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Convertitevi al culto di Jack Grealish
08 ott 2020
Il 10 dell'Aston Villa ha cominciato la stagione alla grande.
(articolo)
11 min
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Maglia numero 10, fascia di capitano attorno al braccio, calzettoni che arrivano solo fin sotto il polpaccio, parastinchi misura bambino infilati dentro, bende bianche a proteggere le caviglie, pantaloncini attillati, sottomaglia a maniche lunghe, maglietta attillata, sul viso pizzetto accennato e sopracciglia perfettamente spinzettate, in testa doppio taglio con i capelli tenuti all’indietro con la gelatina o il cerchietto sopra. Jack Grealish potrebbe essere benissimo il vostro amico del calcetto che se la sente troppo calda, eppure gioca in Premier League. E poi non è una presenza come tante, è già un giocatore di culto. Una persona il cui incredibile talento rende credibile anche il più improbabile dei look. In un certo senso, fa lo stesso effetto di quelle rane tropicali che con qui colori sgargianti che sembrano usciti da Photoshop vogliono avvisarti che è meglio lasciarle in pace perché sono velenosissime. Anche senza aver mai visto un tocco di palla di Jack Grealish, insomma, non si può non avere aspettative sul suo talento. La cosa bella, se così si può dire, è che poi quelle aspettative sono ben riposte.

Già dal primo controllo, infatti, si capisce che il rapporto tra Jack Grealish e questo gioco è diverso. Il trequartista inglese riesce a manipolare il pallone con l’esterno del piede rigorosamente avendolo sempre nella distanza giusta per poterlo toccare anche controtempo rispetto all’intervento dell’avversario. Non è un caso, in questo senso, che Grealish sia stato già cercato da alcune delle grandi della Premier League, come il Manchester United e l’Arsenal, che però non hanno ancora raggiunto l'esorbitante richiesta dell’Aston Villa di 75 milioni di sterline. Grealish è ora una delle principali attrattive di una partita di Premier League, uno di quelli che da soli valgono il tempo speso a guardare anche squadre in lotta per non retrocedere.

Da quando ha 20 anni è titolare dell’Aston Villa. Questa è la quinta stagione in cui è un riferimento imprescindibile in mezzo al campo, la seconda da capitano e in Premier League. Il suo arrivo nel principale campionato inglese e la conseguente stagione da protagonista della sua squadra gli hanno tolto l’etichetta di eterna promessa e lo hanno portato, a 24 anni, a essere considerato un giocatore di alto livello a tutti gli effetti, con tanto di convocazione in Nazionale. Eppure, nonostante tutto questo, Grealish ha raccontato di come sia stato fermato dalla vigilanza all’entrata del centro d’allenamento St George’s Park, perché con la tuta dell’Aston Villa era stato scambiato per un tifoso qualunque. Forse distinguere le rane velenose da quelle che possiamo accarezzare non è così facile come sembra.

La scorsa stagione l’ha chiusa con 6 assist e 8 gol, tra cui quello del decisivo pareggio all’ultima giornata con il West Ham che ha salvato l’Aston Villa. In questa stagione siamo invece già a 3 gol e 3 assist nelle prime tre partite, che corrispondono a 3 vittorie, cifre ovviamente pompate dall'ultima partita di campionato contro il Liverpool con 2 gol e 3 assist nell’ormai celebre vittoria per 7-2.

Contro la squadra di Klopp non sono stati solo i 3 assist ad impressionare, ma le quantità di volte in cui ha manipolato la difesa con un dribbling o un filtrante per creare un’occasione che poi i compagni non hanno saputo sfruttare. Sono sicuro che la difesa del Liverpool si ricorderà della sua prestazione molto più in dettaglio dei due gol e dei tre assist. Vengono in mente le parole di Osvaldo Soriano nel suo libro Fútbol: «Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci alcuno spazio». Ecco, Grealish è quest'ultima tipologia di giocatore.

Guardate ad esempio questo filtrante con tunnel su van Dijk, dopo averlo manipolato con un dribbling e atteso il tempo giusto per liberare Barkley, che però calcia malissimo.

L’arrivo in questo mercato di Ross Barkley dal Chelsea e l’acquisto dell’attaccante Ollie Wakins dal Brentford si sono dimostrati subito azzeccati proprio in rapporto col gioco tra le linee di Grealish, con Watkins che gli allunga la difesa con i suoi movimenti profondi creandogli spazio di manovra dopo la ricezione e Barkley che ha il compito di tagliare in area in un secondo momento per sfruttarne il passaggio filtrante in area. È un sistema di costruzione che si è appena formato ma che già funziona a meraviglia. L'importante è trovare Grealish tra le linee, al resto ci pensa lui.

Il passaggio sorprende anche un fenomeno dell’uno contro uno come van Dijk perché lo fa controtempo con l’esterno destro, la parte del piede che Grealish preferisce per accarezzare il pallone. Quando si tratta dell’ultimo passaggio o del tiro in porta è comunque praticamente ambidestro, pur sembrando destro naturale nella conduzione e nel primo controllo. Sembra più a suo agio a controllare il pallone col destro, con quei tocchi fin troppo barocchi più vicini alla tecnica da strada brasiliana che a quella delle scuole calcio inglesi. Quando può puntare l’uomo nell’uno contro uno e ha la visione della porta però si capisce l’utilità della sensibilità del suo piede, che oltre all’ultimo passaggio gli permette di calciare da qualunque zona dell’area sia di potenza che di precisione, come nel gol contro il Manchester United nel pareggio per 2-2 nel dicembre 2019. Che non a caso sembra la copia carbone di un gol che farebbe Neymar nella stessa situazione di gioco.

Com’è evidente da queste due azioni la tecnica e la creatività sono due tra le principali caratteristiche del suo gioco, averlo fronte alla porta vicino all’area mette automaticamente in tensione l’avversario diretto perché sa che ci sono decine di modi diversi con cui può essere superato. La sua zona di competenza è il mezzo spazio di sinistra, dove si muove in verticale scegliendo l’altezza per ricevere a seconda del baricentro della squadra e della posizione del centrocampo e della linea difensiva avversaria. Che parta come trequartista o da esterno sinistro è la stessa cosa: è sempre lì che finisce per gravitare. Si sente una mezzala, come detto a The Athletic: «Alcune persone dicono che dovrei essere un'ala sinistra, no grazie. Odio quella posizione! Sono un numero 8. Giocherei numero 10 se richiesto, ma non ci gioco da tre anni». Anche perché la zona di ricezione preferita è proprio dietro il centrocampo avversario, dato che ricevendo tra le linee guadagna quel secondo extra dopo il primo controllo che gli permette di decidere il tipo di azione da fare prima di doversi difendere dall’intervento avversario.

In Premier League essere in grado di generare da soli pericolosità offensiva è forse la dote più richiesta, perché gli alti ritmi ormai portano il tempo a disposizione con la palla ad essere sempre più breve in quella zona di campo. Grealish è in questo momento un giocatore a suo agio con i ritmi della Premier League, in grado di sfruttarne i momenti più caotici, come di ordinarne i momenti di maggiore tranquillità.

A Grealish piace dettare i tempi di gioco pur ricevendo già nella metà campo avversaria e proprio la capacità di manipolare l’intervento avversario è la sua grande arma contro la fisicità della Premier League. Sono due i numeri che spiegano l’impatto di Grealish con la Premier League la scorsa stagione: con 75 occasioni create da situazioni non a palla ferma è stato secondo in campionato dietro solo a Kevin de Bruyne con 104; e con 167 falli subiti è stato di gran lunga il primatista la scorsa stagione di Premier League (il secondo Wilfred Zaha ne ha subiti 120). 167 falli subiti significa 4,65 per 90 minuti e sono una risorsa inestimabile per una squadra che parte raramente con i favori del pronostico come l’Aston Villa, costretta a rincorrere il pallone perché non in grado di tenerlo contro le grandi squadre del campionato. Quando la palla finisce a Grealish nella trequarti avversaria ne può uscire fuori un’occasione o se va male un fallo a favore che fa risalire la squadra e crearne una a palla ferma. Se riceve sulla trequarti con spazio e può vedere la porta allora gli avversari hanno ormai capito che il fallo è l’opzione migliore e lui ha imparato a sfruttare questo a suo vantaggio.

Grealish sembra voler fare solo passaggi che fanno avanzare il pallone dietro la linea di pressione, che siano filtranti rasoterra, cambi di gioco, semplici triangolazioni. Con la palla tra i piedi riesce sempre ad essere verticale, a spingere in avanti la squadra. Se non ci riesce col passaggio lo fa fisicamente trascinandola tra i piedi in corsa. Tutto il suo gioco costruito per disordinare gli avversari, tenerli sempre sulle spine. Quando poi l’avversario gli si fa sotto abbastanza o prova a saltarlo in corsa o poco prima dell’intervento rallenta per quella frazione di secondo, o magari fa proprio una pausa, per poi far partire il passaggio. Grealish conosce i tempi di gioco e questo dà una dimensione in più alla sua sensibilità tecnica.

In conduzione il 10 dell'Aston Villa mantiene sempre l’equilibrio e il pallone tra i piedi anche quando contrastato col corpo. La parte alta del suo corpo è decisamente strutturata per l’altezza e i polpacci sembrano troppo grandi per poter essere contenuti dai calzettoni, forse anche per questo li porta abbassati. Per spiegarne la resistenza ai contrasti si parla sempre del fatto che fin da bambino ha praticato calcio gaelico - uno sport simile al rugby, praticato soprattutto in Irlanda, a cui Grealish ha iniziato a giocare per via della parte della famiglia di origini irlandesi, continuando a praticarlo la domenica anche durante il percorso nelle giovanili dell’Aston Villa. Nel calcio gaelico non basta buttarsi a terra quando si viene colpiti su un contrasto e questo l’ha reso non soltanto più resistente, ma più reattivo nell’anticipare dove arrivano i contrasti avversari. Forse è davvero per questo quindi che è così difficile fermarlo quando è in conduzione - in realtà, alla velocità a cui porta palla risulta persino complicato anticiparne i movimenti. Grealish non ne fa mai uno uguale all’altro e ha un cambio di ritmo continuo. «Dal punto di vista atletico la cosa più difficile è dribblare, sforzi tutto il corpo con le finte e i cambi di direzione. Lui lo fa con una facilità sublime», ha detto Joe Cole durante una trasmissione su BT Sport, seduto accanto a un Peter Crouch divertito.

Provare a spiegare cos’è il talento rappresenta praticamente un genere a sé stante nel racconto sportivo, sappiamo che il talento è tanto evidente quanto da pesare, ma sia la sua evidenza che il suo peso vengono piegate dagli occhi di chi guarda e di chi lo racconta. C’è chi vede nel talento la capacità di essere creativi in campo, chi lo vede nella pulizia del gesto tecnico e chi nell’efficacia estrema o nel dominio atletico che si esprime. Chi ha bisogno dei numeri per quantificarlo e chi trova rifugio solo negli occhi. Si accende qualcosa nel cervello quando realizziamo che un giocatore è di talento. E Joe Cole parla in modo così appassionato di Jack Grealish perché lui avendoci giocato accanto ha quasi tastato con gli occhi il livello del suo talento.

«Per me questo ragazzo è il giocatore inglese più talentuoso che abbiamo visto da Gazza. Sono stato abbastanza fortunato da giocare con lui e ha tutto. (…) Quando l’ho incontrato l’altro giorno abbiamo parlato di come nella Championship era marcato a uomo e si è dovuto irrobustire. Ora in Premier League lui si sente come se avesse più tempo per pensare con la palla, ha ancora più occasioni di mostrare le sue qualità perché gli avversari non possono concentrarsi soltanto su di lui. E questo l’ha fatto definitivamente fiorire».

Il talento è differente dal livello di gioco, il talento è quello che ti dà gli strumenti per raggiungere un certo livello, che però si raggiunge con l’aggiunta di altre qualità come la continuità, la capacità di adattamento o la fortuna. Il talento mostra i margini di miglioramento, ma ci vuole anche altro per farli raggiungere.

Diceva il filosofo Ludvig Wittgenstein che: «Il talento è una fonte da cui sgorga acqua sempre nuova. Ma questa fonte perde ogni valore se non se ne fa il giusto uso». Grealish ha mostrato il suo talento già a 20 anni, ma è ora che ha invece raggiunto un livello di gioco in grado di sfruttarlo appieno con continuità. Joe Cole stesso era un giocatore dall’enorme talento, che ha finito per assestarsi su di una carriera di alto livello ma non tale da dire che l’abbia sfruttato appieno. I lampi c’erano, la continuità nelle giocate meno. Lui che lo conosce pensa che Grealish sia ora maturo: «La cosa da capire è se ha la mentalità di fare quello che fa anche sui palcoscenici più grandi. Io penso ce l’abbia e ritengo che la Nazionale inglese nelle scorse generazioni e negli scorsi tornei è mancata proprio di un giocatore con le sue qualità. Prendi la semifinale con la Croazia, serviva qualcuno che mettesse la palla giusta in area, facesse avanzare la manovra, vincere qualche fallo davanti, attivare giocatori come Sancho, Keane, Sterling e Rashford».

Eppure Grealish è tanto consapevole del suo talento, quanto del fatto che però questo non gli abbia comunque garantito l’immediato assestamento tra i grandi. Dopo la promozione nell’estate 2019 ha detto: «Quando ho giocato in Premier League la prima volta, a diciannove anni, forse la davo per scontata e non ho capito quanto fossi fortunato, adesso voglio tenermela stretta con entrambe le mani».

Quello che rende ancora più entusiasmante delle partite di Grealish è che a questa frase c’è da legare il fatto che quello che sta facendo lo fa con la maglia dell’Aston Villa, la squadra che tifa e con cui è cresciuto, una storica società del calcio inglese che ha contribuito a far tornare e poi rimanere in Premier League. Forse proprio perché sempre più raro, il fascino per queste cose ora brilla ancora di più e sembra rendere raggiante ogni sua esultanza. E questo rende ancora più straziante il vederlo giocare senza i suoi tifosi attorno.

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