quando avesse effettivamente smesso di giocare a calcio. Io gli avevo chiesto come fosse andato quest’anno senza calcio, riferendomi all’annuncio pubblico del suo addio, e lui mi ha corretto dicendomi che erano quasi due, riferendosi alla sua ultima partita giocata. Mi sembrava uno spunto interessante per quello di cui volevo parlare, e cioè quanto fosse difficile per un calciatore passare a una vita in cui non si fa più il calciatore, ma la verità era che Menez - come tutti gli atleti di primo livello - ha un rapporto speciale con la memoria degli eventi della propria carriera e stava semplicemente ricordando l’ultima volta che era stato davvero considerato un calciatore professionista: Catanzaro-Bari 2-0 del 27 febbraio del 2024. La premura di Menez - che parla con quel romano che hanno solo i francesi e che è più romano di quello che parlano i romani - era solo quella di riportare correttamente le informazioni.

Il motivo per cui facciamo interviste come questa è che il calciatore non è un mestiere come un altro, e noi che invece facciamo vite come altre ne vogliamo sapere di più. Jeremy Menez, l’ho scoperto in questa intervista, è però proprio il tipo di persona che ti fa sentire che il calcio è un mestiere come un altro. Oggi Menez fa delle apparizioni su DAZN e si fa intervistare in eventi mondani come l’assemblea generale della EFC da ambasciatore del PSG, e non sembra avere particolari rimorsi. Tutto sommato va bene così.

Com’è andato questo anno e mezzo di vita senza calcio?
Ti direi bene. Cioè all'inizio non sapevo che fare, poi piano piano sono entrato… o meglio: sono rientrato nel PSG. E insieme a questo, lavoro in TV con DAZN. Sono abbastanza contento e soprattutto sono felice di aver trovato qualcosa, perché non è mai facile smettere e non fare niente dopo. Per fortuna ho trovato qualcosa da fare, mi piace e quindi sono contento.

Come è stato il passaggio dalla vita da calciatore alla vita che fai adesso?
Per me è stato abbastanza facile. Io sono un tipo riservato, non ho bisogno di chissà che per essere felice. La mia vita semplice mi basta, è stato veramente facile. Sono io che ho deciso di smettere di giocare, l’ho voluto io, non ho avuto problemi da questo punto di vista.

Come hai deciso di smettere? Hai sentito qualcosa che si è rotto?
Sì, non avevo più la fiamma, la voglia di prima. Poi anche gli infortuni mi hanno un po’ tagliato le gambe, diciamo. Quando ho smesso è perché volevo davvero smettere.

Quindi è stata una cosa più psicologica che fisica?
In realtà le due cose vanno insieme, perché comunque gli infortuni non ti aiutano psicologicamente. E poi, piano piano, con l'età, diventa tutto più pesante. Diciamo che la mancanza di voglia più gli infortuni hanno fatto sì che non volessi più giocare come prima.

Se io penso alla tua carriera da calciatore la prima cosa che mi viene in mente è quel gol con l'Udinese. Istintivamente mi ricordavo fosse il tuo gol d'esordio con la maglia Roma, invece era la tua ultima stagione in giallorosso. Ti ricordi quel momento della tua esperienza in Italia?
Me lo ricordo bene perché c’era Mehdi Benatia all’Udinese, che è mio amico. Prendo la palla di petto e c'è Checco vicino a me [Francesco Totti, nda], vado avanti e non guardo nessuno. È stato bellino, dai.

