Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Emanuele Atturo
Stupendo, inflessibile Jannik Sinner
26 gen 2024
26 gen 2024
In semifinale agli Australian Open ha dominato Novak Djokovic.
(di)
Emanuele Atturo
(foto)
Dark mode
(ON)

Sono trascorsi 55 minuti tra il primo e il secondo matchpoint a favore di Jannik Sinner.

Tra l’uno e l’altro il dubbio è proliferato come erba cattiva; l’incertezza, la paura, il pensiero irrazionale secondo cui Novak Djokovic, anche in una delle sue versione più ridotte ed esauste, ce l’avrebbe potuta fare, una volta ancora.

Un pensiero, appunto, irrazionale, perché non c’era nessuna traccia, nel mondo che possiamo vedere con gli occhi e toccare con mano, per cui Jannik Sinner avrebbe potuto perdere la partita. Questo però è il dono dello stregone nero Novak Djokovic: far germogliare il dubbio, nel cuore altrui, che il tennis possa spingersi oltre tutto ciò che è visibile; il tennis, allora, non come un universo di dritti e rovesci, ma come uno di rabbia, paura, conflitto e intricati labirinti mentali e psicanalitici. Un mondo sommerso - un "sunken place" - in cui gli avversari finiscono confusi e disorientati.

Lo abbiamo visto troppe volte rianimare partite morte attraverso la sua magia nera. E così, quando gli abbiamo visto annullare quel match point, è andato in onda, nella nostra testa, il film tragico del resto della partita. Djokovic che inizia a colpire in modo esatto, a vincere i punti necessari, ad annullare palle break, a gridare al cielo di Melbourne.

Sono cominciate a venirci in mente le sue statistiche assurde. Dentro la custodia grande della matrioska i numeri più grandi - i 24 Slam, le settimane al numero uno - e poi in quella più piccola i numeri più inquietanti: i 10 Australian Open vinti, le appena otto sconfitte a Melbourne in quasi venti tornei disputati. Le 8 partite rimontate da due set a zero sotto negli Slam. Il semplicissimo fatto che in Australia non perdeva da 2195 giorni, da quando cioè Hyeon Chung lo sconfisse al quarto turno in uno degli upset più surreali che possiamo ricordare. Era il 2018. Jannik Sinner era minorenne ed era numero 551 del mondo. Questo record è comparso in sovraimpressione, terrificante, durante il tiebreak del terzo set.

I tennisti pensano a questi numeri, o almeno ce li hanno presenti in un angolo della loro mente, mentre sono in campo? Di sicuro sono numeri che davano le proporzioni di un’impresa ai limiti dell’impossibile.

È questo un altro grande potere di Novak Djokovic: farti credere che è invincibile - perché è forse il tennista che più di tutti è riuscito a sfiorare quel concetto di invincibilità che non dovrebbe appartenere allo sport. Bisogna battere lui, ma anche il suo fantasma, la sua presenza auratica.

Quel tiebreak aveva i contorni di un piccolo dramma. Sinner è andato sotto 4-2, ma poi ha giocato un paio di punti poderosi, accompagni dai pugni alzati di Darren Cahill, che pareva chiamare la carica. Si è spinto 5-4, pareva in trance, uno di quei momenti in cui il tennis di Jannik Sinner invade il campo come una mareggiata. Un replay lo congela nel momento in cui tira il dritto del 5-4 dal centro del campo, e pare volare: ogni dettaglio micro-anatomico flesso verso la massima potenza.

Su quel primo matchpoint aveva risposto così bene, quando abbiamo visto Djokovic in recupero col rovescio ci sembrava fatta. Aspettavamo una palla morbida da attaccare, non è arrivata. È arrivato invece un colpo profondo, Sinner che colpisce andando all’indietro, ricacciato via. Djokovic riesce in quello in cui lui non era riuscito: sfruttare il set point sul servizio altrui. Era tornato alla sedia col pugno alzato, pronto alla vendetta. Sinner lo ha battuto in due degli ultimi tre incontri ma il tennis tre su cinque è un altro sport; nessuno meglio di Djokovic sa gestire le lunghe distanze, il punteggio che si dilata, una brillantezza che può andare e venire, trovando sempre la rotta. Ha giocato dieci semifinali agli Australian Open, ne ha vinte dieci. Due volte è stato costretto al quinto set, e due volte ha vinto. Gli Slam si vincono rendendo innocue le proprie flessioni, togliendo importanza alle difficoltà.

All’inizio del quarto set eravamo pieni di timore. Sentivamo nelle ossa quel match point mancato. Immaginavamo Djokovic, come un supercomputer intento a setacciare l’improbabilità con cui avrebbe vinto quella partita. Ciò che è improbabile non è impossibile.

Sinner ha preso palline e racchetta tra le mani e ha iniziato a saltellare, a provare il movimento del servizio, l’aria rilassata dei grandi campioni prima di andare in scena. Djokovic nel frattempo era in bagno, in una di quelle pause mistiche che si prende tra un set e l’altro, dove lo immaginiamo come Dale Cooper alla resa dei conti col proprio doppelganger. Prima della partita, mentre vedevamo Djokovic sul tapis-roulant, Sinner aveva improvvisato un calcio-tennis con Simone Vagnozzi. Sorridente, in una bolla di serenità irreale. Che tipo di magia è riuscita a Darren Cahill sula sua mente?

E allora ci siamo tranquillizzati.

Sinner ha ripreso più forte, più convinto. Per lui non esiste più un luogo sommerso di paura e trappole mentali, ma solo tutto il tennis tangibile nella sua oggettività. Sapeva di essere il miglior giocatore in campo. Non c’era stato un aspetto in cui non era superiore a Djokovic: non gli aveva concesso una palla break, non soffriva la sua profondità, i suoi cambi di ritmo. Non c’era modo di spezzare il suo flow.

Djokovic era stato insolitamente falloso. Nel primo set aveva servito poco più del 40% di prime; tra il primo e il secondo set ha accumulato 29 errori non forzati. Non era mai riuscito a entrare davvero in ritmo. Sono tanti i dettagli che hanno fatto la differenza. I top spin profondi al centro difficili da gestire per Djokovic, i cambi di ritmo sulla diagonale di dritto. E poi i colpi di inizio scambio: la risposta, ormai un punto di forza consolidato; la prima palla, capace di dargli punti diretti nei momenti più delicati; e soprattutto la seconda palla, sempre sostanziosa, spesso al corpo. Forse il singolo colpo più migliorato negli ultimi mesi. Sinner non è riuscito ad alzare sensibilmente le percentuali di prime in campo, restando su un misero 58%, eppure è riuscito comunque a rimanere inattaccabile al servizio. Ha vinto il 63% di punti con la seconda: contro Djokovic è un numero senza senso.

Di fronte a una superiorità tanto oggettiva, che senso aveva tremare?

Sinner ha tre palle break già nel primo turno di servizio del serbo, ma è nel secondo turno che sfrutta la sua occasione, procurandosela in un game che pareva chiuso, rimontando dal 40-0. In quel gioco c’è il trompe l’oeil della partita. Il recupero in avanti, svelto con le gambe, morbidissimo col braccio (40-15); la risposta di rovescio profonda (40-30); l’errore non forzato di dritto di Djokovic (40-40); il doppio fallo stanco (vantaggio Sinner); uno scambio duro, profondo e potente, che gli consegna il game.

Nole sembra infastidito dal gioco di luci e ombre del campo, strabuzza gli occhi, si lamenta verso il suo angolo, ma dopo il break prova a estrarre un altro numero del suo repertorio, uno dei più disperati: il game furioso giocato a tutto braccio. Un estremo tentativo di rianimare una partita ormai finita. Sinner non si piega nemmeno in quel caso. Da ricordare la seconda esterna sul 30-30.

Nel game successivo Sinner riprende a comandare, scacciando qualche lieve traccia di stanchezza, di braccino. Dopo aver subito un altro vincente, Djokovic lo applaude, ormai arreso, senza nemmeno la rabbia che di solito gli permette di tenere aperti i conflitti.

Questa partita ci ha offerto un messaggio chiaro: i risultati di fine 2023 non erano uno stato di grazia ma l’eccezionalità permanente di Jannik Sinner. Un anno fa veniva eliminato da Stefanos Tsitsipas agli ottavi di finale del torneo: era sotto 5-1 nei confronti col greco, non aveva mai battuto Medvedev, né Djokovic, né Rune. La storia è cambiata: negli ultimi dodici incontri contro top-10 ha vinto dieci volte. Il salto fatto dagli US Open in avanti è quantico, ma mancava ancora un pezzo, un ultimo dubbio da fugare, quello del rendimento negli Slam contro questi avversari. Vale la pena ricordare che fino agli US Open - cioè l’ultimo Slam giocato - Sinner sembrava ancora distante dall’élite tennistica. Era lì, a ridosso, ma sembrava mancargli un qualcosa di decisivo - che tanti grandi giocatori non sono mai riusciti ad avere. La capacità di battere i migliori in assoluto sui palcoscenici più importanti.

