It’s a Long Way to the Top
I playoff dell’Eurolega analizzati come un contest rock.
Categoria Punk Rock
Panathinaikos Atene (4) vs. Fenerbahce Istanbul (5)
a.k.a.
Raw Power (Iggy Pop And The Stooges, 1973) vs. London Calling (The Clash, 1979)
“Gimme danger, little stranger
And I feel your disease”
[Gimme Danger]
Dai bassifondi duri e sporchi della classe operaia che se ne frega di chi ha di fronte pur di raggiungere il sospirato successo sono sorti gli insospettabili salvatori del “nuovo” Panathinaikos, quello post-Obradovic, leggenda “di casa” contro cui ironicamente passeranno proprio i destini dei greens in questi playoff.
I giocatori cardine di coach Xavi Pascual – subentrato a Pedoulakis dopo due giornate – hanno un passato recente che li colloca nella stessa condizione (o quasi…) di rivalsa sociale che nei primi anni Settanta spronava Iggy Pop e i suoi Stooges ad uscire dalle periferie del Michigan. Un esempio su tutti? Il miglior realizzatore del Pana, Mike James (“Well I am your crazy driver” – “I Need Somebody”), sta cavalcando un momento stellare dopo le Final Four conquistate l’anno scorso con Vitoria, ma solo tre anni fa era uno sconosciuto che stracciava retine nell’A2 italiana ad Omegna, snobbato da tutti.
Sorte simile a quella di un altro incredibile lavoratore del parquet come lo “stretch 4” Chris Singleton (esploso con il Lokomotiv Kuban, tre anni fa giocava in Cina), a quella dell’ala James Gist (scelto al Draft dagli Spurs nel 2008, mai andato in NBA) o a quella della guardia James Feldeine (prima di firmare nel 2015 col Pana giocava nel campionato portoricano).
“I am a world’s forgotten boy
The one who searches and destroys”
[Search and Destroy]
Backgrounds che, oltre a confermare dei limiti in cui pochi hanno creduto e che ogni tanto si scorgono, raccontano la vera forza di una squadra che forse più di qualunque altra tra queste otto ha raggiunto un risultato ben superiore alla somma delle singole individualità (i biancoverdi sono ultimi per percentuale reale col 46%). Con le idee ben chiare in testa (“Honey, come and be my enemy so I can love you true” – “Death Trip”), con ruoli e gerarchie ben definite, il Panathinaikos ha rischiato di superare gli eterni rivali dell’Olympiacos in classifica, giocando un basket corale, pragmatico, rude, a più velocità e capace di attingere alle qualità di ognuno quando più ce n’era bisogno, pur non eccellendo in nessuna categoria statistica.
Dalle incursioni di Nikos Pappas alla sapiente gestione di uno dei play più intelligenti d’Eurolega – Nick Calathes – Pascual ha trovato risorse ovunque, cavalcando nei finali punto a punto il tiro mortifero di K.C. Rivers, l’eterno Ioannis Bouroussis e una difesa ruvida, atletica, supportata dal fattore-OAKA, ancora oggi l’arena più calda d’Europa.
“Raw power baby can’t be beat
Poppin eyes and flashin feet”
[Raw Power]
L’animo anarchico, indole naturale di alcuni componenti, è saltuariamente spuntato a rompere la disciplina imposta dal coach spagnolo, ma le libertà prese – leggi forzature e isolamenti reiterati – si sono spesso rivelate positive per il risultato (striscia aperta di 5 vittorie in EL, schiacciasassi in Grecia), a dimostrazione di una mentalità costruttiva, ben salda nei momenti decisivi (la vittoria contro il Cska dopo un supplementare è il monumento dell’annata), dove tutti sono sempre sembrati disposti a fare di tutto per la vittoria. E le urla graffianti, di liberazione di Iggy accompagnate dalle schitarrate rabbiose di James Williamson, ne sono i simboli più orgogliosi.
“London calling to the faraway towns
Now war is declared and battle come down”
[London Calling]
Riuscirà il Fenerbahce a ritrovare se stesso in tempo per i playoff? Nonostante la squadra di coach Zelimir Obradovic parta comunque favorita anche senza il vantaggio del fattore campo contro il Pana, la risposta probabilmente non ce la potrebbe dare neppure la vecchia volpe serba. Con tre sconfitte nelle ultime quattro giocate, i turchi gialloneri si sono scavati la fossa con le loro stesse mani, arrivando quinti e perdendo il privilegio di giocare tre partite in una casa che di sconfitte ne ha viste poche durante la stagione (8 su 12 sono arrivate in trasferta).
“When my nerves were pumping and I fought my fear in
I didn’t run, I was not done”
[I’m not Down]
Come in “London Calling”, il Fenerbahce al completo avrebbe tra le sue più grandi qualità la varietà di timbri, ritmi, protagonisti: l’alternanza come lead vocals di Joe Strummer-Bogdan Bogdanovic e Mick Jones-Bobby Dixon rende l’album imprevedibile, prestandosi a sorprese come “The Card Cheat” e “Train in Vain” nel mezzo equilibrate da una delle chiavi dell’attacco, Kostas Sloukas.
Ma l’assenza prolungata per infortunio prima della guardia serba due volte Rising Star Eurolega e poi del play greco – unita ai problemi alla spalla del nostro Gigi Datome – ha aperto inedite problematiche all’interno del sistema, evidenziando l’inadeguatezza a questi livelli dell’esperimento-Anthony Bennett (7 minuti di media) e l’irritante inaffidabilità di James Nunnally, decisamente il giocatore che più ha fatto incazzare Obradovic durante l’anno.
Con due giocatori di questo tipo incapaci di produrre un salto di qualità nelle situazioni d’emergenza la circolazione di palla è crollata, esponendo la super coppia Ekpe Udoh-Jan Vesely alle loro carenze offensive lontano dal ferro e costringendo spesso Dixon (“You need someone for a savior” – “Rudie Can’t Fail”) a mettersi in proprio, cercando di rimanere a galla in attesa che i compagni ritrovassero il ritmo.
“Executive decision, a clinical precision
Jumping from the windows, filled with indecision”
[Koka Kola]
Il Fener è tornato a pieno regime solo nelle ultime settimane, ancora claudicante e lontano dalla fluidità offensiva dello scorso anno, controllando il ritmo ed alternando flash di splendida pallacanestro a pause allucinanti degne del sound punk più efferato. L’ha aiutato la consueta difesa (quinta in Eurolega per punti subiti), spinta dall’agonismo del sempre duttile Nikola Kalinic (“You know it means no mercy” – “The Guns of Brixton”) e dal dinamismo di Udoh e Vesely (aspettiamoci un Calathes “battezzato” sui P&R del Pana). Ma al di là di una maggior esperienza e dall’essere vice-campioni d’Europa in carica, i turchi affronteranno una squadra molto simile priva però delle loro crisi d’identità.
In definitiva, se la rabbia cieca e feroce di “Raw Power” venne trasportata dall’evoluzione nobile, ribelle e british dei “Clash” in una dimensione più complessa, universale e musicalmente innovativa nella loro terza opera “London Calling”, è anche vero che l’aggressione alla giugulare (e ai timpani) da parte di Iggy Pop, Mike James e compagnia potrebbe essere talmente selvaggia e sanguinaria da non regalare ai rivali nessuna delle tre partite all’OAKA. Scatenando i balletti sul palco degli “Stooges” e lo psicodramma turco nel backstage: “Death or glory, becomes just another story”.
“It’s a long way to the top, if you want the Final Four”
[semicit.]