A Roma si ricorda ancora di più la stagione prima perché è quella in cui la Roma perde lo scudetto nelle ultime giornate. Tu eri in campo in quella famosa Roma - Sampdoria, e ci sei rimasto per 90 minuti. Cosa cosa ti ricordi invece di quella partita?
È stata bella e brutta contemporaneamente. Bella perché comunque abbiamo fatto una stagione della Madonna. Siamo arrivati a quella partita che mancavano tre, quattro giornate, e l’ambiente era troppo bello. A Roma, quando ti avvicini al primo posto e poi rischi di vincere qualcosa, la città diventa una cosa fantastica. È stato bello tutta la settimana, poi è diventato tutto il contrario dopo la partita. Avevamo la partita in mano, vincevamo per 1 a 0, e poi perdiamo per 2 a 1. Il calcio a volte è così: cerchi di trovare spiegazioni, ma devi semplicemente accettarlo. Mi ricordo che negli spogliatoi, tra primo e secondo tempo, un paio di giocatori della Roma si sono messi a litigare. Anche Ranieri si è incazzato con la squadra ma evidentemente non è servito.

Secondo te è vero, come si dice, che a Roma è più difficile vincere che altrove?
Io credo di sì. Con tutto il rispetto che ho per la Roma, diciamo che come storia è un pochettino sotto al Milan o alla Juventus. Però è sempre una grande squadra, e in più giochi nella capitale, con la visceralità del sud. È un’atmosfera che è difficile da spiegare: a Roma ci sono 50 giornali che parlano della Roma, le radio, eccetera. C’è un’atmosfera diversa, più complicata.

Tu sentivi la pressione dentro la città?
Certo, che la sentivo. A Roma tutto il giorno, tutti i giorni, senti parlare della Roma.

Poi tu dopo la Roma vai al PSG all'inizio del progetto del Qatar, nel 2011, con l'arrivo anche di Carlo Ancelotti, poco dopo. Parliamo ovviamente di uno dei più grandi allenatori di sempre su cui ognuno ha la sua opinione, perché il suo talento è un po’ magico e nessuno riesce a spiegarselo fino in fondo. Secondo te, che ci hai lavorato insieme per un po’ di tempo, qual è il suo segreto?
Il segreto… il segreto ce l'ha lui [ride]. Ancelotti è una persona come noi ma contemporaneamente riesce a farsi rispettare. Lui ha un grande lato umano però quando si incazza si incazza davvero. Io non ci ho mai litigato, ma quando deve dirti qualcosa lo fa: è sempre molto chiaro quando c'è da ridere e quando invece si incazza e deve dirti qualcosa. Riesce a darti una fiducia incredibile in campo e per questo non lo vuoi tradire. Ti fa sentire che con lui è tutto semplice, tutto fluido. È bellissimo lavorare con lui.

Tu fai parte della cosiddetta classe dell'87 francese: Nasri, Ben Arfa… Tutti giocatori da cui ci si aspettava moltissimo e che poi hanno avuto carriere non all'altezza delle aspettative (anche perché quelle aspettative erano incredibilmente alte). Tu senti ancora quei giocatori, ci parli ancora con loro?
Sì certo, con Samir Nasri ci parlo quasi ogni giorno, giochiamo a padel, siamo quasi tutti i giorni insieme. Con Benzema su Instagram ci mandiamo qualche messaggio. Con Ben Arfa invece un pochino meno però sta a Parigi.

Parlate anche delle vostre carriere?
No, sinceramente non parliamo di calcio o di noi.

Pensi che nella tua carriera ci sia stata una sliding door, un momento di svolta, per cui le cose potevano andare in un modo e invece sono andate in un altro?
Io so - e me l'hanno anche detto anche - che potevo fare meglio. Io però sono comunque fiero di quello che ho fatto.

E qual è secondo te questo momento?
Secondo me gli infortuni mi hanno fermato un pochettino e, ti dico la verità, dopo il Milan - dove mi ero fatto l'ernia e sono rimasto quasi 10-11 mesi senza allenarmi, perché non potevo neanche camminare - ho perso un po’ la voglia di lavorare. E a questo si sono aggiunti anche dei problemi nella vita privata. Direi dal Milan in poi, quindi. L'ultimo anno di prestito al Bordeaux già cominciavo a sentirmi fuori dal calcio. Ed ero giovane ancora, no?

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura