Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Dario Saltari
Jack Grealish ha chiuso l'era d'oro del Real Madrid
18 mag 2023
18 mag 2023
Una prestazione dominante e crudele.
(di)
Dario Saltari
(foto)
IMAGO / Shutterstock
(foto) IMAGO / Shutterstock
Dark mode
(ON)

C’è una perfezione circolare nell’ultimo anno di Jack Grealish che fa venire il sudore freddo a pensare sia accaduta nella realtà e non in un'opera di finzione. Un film sulle origini di un supereroe come Batman Begins, per esempio. Il piccolo Bruce Wayne che vede i propri genitori uccisi da un rapinatore. Che poi cresce con la sete di vendetta, che se ne vergogna, che, in cerca di una redenzione, inizia a vagare per il mondo senza una meta precisa. Alla fine incontra una figura misteriosa, il capo della Setta delle Ombre, che lo prende sotto la sua ala e lo addestra a ciò che diventerà in seguito, un giustiziere mascherato. Bruce Wayne che chiude questo percorso incontrando la sua paura più grande, i pipistrelli. In questo tipo di film di solito c’è sempre una scena che si ripete quasi identica, che serve a riportare il protagonista alle origini delle sue paure, a fargli pensare che tutto il suo percorso sia stato inutile. Nella saga di Batman di Cristhopher Nolan questa scena si presenta nel terzo film, quando Bane gli spezza la schiena e lo porta in una prigione circolare scavata nella terra. Una prigione che a tutti gli effetti è identica al pozzo in cui Bruce Wayne cadde da bambino, e dove fece il suo incontro con i pipistrelli la prima volta.

___STEADY_PAYWALL___

Per Jack Grealish ieri questa scena è arrivata al 13esimo del primo tempo, quando per la prima volta ha ricevuto in area e ha iniziato ad avanzare verso la porta in diagonale accarezzando il pallone sotto il mento con la punta del piede, come un macellaio che sfiletta un pezzo di carne con il suo coltello. È quel momento in cui non sappiamo se cercherà di andare sul fondo lungo linea allungandosi la palla con l’interno, o se invece si fermerà bruscamente per rientrare verso il centro con l’esterno. Davanti a lui c’è Carvajal piegato sulle gambe, pronto a scattare in profondità. Dentro l’area Gundogan, che cerca la sovrapposizione interna, Haaland e Bernardo Silva.

Quasi esattamente un anno fa, al Bernabeu, Jack Grealish si ritrova nella stessa identica situazione. Le uniche differenze, oltre allo stadio, sono il minuto di gioco (l’86esimo in questo caso), il risultato (0-1 per il City, ieri il risultato era ancora fermo sullo 0-0) e il fatto che in mezzo all’area al posto di Haaland ci fosse Foden. Un anno fa Grealish si sposta il pallone davanti a sé con l’interno poi, senza soluzione di continuità, incrocia il tiro con il sinistro - un tiro talmente perfetto che finirebbe all’angolino basso alla sinistra di Courtois in tutti gli universi immaginabili tranne il nostro, in cui il portiere belga si allunga in spaccata e con una parte indecifrabile del piede, forse i tacchetti, allunga il pallone sul fondo. Meno di tre minuti dopo Rodrygo pareggerà il punteggio innescando l’impensabile, assurda Champions League vinta dal Real Madrid.

È bello pensare che, come in un film, ieri Grealish al 13esimo abbia avuto un flash di questo momento. Quello che sappiamo è che messo di nuovo nella stessa identica situazione ha fatto una scelta diversa. Ha fintato di andare sul fondo, spostando tutto il corpo sulla sua sinistra per aprirsi la luce per il cross, e poi con il destro ha cercato in mezzo all’area piccola Erling Haaland. Un suggerimento morbido come una nuvola solitaria posata su una collina, che ha lasciato ad Alaba solo la possibilità di pregare che alle sue spalle non ci fosse l’attaccante alla ricerca del suo 53esimo gol stagionale. Un cross talmente perfetto che finirebbe con un gol dell’attaccante più spietato del mondo in tutti gli universi immaginabili tranne il nostro, in cui Courtois riesce a fermare il pallone indirizzato verso la porta da Haaland con una parte del corpo indecifrabile, forse l’anca, prima che Alaba spazzi l’area.

Questo era ancora il momento in cui pensavamo che il Real Madrid stesse per compiere la sua magia. Che Courtois potesse salvare tutte le occasioni da 0.99 xG avute dal City da lì fino alla fine dalla partita, prima che Benzema di scorpione al 95esimo con l’unico tiro della squadra di Ancelotti portasse in finale la “Casa Blanca”. E per un po’ l’abbiamo creduto davvero perché le cose hanno continuato a riflettersi a distanza di un anno ancora per qualche minuto. Un anno fa, poco prima dell’incredibile occasione avuta da Grealish per chiudere definitivamente la partita, l’ala inglese ne ebbe un’altra forse ancora più clamorosa. Lanciato in area da Zinchenko superò Courtois sull’esterno e poi, con la porta spalancata, si vide respingere il pallone sulla linea da Mendy. Ieri, dopo questo primo miracolo, il portiere belga ne ha fatto ancora più incredibile, ancora su Haaland, che di testa aveva angolato il pallone un po’ di più solo per trovare di nuovo lo schiaffo dell’avversario a deviarlo sul fondo.

Poi, però, come sappiamo le cose sono andate diversamente, molto diversamente, e credo sia significativo che lo abbiano fatto proprio nella partita migliore di Jack Grealish da quando è al Manchester City. O meglio, quella in cui ci si è definitivamente resi conto del suo valore e della sua utilità per una squadra di questo livello. Ovviamente in una prestazione dominante come quella della squadra di Guardiola ieri si potrebbero prendere anche altri giocatori a esempio. La freddezza sotto porta di Bernardo Silva, l’intelligenza di De Bruyne, la sensibilità al tocco di Gundogan, la versatilità tattica di Stones. Ma nessuno di questi giocatori restituisce il senso di impotenza che provano gli avversari di fronte a questo Manchester City, che ti toglie il sangue piano piano senza che tu nemmeno te ne accorga. Come, nelle leggende latinoamericane, si dice faccia il chupacabra. Come in campo fa invece Jack Grealish, che mentre tu aspetti che faccia la prossima mossa lui ti ha già aggirato, fregandoti un paio di metri con il primo passo.

Anche qui si potrebbe parlare di campo. Raccontare le azioni in cui il suo talento ha brillato di più, come la palla da biliardo che serve per la sovrapposizione interna di Gundogan nell’azione che porta al 2-0 di Bernardo Silva. Oppure la pausa data al 59esimo nonostante avesse la possibilità di lanciare in profondità per la corsa di Haaland, gesto dopo il quale - secondo quanto riportato da The Athletic - Guardiola ha iniziato a lanciargli baci dalla panchina. Si potrebbero raccontare queste azioni, prenderle a simbolo di questa sua nuova capacità di regolare il calore degli attacchi del City, che oggi quando attacca si appoggia a sinistra come un perno proprio su Jack Grealish. Oppure, ancora, citare le statistiche che raccontano la sua grande prestazione, come quelle che lo vedono come il miglior giocatore della partita per duelli vinti (11), dribbling riusciti (5), occasioni create (3) e falli subiti (5).

Ma c’è un piano che va oltre il campo che secondo me quest’anno racconta meglio il livello raggiunto da Jack Grealish, che è la violenza gratuita che ispira negli avversari. Non è certo qualcosa di nuovo e anche in questo caso ci sono delle specularità rispetto all’anno scorso. Forse ricorderete i quarti di finale di Champions League dell’anno scorso, in particolare il delirio del ritorno al Wanda Metropolitano, alla fine del quale Savic, con lo sguardo da pazzo, lo prende per i capelli “come Giuditta con la testa di Oloferne durante la sua decapitazione”. I capelli di Grealish simbolo di un giocatore solo forma e nessuna sostanza (cosa che veniva rimproverata anche al suo archetipo ideale, David Beckham), a sua volta simbolo di una squadra che non poteva fare a meno di sciogliersi nel momento del dunque. Credo non sia un caso, in questo senso, che la violenza nei confronti di Jack Grealish l’anno scorso scoppiasse a gioco fermo, cioè durante una rissa, o a palla lontana. Come se i giocatori di Simeone durante la partita non si sentissero davvero minacciati e volessero inconsciamente ricordare che solo il campo conta, che tutto il resto è fumo negli occhi.

Ieri invece la violenza nei confronti di Grealish è tornata dentro al tessuto della partita, come reazione alle cose che Grealish faceva in campo. C’è stato un momento alla fine del primo tempo, che penso abbia spostato definitivamente l’asse mentale della partita dalla parte del City e abbia chiuso la contesa, nonostante il risultato sul 2-0, contro il Real Madrid, non sembrava ancora del tutto al sicuro.

Mancano pochi secondi al 45esimo ma la squadra di Guardiola è ancora lì, alta sul campo, a voler strappare il pallone dai piedi dei giocatori del Real Madrid, che provano a gestirlo in difesa con la solita abilità tecnica. La squadra di Ancelotti prova una rotazione per aggirare la pressione avversaria, fa scalare Modric in basso a sinistra, mentre Camavinga sale al suo posto al centro del campo. Il centrocampista francese però è in confusione, impiega un tocco di troppo e si fa intercettare il passaggio all’indietro da Haaland. Il City ci mette uno stop di punta di Rodri a tornare in area, a servire in area Kevin De Bruyne. Il trequartista belga potrebbe anche tirare, ma vede sul lato debole Jack Grealish reclamare palla e lo serve con un piccolo lob. È una palla semplice per uno con il suo primo controllo, eppure gli sfugge da sotto la punta e sembra rotolare sconsolata sul fondo. A quel punto i polpacci di Grealish guizzano sotto i calzettoni abbassati e gli danno la spinta per arrivare sulla palla di nuovo prima che superi la linea di fondo. I giocatori del Real Madrid protestano con l’arbitro, ma la palla è dentro. Grealish, scampato il pericolo, potrebbe subito riciclare la palla indietro, e invece si gira e punta di nuovo l’area. Si ferma, apre il corpo ad invitare l’avversario a intervenire, a fargli credere che quella palla sia alla sua portata. L’avversario in questione è Eder Militao che non ci casca, aspetta, e, quando Graelish invece di puntarlo torna effettivamente indietro, lo carica con le braccia e lo butta giù con una gomitata. L’Etihad esulta come se il City avesse appena segnato un gol. Come un’arena spagnola quando il torero fa sfilare il toro sotto il drappo rosso. Tutti hanno capito che il Real Madrid non ha speranze.

La squadra di Ancelotti è tornata negli spogliatoi così, con la sensazione di non poter nemmeno contendere la palla agli avversari, di arrivare sempre con un momento di ritardo. E una volta interiorizzata la sua impotenza è passata alla spiaggia successiva, l’ultima: la violenza. Nel secondo tempo Grealish ha subito quattro dei cinque falli subiti in tutta la partita, e sono solo una parte dei colpi proibiti che i giocatori di Ancelotti gli hanno riservato. Il giocatore che forse ha fatto più impazzire è stato Carvajal, lo stesso che un anno fa, al Bernabeu, al 92esimo lo dribblò prima di mettere un cross perfetto sulla testa di Rodrygo, che completò la rimonta del Real Madrid e mandò la sfida ai supplementari. Ieri, invece, al 55esimo Carvajal già non aveva più armi nei suoi confronti e, di fronte all’ennesimo dribbling subito, non poteva far altro che trascinarlo a terra da dietro. Mentre l’arbitro andava ad ammonire il terzino spagnolo, a terra Grealish se la rideva di gusto, con il sorriso di chi si stava godendo la disperazione degli avversari. “Tu non hai niente, niente con cui minacciarmi, non te ne fai niente di tutta la tua forza”, dice Joker a Batman ridendo mentre quello lo sta pistando di botte, più o meno con lo stesso sorriso di Grealish.

Se Carvajal è però il giocatore da cui queste cose ce l’aspettiamo, la prestazione di Grealish ha assunto addirittura una dimensione simbolica e storica quando si è visto fare un brutto fallo da un giocatore che invece a tutto assoceremmo tranne che alla violenza. Al 61esimo l’ala inglese ha ripiegato all’indietro fin dentro la propria area per intercettare un filtrante di Modric per Benzema (e forse a questo punto dovremmo anche fermarci a riflettere sulla grandezza di una squadra che ci fa dimenticare di star impiegando Grealish e Bernardo Silva nominalmente come esterni a tutta fascia). L'ala inglese con l’interno ha coperto il pallone dal ritorno di Carvajal alle sue spalle ed è partito in verticale, come se da quella posizione potesse minacciare la porta di Courtois. Su di lui ha accorciato proprio Modric, ma quello, senza alcun rispetto per l’anzianità, il talento o la carriera, gli ha fatto passare la palla tra le gambe, e per di più dopo un tocco di esterno. A quel punto persino Modric ha dovuto ricorrere alla violenza, piantandosi sul campo e buttandolo giù con una spallata sul petto. Pochi minuti dopo il numero 10 croato uscirà dal campo, senza fare un fiato, come se avesse appena perso qualcosa di prezioso di una semifinale di Champions. Credo non ci potesse essere conclusione più crudele di questo tunnel beffardo a un'era così gloriosa come quella del Real Madrid degli ultimi anni. Forse solo il pensiero che del talento di uno come Modric in campo non ci fosse più bisogno. “La distruzione del Real Madrid da parte del Manchester City ha il sapore della fine di un’era”, ha titolato oggi il Guardian e forse non c’è stato momento in cui questa frase è stata più vera, ieri, di questo.

Forse è una scemenza, ma viene da adattare la celebre frase di Antonio Gramsci. Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro arrivano i tunnel di Grealish.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura