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It’s a Long Way to the Top
18 apr 2017
I playoff dell’Eurolega analizzati come un contest rock.
(articolo)
24 min
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Se siete amanti del rock, figlio prima ripudiato e poi abbracciato dalla cultura anglosassone, saprete bene anche quanto sia ossessiva la ricerca di classificare e confrontare sia per gli addetti ai lavori che per i fan gli album più significativi di un certo sottogenere o filone.

Siti come LoudWire, BillBoard, UltimateClassicRock o il più classico di tutti, Rolling Stones, da sempre alimentano queste discussioni, cementando nella pop culture gli “scontri” più epici e che maggiormente dividono l’opinione collettiva (compresa quella della redazione de l’Ultimo Uomo...).

Meglio “Led Zeppelin IV” o “Paranoid”? Beatles o Rolling Stones? Jimi Hendrix o Slash?

In occasione dei playoff dell’Eurolega 2017 al via questa sera abbiamo quindi ampliato il giochino alla pallacanestro del Vecchio Continente, identificando in ognuna delle otto squadre promosse dalla più intensa ed eccitante regular season dei tempi moderni le caratteristiche di alcuni degli album rock più esaltanti di sempre, provando a capire chi potrebbe avere la meglio in una serie al meglio dei cinque concerti.

Se il Monsters of Rock del 1991 di Mosca con The Black Crowes, Pantera, Metallica e AC/DC è legittimamente considerato il più imponente e significativo “gig” di sempre, aspettate di veder salire sullo stesso palco questi otto album e poi vedremo chi riuscirà a rimanere in piedi… Let’s rock, buona Devotion!

Categoria Hard Rock

Real Madrid (1) vs. Darussafaka Istanbul (8)

a.k.a.

Back in Black (AC/DC, 1980) vs. Appetite for Destruction (Guns N’Roses, 1987)

"So look at me now I'm just makin' my play

Don't try to push your luck just get out of my way"

[Back in Black]

Rimanere frastornati quando nei live degli AC/DC l’invisibile muro sonoro improvvisamente prende fuoco è un po’ la stessa esperienza che gli avversari del Real Madrid di quest’anno hanno vissuto negli ultimi quarti delle partite contro i blancos, visto che ne hanno persi solo 7 sui 30 giocati.

La macchina da guerra lanciata a mille dai frontmen Sergio Llull e Brian Johnson (che è un Llull senza barba, praticamente) ha travolto spesso e volentieri chiunque abbia provato a reggere l’urto, colpendo gli avversari di giornata con le mille armi a disposizione del miglior attacco europeo (primi per Net Rating +10.7, percentuale da due punti, assist a partita, valutazione e punti su 100 possessi con 119.6).

Liriche non particolarmente complesse, spesso semplici, dirette ma tremendamente efficaci… e numeri assurdi che riportano alla mente quelli di due stagioni orsono culminati con la coppa, cui aveva fatto seguito un 2015-2016 pieno di infortuni terminato con un’eliminazione senza storia ai playoff (0-3 contro il Fenerbahce): similmente agli déi del rock australiani con il primo album dopo la tragica morte di Bon Scott, il Real è tornato. “Back in Black” per l’appunto, anche se sarebbe meglio dire in blanco.

“Heavy decibels bells are playing on my guitar

We got vibrations comin' up from the floor”

[Rock and Roll Ain't Noise Pollution]

Incapaci di perdere al WiZink Center nella capitale spagnola (una sola sconfitta sulle 7 totali), la truppa del generale Pablo Laso sembra pronta per riprendersi lo scettro vinto proprio tra le mura amiche nelle Final Four 2015, quando dominò giocando una pallacanestro che quest’anno si è evoluta partendo da quello stesso spartito vincente.

Il core è pressoché identico, ma la crescita esponenziale del “nostro” Luka Doncic (“My lightning's flashing across the sky” - Hells Bells) insieme all’arrivo del “4” più spettacolare del continente, Anthony Randolph, bravo a monetizzare l’esplosione dello scorso anno al Lokomotiv Kuban (“What do you do for money, honey”) e la maggior fiducia in due moderni “3&D” come Trey Thompkins e Jeffery Taylor, hanno ridato al Real quella freschezza atletica e quella creatività dalla panchina che aveva smarrito lo scorso anno.