Non ci poteva essere modo più roboante di fugare quest’ultimo dubbio.

Ai microfoni Djokovic ha dato conto di tutti i miglioramenti del suo avversario, con l’onestà che lo contraddistingue: «Il suo servizio è migliorato tanto. Colpisce gli angoli molto bene, e ha anche aumentato la velocità. Serve più forte e più preciso. Si muove meglio ed è più forte mentalmente. È sempre stato calmo e comporto in campo, ma faticava a vincere le grandi partite, i grandi momenti. Ora sembra aver aggiustato tutto». Sinner ha detto di aver lavorato molto sulla parte atletica, durante la off-season, e oggi abbiamo ammirato la sua migliore versione fisica di sempre.

La dimensione atletica rappresentava un peso per Sinner: il corpo fragile, le gambe sottili che parevano sostenerlo a fatica (uno dei primi ricordi di Piatti quando lo vede per la prima volta). Oggi è uno dei tennisti che si muove meglio. È stato più veloce, più elastico, più reattivo di Novak Djokovic. Più pronto nei recuperi in avanti, sorprendente in quelli laterali, specie dal lato del dritto. Ormai è una specie di glitch: Sinner che si sposta sul lato destro in allungo, e in estensione, anche con i piedi fuori posto, sfrutta la diagonale di dritto in tutta la sua potenza - un colpo che lo accomuna ad Alcaraz. In questo modo ha ottenuto la prima palla break del match. Ma anche aggraziato nelle corse all’indietro, alla ricerca dello smash, pronto ad abbassarsi come uno sciatore per domare le velenose risposte di Nole sui suoi piedi.

È stata tanto la vittoria di Sinner, quanto la sconfitta di Djokovic. È stata la forza inflessibile di Sinner nel quarto set, ma anche l’incapacità di Djokovic di aumentare i volumi del suo gioco al livello dell’avversario. Non era mai sembrato così impotente, mai - almeno negli ultimi anni - una sua sconfitta in uno Slam aveva assunto queste proporzioni. In finale a Wimbledon, contro Alcaraz, era stata una sconfitta simbolica, ma in fondo passata per alcuni piccolissimi dettagli. Questo è stato uno schianto: è stato dominato da un avversario di 14 anni più giovane: più fresco, più forte, più determinato. Non ha mai avuto una palla break, e non ha quindi mai contestato il controllo del match di Sinner. Non gli era semplicemente mai successo, di perdere una partita Slam senza avere palle break.

Non si vuole togliere nulla al tennis stratosferico ormai padroneggiato da Sinner, ma Djokovic non era mai parso così fuori fuoco in una partita tanto importante. Si è definito “scioccato”: «Mi ha completamente sovrastato. Sono scioccato dal mio livello, in modo negativo». Pochi giorni fa aveva dichiarato di non potersi ritirare mentre è ancora al vertice del suo sport, come dargli torto. Sarebbe frettoloso parlare della sua fine, ora: è integro e sarebbe ingiusto dare un significato troppo vasto a una sconfitta. Dopo aver parlato di detronizzazione, in seguito alla sconfitta di Wimbledon con Alcaraz, Djokovic ha ripreso una marcia trionfale arrivata fino a oggi. Eppure questa sconfitta è un segnale allarmante, anche perché arrivata al termine di un torneo in cui ha sofferto quasi ogni avversario, a cominciare dal croato Prizmic, che lo aveva costretto al primo turno più lungo della sua carriera. Non era mai sembrato così in affanno nel ritmo da fondo, negli spostamenti; solo il servizio, in certi frangenti, è sembrato tenerlo in linea di galleggiamento.

Dopo la partita Sinner ha sfoggiato un sorriso nuovo, consapevole di aver fatto un altro passo importante nella propria crescita. È difficile capire quale avversario sarebbe meglio per lui: il già campione slam Daniil Medvedev, o il rinato Alexander Zverev, forse il miglior giocatore del torneo insieme a lui - e con cui è sotto 4-1 negli scontri diretti. Sinner potrebbe soffrire la pressione mentale della prima finale Slam: di solito è una tassa da pagare per i giovani, ma potrebbe dimostrarsi diverso dagli altri. Non sarebbe certo la prima volta.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura