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Tutti a Wuhan
04 set 2019
04 set 2019
L’Italbasket accede alla seconda fase del Mondiale con qualche certezza in più rispetto all’ultima fase della preparazione.
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Risultato minimo conquistato, e con la consapevolezza di potersela quantomeno giocare. È questo il bilancio dell’Italia del basket al termine del girone di Foshan, dove gli azzurri di Meo Sacchetti hanno vinto le prime due partite contro Filippine e Angola (staccando il biglietto per il torneo Preolimpico del prossimo anno, obiettivo minimo di questa spedizione) e perdendo solo contro la fortissima Serbia. La sconfitta ha però visto l’Italia giocare per 25 minuti quasi alla pari, costringendo i serbi a tirare fuori il loro abito migliore, compreso un Bogdan Bogdanovic in versione deluxe, per potere avere la meglio di una squadra coraggiosa e volitiva, spinta da un Danilo Gallinari non al meglio della sua condizione ma protagonista di una partita eccezionale.

Resistere alle ondate

Anche oggi il game plan iniziale è stato quello dei match precedenti, con una maggiore attenzione sull’attacco a metà campo, causato anche dall’intensità dei serbi, capaci di portare sempre pressione forte su ogni rimessa dal fondo dopo un canestro realizzato. Il primo possesso del match azzurro è stato in controtendenza rispetto alle sfide precedenti, con un gioco chiamato per un uscita dai blocchi di Marco Belinelli.

Poco dopo, Belinelli ha invece mostrato uno dei suoi marchi di fabbrica: il tiro in fadeaway dopo una finta su cui il difensore ha pagato dazio.

Proprio la guardia dei San Antonio Spurs è stata maggiormente coinvolta sin dalla palla a due, confermando un aspetto su cui Sacchetti aveva posto l’attenzione nei giorni scorsi mettendogli tanto la palla in mano. Anche la difesa azzurra ha confermato il livello di intensità e aggressività messo in scena nei primi due episodi del girone di Foshan, puntando molto su cambi continui e su un raddoppio quasi automatico su Nikola Jokic quando il lungo dei Nuggets si è ritrovato in post.

Dal lato suo, la Serbia passa sempre dalle mani di Bogdan Bogdanovic. Terminale o punto di snodo di ogni possesso offensivo della sua squadra, l’esterno dei Sacramento Kings sta vivendo un Mondiale magico nelle percentuali al tiro, assestandosi su valori irreali (8/10 nelle prime due partite con Angola e Filippine, 6/11 oggi dopo essere partito 4/4). L’Italia però ha dimostrato di essere sul pezzo anche nelle piccole cose, mostrando una reattività immediata nel rientrare in difesa anche dopo una brutta palla persa in attacco.

In fase offensiva gli azzurri inizialmente hanno cercato più la penetrazione rispetto alla conclusione dal perimetro, insistendo nella ricerca del migliore tiro possibile anche dopo il penetra-e-scarica. Qualcosa di non assolutamente facile, considerando che la Serbia è magistrale nel pressare in maniera asfissiante, cercando di sporcare ogni linea di passaggio.

Dopo un primo quarto in grande equilibrio, e un recupero azzurro fino al -3 in avvio di secondo periodo, è arrivata la prima frullata dei serbi con un’ottima uscita dal timeout di Sasha Djordjevic. La pulizia dei loro movimenti si è dimostrata per certi versi frustrante: al termine di un primo tempo giocato tutto sommato bene, gli azzurri sono comunque andati all’intervallo sotto di 8 lunghezze.

Carattere contro mestiere

Il momento migliore degli azzurri è arrivato a inizio ripresa, portando in calce la firma di Danilo Gallinari: undici punti consecutivi per riportare l’Italia a -2, con la Serbia che apparsa in confusione davanti alle iniziative dell’ala dei Thunder. Persino un avversario che lo conosce bene come Nikola Jokic - suo ex compagno ai Denver Nuggets - ha speso più falli e commesso più errori del solito, meritandosi un ritorno punitivo in panchina a metà terzo quarto. Nel nostro momento migliore, però, sono usciti fuori il carattere e il mestiere dei serbi, che hanno trovato un protagonista inatteso in Miroslav Raduljica.

Il momento della rimonta azzurra, tutta firmata dal numero 8.

L’ex lungo di Milano, fedelissimo di Djordjevic e confermato nel giro della nazionale serba nonostante le ultime due stagioni in Cina al Jiangsu, ha segnato 12 dei 13 liberi che si è procurato negli ultimi 16’ di partita (primo giocatore negli ultimi 25 anni a fare una partita al Mondiale da almeno 10 tiri liberi segnati e zero canestri dal campo), dimostrandosi un rebus di difficilissima soluzione per la difesa azzurra, con Biligha, Brooks e Gallinari che si sono spesi vanamente su di lui.

L’Italia è riuscita a rientrare sul -8 con le nuove iniziative di Gallinari, Belinelli e Hackett, ma è poi finita rapidamente a -23 prima di un forcing finale che è servito solo a rendere più morbido il passivo finale di -15. E alla fine proprio Raduljica, più di uno Jokic fin troppo nervoso, è stato realmente determinante per il successo serbo insieme a un irreale Bogdan Bogdanovic.

Il giocatore dei Kings ha certificato con la partita di oggi la sua candidatura a MVP della manifestazione: in aggiunta alle percentuali spaziali dal campo - oggi Bogdanovic è diventato il primo giocatore a registrare almeno 30 punti, 5 assist e 5 recuperi in una partita dei Mondiali dal 1994 -, l’ex Fenerbahce si è segnalato finora come il giocatore più dominante e determinante della competizione. La sua importanza all’interno del sistema di gioco costruito da Djordjevic è evidente in ogni possesso: il giocatore visto in questa prima settimana di Mondiale sembra pronto ad elevare il suo rendimento al crescere delle difficoltà.

Quanto all’Italia, il bilancio di questa partita è tutto sommato positivo. Per più di due quarti e mezzo è stata partita vera, e la terza tripla di serata di Belinelli poteva riaprire il match sul -8 in avvio di ultimo quarto. La Serbia ha dovuto vincere la partita, e l’impegno di oggi rappresenta un test attendibile per classificare il livello della squadra di Djordjevic. Questo per merito degli azzurri, che hanno disputato una partita eccellente sotto il profilo mentale, dimostrando di essere squadra vera. Un viatico che dà fiducia in vista di una partita, quella contro la Spagna venerdì, che sarà già da dentro o fuori.

Le parole dei protagonisti

«Complessivamente do una sufficienza perché abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Ma i ragazzi per atteggiamento sono stati ottimi, non posso rimproverargli nulla: adesso dobbiamo ricaricare le pile per la partita di venerdì». Sono queste le parole con cui si è aperta la conferenza stampa post-Serbia di Meo Sacchetti, che ha tracciato un bilancio complessivo della prima settimana iridata qui a Foshan.

Adesso gli azzurri voleranno a Wuhan, dove saranno attesi dal gruppo J della seconda fase: alla Serbia si aggiungeranno la Spagna di Sergio Scariolo e il Portorico, che a fatica ha eliminato la Tunisia. Con due vittorie - e un successo serbo sulla Spagna - gli azzurri saranno certi della qualificazione ai quarti di finale, che renderebbe decisamente ottimo il nostro Mondiale.

«Siamo riusciti a muovere la palla e creare buoni tiri, ma abbiamo sofferto una squadra dal livello superiore al nostro, difficile da marcare fisicamente» ha aggiunto Sacchetti. «È il loro punto di forza, e l’abbiamo sofferto nonostante abbiamo giocato bene». «L’obiettivo era metterli in difficoltà e punirli sui loro errori» le parole invece di capitan Gigi Datome dopo la sfida contro i serbi. «Dovremo concentrarci sulla prossima partita, che sarà decisiva: sono orgoglioso dei miei compagni, saremo pronti per la partita contro la Spagna».