In casa del Darussafaka i madrileni hanno subìto la sconfitta più pesante della stagione europea (-13), patendo troppo il play Brad Wanamaker e mostrando i punti deboli di una difesa traballante sugli esterni avversari. Ma erano senza Llull, quest’anno probabilmente all’apice del suo gioco in pieno stile AC/DC: energico, frizzante, caliente, eccitante, in grado di mandar fuori di testa gli avversari con tutti quei buzzer beater.

Laso si fida completamente del suo sergente, affidandogli la gestione dell’indemoniato ritmo fatto di triple in transizione (primi per tiri dall’arco tentati in stagione con 26.6), pick and roll con Gustavo Ayon e Othello Hunter - due tra i primi cinque in Eurolega per efficacia (70% e 67% da due punti) - e uscite dai blocchi dei soliti Rudy Fernandez, Jaycee Carroll e Jonas Maciulis.

“I'm like evil, I get under your skin

Just like a bomb that's ready to blow”

[Shoot to Thrill]

Aggiungeteci l’ultimo giro di tango del “Chapu” Nocioni (“Have a drink on me”), il “carpe diem” - dettato dalla consapevolezza dei veterani usurati dall’alto chilometraggio - di essere arrivati fortunatamente sani al momento decisivo, il vantaggio del fattore campo e la conseguenza più logica sarà il tentare - invano - di stare dietro al beat della batteria di Phil Rudd e ai solo elettrici di Angus Young, sentendo “tremare i muri; scuotere la terra; la testa dolorante”... Esatto, uno shock, con il Real a far cantare ai turchi “You Shook Me All Night Long” fino a fargli perdere i sensi.

“Loaded like a freight train

Flyin’ like an aeroplane

Feelin’ like a space brain”

[Nightrain]

Pochi minuti prima di Gara-3 della serie contro il Real alla Wolkswagen Arena le casse spareranno a tutto volume in faccia agli spagnoli la verità sul conto di quel palazzetto e dei tifosi al suo interno: “Welcome to the jungle, baby!”.

Ed è così che il Darussafaka accoglierà tra le mura amiche i temuti avversari: trent’anni dopo l’esordio fulminante dei Guns nel 1987 con “Appetite for Destruction”, i turchi saranno carichi a molla per i primi playoff di Eurolega della loro storia, reduci da una qualificazione in rimonta sulla Stella Rossa Belgrado (i serbi son stati scalzati dall’ottavo posto proprio sul Bosforo all’ultima giornata), con tanti giocatori tecnicamente arroganti e incapaci di provare paura di fronte a chicchessia, un po’ strafottenti e con tantissima energia addosso.

"Your daddy works in porno

Now that mommy's not around"

[My Michelle]

Guidati da uno degli allenatori più istrionici e leggendari d’Europa, il mago statunitense David Blatt di ritorno dalla scottante esperienza sulla panchina dei Cleveland Cavaliers, la più recente tra le quattro squadre di Istanbul ad approdare in Eurolega ha faticato per tutto l’anno a trovare un proprio equilibrio (16 vinte, 14 perse, mai più di 3 vittorie consecutive). Intrappolata nei talenti delle tre nuove stelle del firmamento europeo, ovvero l’affascinante trascinatore Axl Rose-Brad Wanamaker, l’estroso tuttofare Slash-Will Clyburn e il camaleontico Steven Adler-Scottie Wilbekin, spesso si è lasciata ingolosire dalle qualità individuali a discapito del movimento di palla, arrivando ultima in Eurolega per assist a partita (14.3) e tirando da dentro l’arco peggio di qualsiasi altra qualificata ai playoff (ultima assoluta con il 48.3%).

Un rivedibile lato del disco - “Out Ta Get Me”, “You’re Crazy” - che non ha però compromesso la stagione dei verdenero, per altri versi invece entusiasmante, tra le improvvisazioni melodiche ed essenziali (“Sweet Child O’Mine”) in 1-vs-1 del rookie Clyburn e le scariche adrenaliniche da tre punti di gente come l’ala James Anderson e la guardia Wilbekin ("I'm a hard case that's tough to beat" - “Paradise City”), capaci di rubare la scena e che hanno fatto del Darussafaka la terza squadra d’Europa per quantità di triple tentate a partita (24.3).

"I've got a tongue like a razor

A sweet switchblade knife"

[Rocket Queen]

Una jump-shooting team che ha trovato una parziale quadratura del cerchio quando ai principali lunghi - l’atipico Adrien Moerman e il fabbro Luke Harangody - si è unito a metà anno Ante Zizic, ennesimo grande talento del basket croato (1997) che ha portato fisicità, reattività a rimbalzo e punti in area bilanciando le tendenze perimetrali e l’assenza di Marcus Slaughter.

Una combinazione di geni, istinti e sregolatezza che non basterà contro il più potente, profondo ed esperto Real; ma in una serie dove ci divertiremo con gli incroci delle voci di Llull e Wanamaker e le chitarre dei fratelli Young e Slash, la difesa a tratti sporca, dura e “bastarda” di coach Blatt metterà in difficoltà gli accordi dei blancos, regalandoci una serie più lunga del previsto con almeno due finali di partita memorabili con tanto di rissa sul palco, concerto sospeso e bottiglie di birra gettate dal pubblico.

Categoria Heavy Metal

Cska Mosca (2) vs. Baskonia Vitoria (7)

a.k.a.

Master of Puppets (Metallica, 1986) vs. Fear of the Dark (Iron Maiden, 1992)

"Hypnotizing power, crushing all that cower

Battery is here to stay"

[Battery]

Semplicemente di un altro livello.

Il Cska è “Master of Puppets” in tutto e per tutto, sin dal titolo: l’Armata Rossa - così come la band di James Hetfield al termine di ogni suo Live - per tutta la stagione si è lasciata alle spalle terra bruciata e corpi storditi dalla potenza mortale del proprio “sound”. Anche più del Real, ha mostrato ancora una volta la pallacanestro più completa d’Europa su entrambi i lati del campo, portando tutti a spasso con i suoi automatismi militareschi come un mastro burattinaio fa con le marionette avversarie.

Hanno giocato da legittimi campioni in carica quasi tutta la regular season, e i passaggi a vuoto non hanno scalfito l’incredibile fiducia nei propri mezzi che accompagna un gruppo granitico e gestito alla perfezione da Dimitris Itoudis, il miglior allenatore d’Europa.

“Fuck it all and fucking no regrets

Never happy ending on these dark sets”

[Damage, Inc.]

Difensivamente le caratteristiche, soprattutto mentali, sono rimaste quelle d’élite degli ultimi anni, con picchi devastanti tra le mura amiche e fisiologici cali esterni (7 delle 8 sconfitte sono arrivate in trasferta): asfissiante, senza pause, fisico e durissimo (Top-5 EL per rimbalzi e percentuali da tre concesse agli avversari, recuperi, stoppate e Defensive Rating da 106.9 punti su 100 possessi), il Cska può permettersi rotazioni lunghissime e di conseguenza pressione sugli attaccanti sin dalla rimessa - grazie ai sicari Cory Higgins, Aaron Jackson e Nikita Kurbanov -, investendo calcolate e feroci energie su aiuti e recuperi, intasando le linee di penetrazione e “aiutando” i due anelli deboli, le stelle Milos Teodosic e Nando DeColo - “Leper Messiah” nell’album - che proprio contro gli esterni del Baskonia in stagione regolare hanno avuto non pochi problemi (esemplare in questo senso il tiro vincente di Shane Larkin in faccia a Teodosic, nel ritorno).

L’attacco invece, come ripetiamo ormai da qualche stagione, è tra i più fluidi ed efficienti del globo, e come “Battery” in apertura e “Welcome Home (Sanitarium)” a metà del capolavoro dei Metallica, mescola movimenti leggiadri e di un’armonia impareggiabile con tratti prolungati di spietata efficacia.

Non si contano i back door, i tagli e i mismatch sfruttati nel lampo di pochi secondi grazie alle letture fatate del solito immarcabile duo DeColo & Teodosic, assimilabile a quello più tecnicamente inebriante e letale degli ‘80s metal, James Hetfield & Kirk Hammett. Ogni singolo errore difensivo viene punito duramente ampliando spesso il gap a divari incolmabili (seconda per Net Rating in EL, +10,4), e la batteria di veterani fornisce un contributo con pochi eguali, dall’efficienza nel tiro da fuori di un “4” come Andrei Vorontsevich (50.5% da 3, quarto assoluto) a quella in area della coppia Kyle Hines-James Augustine (rispettivamente 64% e 66% da due).

Spesso è sembrato non avessero nemmeno bisogno di parlare fra di loro, tanto erano coordinate il tempismo e le spaziature della loro pallacanestro, determinati verso l’obiettivo finale come un sol uomo: “Orion” - la penultima traccia instrumental di “Master of Puppets” - rappresenta esattamente questo concetto, 8 minuti e 28 secondi di pura onnipotenza istintiva, un’esecuzione magistrale basata solo sul dialogo degli strumenti, del talento e del Gioco.

"The unknown troubles on your mind

Maybe your mind is playing tricks"

[Fear of the Dark]

Non sappiamo se il Cska avrà “Paura del Buio” - ovverosia della sconfitta - durante la serie contro Vitoria, ma di sicuro c’è che il Baskonia ha tutte le carte in regola per mettere in difficoltà i russi. “Fear of the Dark” nel complesso è un’opera inferiore a “Master of Puppets”? Sicuramente, ma ha degli acuti all’altezza dei rivali, e almeno tre canzoni potrebbero far vacillare le migliori dei Four Horsemen californiani.

Gli uomini di Sito Alonso - il più emergente e giovane coach d’Eurolega dopo sua maestà Jasikevicius - proveranno a instillare l’atroce dubbio del fallimento nelle teste dei giocatori avversari, facendo leva sul fresco ricordo dell’elettrizzante vittoria conquistata quasi allo scadere nel ritorno della stagione regolare (a Mosca all’andata però ne avevano presi 28…).

"You got to watch them - Be quick or be dead!”

[Be Quick or Be Dead]

Come ci riusciranno? Fronteggiando il Cska portandolo fuori dai propri ritmi usuali, convincendoli di potersela giocare alla pari, perlomeno nelle due partite all’infernale Fernando Buesa Arena. Con assoli rapidi, armoniosi, precisi, “puliti” - da quelli della “title track” a quelli di “Afraid to shoot strangers” - fatti di pick and roll in movimento, passaggi consegnati e tagli continui dei giocatori senza palla, usando lunghi non troppo fisici ma iper-reattivi e verticali come Ilimane Diop o atipici e intelligenti come la Rivelazione dell’anno, Johannes Voigtmann, e Kim Tillie.

Fraseggi brillanti e vivaci che il Baskonia ha mostrato con incredibile continuità, con uno degli attacchi più spumeggianti, altruisti e dinamici tra le otto squadre rimaste: le triangolazioni tra i due uomini coinvolti nel P&R e un tiratore affidabile su uno dei due lati del campo (Jaka Blazic, ma anche Voigtmann e Tillie) hanno spesso aperto l’area per le incursioni di Shane Larkin - l’altra sorpresa e una delle migliori point guard del continente, il loro Bruce Dickinson -, le esplosioni realizzative del più classico dei sesti uomini - Rodrigue Beaubois - e le invenzioni di Nicolas Laprovittola.

"And the game begins, the adrenalin's high

Feel the tension maybe someone will die..."

[Weekend Warrior]

Dopo il recupero della versatile ala georgiana Tornike Shengelia - uno dei possibili aghi della bilancia - mancherà all’appello solo Andrea Bargnani (non che a Vitoria se ne lamentino…), ma il Baskonia più che dell’attacco dovrà preoccuparsi della propria fase difensiva di poco superiore alla media - solo Milano ha subìto più triple in stagione - nonostante la presenza di specialisti come Adam Hanga (I'm whispering in your dreams - "Judas Be My Guide") e Chase Budinger.

Contro i testi nichilisti e aggressivi, nonché l’esecuzione rigorosa e brutale dei Metallica, gli Iron Maiden non avranno scampo: certo, Vitoria proverà lo scherzetto in Russia nella partita inaugurale e vincerà forse Gara-3, la prima casalinga, ma poco dopo sarà costretta a soccombere, accettando la sentenza finale.

"Just call my name, 'cause I'll hear you scream: master!": avanti, dì il mio nome, perché io udrò il tuo urlo: sono il tuo mastro burattinaio. Sono il Cska Mosca.

Categoria Classic Rock

Olympiacos Atene (3) vs. Efes Pilsen Istanbul (6)

a.k.a.

The Velvet Underground & Nico (The Velvet Underground, 1967) vs. Led Zeppelin II (Led Zeppelin, 1969)

"I'm gonna try for the kingdom, if I can

Cause it makes me feel like I'm a man"

[Heroin]

Fiammeggiante ed oscuro, il vascello capitanato da Vassilis Spanoulis verso l’ennesima Final Four riflette i suoni apocalittici del seminale primo album dei Velvet Underground, con il cantante luciferino Lou Reed nei panni del semidio greco e la gotica Nico in quelli di Giorgios Printezis, esuberante ed onnipresente secondo violino.

I reds hanno ritrovato la forma dei tempi migliori in questa stagione, prima di crollare nelle ultime tre partite: 0-3 contro le migliori della classe, e un secondo posto in lotta col Cska svanito proprio quando mancava solo l’ultimo scatto al traguardo. Poco male, l’Olympiacos avrebbe comunque incontrato il Baskonia - una squadra simile all’Efes Pilsen, loro prossimo avversario -, ex squadra proprio del coach nemico Perasovic che Ioannis Sfairopoulos - l’Andy Warhol ateniese - proverà ad annichilire con le sue idee ciniche ed estreme.

Mantenendo la tradizione di casa, infatti, l’Olympiacos con la forza bruta e le distorsioni insopportabili della viola di John Cale-Kostas Papanikolau (il miglior difensore d’Europa sulla palla) ha schiacciato gli attacchi avversari grazie alla miglior difesa del continente, sia per abnegazione ed intensità sia per risultati, spadroneggiando a rimbalzo (37.1 a gara, primi assoluti) ed imponendo i propri ritmi controllati, quasi asfissianti (secondo rating difensivo d’Eurolega, 104.5 punti su 100 possessi).

La comunanza d’intenti e una cultura devota al sacrificio di un gruppo esperto e perennemente etichettato come “underdog” hanno fatto la differenza, oltre all’impatto di lunghi marmorei ma reattivi come le migliori corde della chitarra di Reed (Kem Birch e Patrick Young), torri a protezione dell’area (Nikola Milutinov) e ali greche muscolari e dure come i versi inesorabili di “Femme Fatale” (il già citato Printezis, ma anche Dimitrios Agravanis e Ioannis Papapetrou).

“Just look into her false colored eyes

She builds you up to just put you down, what a clown”

[Femme Fatale]

Proprio la difesa è stata un punto imprescindibile per i successi dei biancorossi, esposti invece alle loro stesse fragilità quando si è trattato di inseguire i battiti cardiaci altrui e non quelli caldi e spettrali della batterista Maureen Tucker in “Black Angel's Death Song”. La fase offensiva dei reds è sempre e comunque Spanoulis-dipendente quando la guardia è in campo, con i fidati Matt Lojeski e Vangelis Mantzaris a fornire sufficiente pericolosità perimetrale per allargare il campo e consentire i consueti pick and roll centrali o gli uno contro uno del loro capitano.

“When she turned blue, all the angels screamed

They didn't know, they couldn't make the scene”

[Run Run Run]

Le alternative a Spanoulis però in questa stagione non sono mancate: oltre alla difesa aggressiva che ha fornito punti facili in contropiede, un gran contributo lo ha dato la guardia Erick Green, essenziale per la sua capacità di crearsi da solo il tiro, oltre al talento sui generis di Printezis e Papanikolau, infaticabili nel cercare i mismatch, attaccare l’uomo diretto, tagliare e passare. Alternative che però nelle ultime giornate, e anche contro l’Efes, hanno mostrato crepe preoccupanti per incostanza e carenza di creatività. Durante la serie contro i turchi sarà essenziale mascherarle, imponendo il sound sporco, surreale ed avvolgente dei Velvet, potendo contare inoltre sul vantaggio del fattore campo (4 sconfitte su 11 in casa, +24 all’andata sull’Efes) e sui 12mila, sempre poco rassicuranti, del Peace and Friendship Stadium.

“You need coolin' baby, I'm not foolin'

I'm going to send you back to schoolin'”

[Whole Lotta Love]

Belli, giovani ed affamati, i componenti della band dell’Efes Pilsen - meglio noti alla fine dei ‘60s come i Led Zeppelin - fanno il loro ingresso ai playoff consapevoli di avere la possibilità concreta di conquistare un biglietto per le Final Four di Istanbul, la loro città. Brioso, rapido, disinvolto e micidiale, l’attacco dell’Efes è allenato da uno dei maghi delle trame offensive in Europa - Velimir Perasovic, già autore del miracolo-Vitoria la scorsa stagione - e si presenterà ad Atene con l’intento di soverchiare con la pura estetica del proprio rhytm and blues la sbruffonaggine da mani-addosso degli avversari.

“An inspiration is what you are to me

Inspiration - look, see”

[Thank You]

Diteci voi se c’è mai stata miglior similitudine rock-cestistica di quella tra Robert Plant e Thomas Heurtel, stellina dal ciuffo ribelle e talento offensivo tanto narcisista quanto efficace. Dalle sue mani nascono molte delle fortune offensive biancoblu, ma il francesino capace di acuti straordinari (“The way you squeeze my lemon, ah” - “The Lemon Song”) non è decisamente solo, anzi: talento e qualità sono la costante di una squadra che ha imparato, grazie al maestro Perasovic, a sfruttare le proprie caratteristiche per creare superiorità numerica ed impegnare la difesa, muovendosi senza palla, penetrando e riaprendo sul perimetro, facendo quell’extra-pass decisivo che storicamente non è mai stato scontato, da queste parti.

Dai riff spettacolari dell’ala Derrick Brown-Jimmy Page - dopo Anthony Randolph, il “4” più skilled d’Europa - alle improvvisazioni tutte atletismo ed istinto del levriero Tyler Honeycutt, passando per le letture da veterano e metronomo di Jayson Granger, la creatività del gioiello Cedi Osman-John Paul Jones e realizzatori come DeShaun Thomas e il nostro preferito, Brandon Paul, le opzioni - e le conseguenti rotazioni - sono veramente tante, consacrando l’Efes come terzo miglior attacco dietro le irraggiungibili Real e Cska (terzo per punti a partita e valutazione, quarto per Off Rating, quinto per assist).

“Ramble on

And now's the time, the time is now”

[Ramble On]

Un tale deflagrante potenziale offensivo non potrebbe sopravvivere però se non fosse sorretto in difesa da un giocatore più importante - ed imponente - degli altri, altrettanto cruciale per le sorti dell’Efes nella serie: l’ex di lusso della sfida sarà infatti Bryant Dunston ("Her style is new, but the face the same" - "Hearbreaker"), due volte miglior difensore europeo dell’anno e uno dei pochi veri baluardi in mezzo a un gruppo di atleti più interessati alla metà campo dove si tira più che a quella in cui si piegano le ginocchia (l’Efes è la peggiore delle otto elette in percentuale da due, da tre e assist concessi agli avversari).

Un notevole difetto che manterrà equilibrato lo scontro, probabilmente fino all’ultimo: i testi della seconda opera dei Led Zeppelin non sono ancora paragonabili come maturità a quelli del clamoroso esordio dei Velvet ma, se riuscissero ad imporre le loro accelerazioni sonore, ci potrebbe scappare l’upset.

Categoria Punk Rock

Panathinaikos Atene (4) vs. Fenerbahce Istanbul (5)

a.k.a.

Raw Power (Iggy Pop And The Stooges, 1973) vs. London Calling (The Clash, 1979)

“Gimme danger, little stranger

And I feel your disease”

[Gimme Danger]

Dai bassifondi duri e sporchi della classe operaia che se ne frega di chi ha di fronte pur di raggiungere il sospirato successo sono sorti gli insospettabili salvatori del “nuovo” Panathinaikos, quello post-Obradovic, leggenda “di casa” contro cui ironicamente passeranno proprio i destini dei greens in questi playoff.

I giocatori cardine di coach Xavi Pascual - subentrato a Pedoulakis dopo due giornate - hanno un passato recente che li colloca nella stessa condizione (o quasi…) di rivalsa sociale che nei primi anni Settanta spronava Iggy Pop e i suoi Stooges ad uscire dalle periferie del Michigan. Un esempio su tutti? Il miglior realizzatore del Pana, Mike James ("Well I am your crazy driver" - "I Need Somebody"), sta cavalcando un momento stellare dopo le Final Four conquistate l’anno scorso con Vitoria, ma solo tre anni fa era uno sconosciuto che stracciava retine nell’A2 italiana ad Omegna, snobbato da tutti.

Sorte simile a quella di un altro incredibile lavoratore del parquet come lo “stretch 4” Chris Singleton (esploso con il Lokomotiv Kuban, tre anni fa giocava in Cina), a quella dell’ala James Gist (scelto al Draft dagli Spurs nel 2008, mai andato in NBA) o a quella della guardia James Feldeine (prima di firmare nel 2015 col Pana giocava nel campionato portoricano).

“I am a world's forgotten boy

The one who searches and destroys”

[Search and Destroy]

Backgrounds che, oltre a confermare dei limiti in cui pochi hanno creduto e che ogni tanto si scorgono, raccontano la vera forza di una squadra che forse più di qualunque altra tra queste otto ha raggiunto un risultato ben superiore alla somma delle singole individualità (i biancoverdi sono ultimi per percentuale reale col 46%). Con le idee ben chiare in testa ("Honey, come and be my enemy so I can love you true" - "Death Trip"), con ruoli e gerarchie ben definite, il Panathinaikos ha rischiato di superare gli eterni rivali dell’Olympiacos in classifica, giocando un basket corale, pragmatico, rude, a più velocità e capace di attingere alle qualità di ognuno quando più ce n’era bisogno, pur non eccellendo in nessuna categoria statistica.

Dalle incursioni di Nikos Pappas alla sapiente gestione di uno dei play più intelligenti d’Eurolega - Nick Calathes - Pascual ha trovato risorse ovunque, cavalcando nei finali punto a punto il tiro mortifero di K.C. Rivers, l’eterno Ioannis Bouroussis e una difesa ruvida, atletica, supportata dal fattore-OAKA, ancora oggi l’arena più calda d’Europa.

“Raw power baby can't be beat

Poppin eyes and flashin feet”

[Raw Power]

L’animo anarchico, indole naturale di alcuni componenti, è saltuariamente spuntato a rompere la disciplina imposta dal coach spagnolo, ma le libertà prese - leggi forzature e isolamenti reiterati - si sono spesso rivelate positive per il risultato (striscia aperta di 5 vittorie in EL, schiacciasassi in Grecia), a dimostrazione di una mentalità costruttiva, ben salda nei momenti decisivi (la vittoria contro il Cska dopo un supplementare è il monumento dell’annata), dove tutti sono sempre sembrati disposti a fare di tutto per la vittoria. E le urla graffianti, di liberazione di Iggy accompagnate dalle schitarrate rabbiose di James Williamson, ne sono i simboli più orgogliosi.

“London calling to the faraway towns

Now war is declared and battle come down”

[London Calling]

Riuscirà il Fenerbahce a ritrovare se stesso in tempo per i playoff? Nonostante la squadra di coach Zelimir Obradovic parta comunque favorita anche senza il vantaggio del fattore campo contro il Pana, la risposta probabilmente non ce la potrebbe dare neppure la vecchia volpe serba. Con tre sconfitte nelle ultime quattro giocate, i turchi gialloneri si sono scavati la fossa con le loro stesse mani, arrivando quinti e perdendo il privilegio di giocare tre partite in una casa che di sconfitte ne ha viste poche durante la stagione (8 su 12 sono arrivate in trasferta).

"When my nerves were pumping and I fought my fear in

I didn't run, I was not done"

[I'm not Down]

Come in “London Calling”, il Fenerbahce al completo avrebbe tra le sue più grandi qualità la varietà di timbri, ritmi, protagonisti: l’alternanza come lead vocals di Joe Strummer-Bogdan Bogdanovic e Mick Jones-Bobby Dixon rende l’album imprevedibile, prestandosi a sorprese come “The Card Cheat” e “Train in Vain” nel mezzo equilibrate da una delle chiavi dell’attacco, Kostas Sloukas.

Ma l’assenza prolungata per infortunio prima della guardia serba due volte Rising Star Eurolega e poi del play greco - unita ai problemi alla spalla del nostro Gigi Datome - ha aperto inedite problematiche all’interno del sistema, evidenziando l’inadeguatezza a questi livelli dell’esperimento-Anthony Bennett (7 minuti di media) e l’irritante inaffidabilità di James Nunnally, decisamente il giocatore che più ha fatto incazzare Obradovic durante l’anno.

Con due giocatori di questo tipo incapaci di produrre un salto di qualità nelle situazioni d’emergenza la circolazione di palla è crollata, esponendo la super coppia Ekpe Udoh-Jan Vesely alle loro carenze offensive lontano dal ferro e costringendo spesso Dixon ("You need someone for a savior" - "Rudie Can't Fail") a mettersi in proprio, cercando di rimanere a galla in attesa che i compagni ritrovassero il ritmo.

"Executive decision, a clinical precision

Jumping from the windows, filled with indecision"

[Koka Kola]

Il Fener è tornato a pieno regime solo nelle ultime settimane, ancora claudicante e lontano dalla fluidità offensiva dello scorso anno, controllando il ritmo ed alternando flash di splendida pallacanestro a pause allucinanti degne del sound punk più efferato. L’ha aiutato la consueta difesa (quinta in Eurolega per punti subiti), spinta dall’agonismo del sempre duttile Nikola Kalinic ("You know it means no mercy" - "The Guns of Brixton") e dal dinamismo di Udoh e Vesely (aspettiamoci un Calathes “battezzato” sui P&R del Pana). Ma al di là di una maggior esperienza e dall’essere vice-campioni d’Europa in carica, i turchi affronteranno una squadra molto simile priva però delle loro crisi d’identità.

In definitiva, se la rabbia cieca e feroce di “Raw Power” venne trasportata dall’evoluzione nobile, ribelle e british dei “Clash” in una dimensione più complessa, universale e musicalmente innovativa nella loro terza opera “London Calling”, è anche vero che l’aggressione alla giugulare (e ai timpani) da parte di Iggy Pop, Mike James e compagnia potrebbe essere talmente selvaggia e sanguinaria da non regalare ai rivali nessuna delle tre partite all’OAKA. Scatenando i balletti sul palco degli “Stooges” e lo psicodramma turco nel backstage: “Death or glory, becomes just another story”.

“It’s a long way to the top, if you want the Final Four”

[semicit.]

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