Contro l’Angola, tutto è partito dalla difesa

La sconfitta con la Serbia arriva dopo i successi contro le Filippine (di cui avevamo scritto sabato) e quello con l’Angola. L’avvio contro la squadra africana gli azzurri sono stati un po’ contratti, forse perché hanno avvertito l’importanza della posta in palio - il biglietto per il Preolimpico - e anche perché l’Angola aveva preparato bene la sfida, impedendo sistematicamente all’Italia di andare rapidamente in transizione e impostando la sfida su ritmi molto bassi in avvio.

A sbloccare gli azzurri, come spesso accade, è stato Daniel Hackett, che insieme a Paul Biligha ha “guidato” anche difensivamente una squadra molto aggressiva, sempre attenta alla possibilità di intercettare ogni linea di passaggio e di privare l’avversario di un costante punto di riferimento, operando cambi di marcatura continui.

Con Biligha limitato però da problemi di falli, l’Italia ha mantenuto certe caratteristiche anche per l’ottimo apporto di Jeff Brooks, nominato MVP del match dalla FIBA. Il nativo di Louisville ha continuato a fornire quella solidità difensiva tanto ricercata da Sacchetti in preparazione, necessaria per attenuare lo svantaggio di stazza che gli azzurri pagano nei confronti delle avversarie più blasonate (come dimostrato anche con la Serbia).

La presenza di Brooks si è fatta sentire anche in attacco.

Offensivamente, invece, gli azzurri avevano continuato a mostrare certe caratteristiche già viste contro le Filippine: su tutte la continua circolazione di palla, aperta alla possibilità di un extra-pass e del migliore tiro possibile. Un atteggiamento partito soprattutto dai giocatori di maggiore talento della squadra, Marco Belinelli e Danilo Gallinari, che per diretta ammissione di Sacchetti nel post-Angola «finora non hanno forzato niente».

Tra Angola e Serbia Belinelli, poi, ha raggiunto un ulteriore traguardo della sua lunga carriera azzurra: il quarto posto nella lista dei migliori marcatori di tutti i tempi della Nazionale italiana, superando Renzo Bariviera - due volte bronzo europeo negli anni ‘70 - e il leggendario Pierluigi Marzorati.

Diario da Foshan: la visita di Marcello Lippi

L’avvicinamento alla partita contro l’Angola era stato segnato dall’incontro degli azzurri con Marcello Lippi, invitato dalla Federazione Italiana Pallacanestro a Foshan a seguire la sfida con le Filippine e poi, nella giornata successiva, a salutare gli azzurri condividendo con loro aneddoti e racconti delle sue esperienze da CT azzurro.

https://twitter.com/ennioterbo/status/1168007416425766913

Lippi, tornato a fine maggio nel ruolo di commissario tecnico della nazionale cinese dopo il breve interregno di Fabio Cannavaro, ha sottolineato la serenità e la “pulizia mentale” che ha trovato nella squadra azzurra: «Al di là del grande scarto finale, contro le Filippine ho visto il carattere e la volontà di ognuno di mettersi a disposizione del compagno con generosità. In queste grandi manifestazioni è importante vincere le prime partite per avere maggiore fiducia in se stessi e continuare a lavorare con serenità».

L’allenatore dell’Italia Campione del Mondo nel 2006 ha poi evidenziato alcune analogie col ct Sacchetti: «Ci accomunano alcuni tratti caratteriali: conosce il valore della Maglia Azzurra e riesce a trasmettere ai ragazzi le emozioni che solo rappresentare l’Italia può dare. Non c’è nessun paragone con manifestazioni di club, e non essere al 100% della condizione alla prima partita può essere un vantaggio, perché è importante esserlo alla terza-quarta partita, più in avanti del torneo. Le qualità, tecniche e morali, ci sono, in un Mondiale può succedere tutto: perché non crederci, perché mettersi dei limiti?».

Lippi si era intrattenuto poi con vari giocatori azzurri, su tutti Gigi Datome e Luca Vitali: «Gli ho chiesto come si gestisce un gruppo durante una competizione come un Mondiale», ha detto il play di Brescia. «In particolare mi interessava il suo rapporto con Del Piero, giocatore che ho sempre tifato anche perché era molto bersagliato durante la sua carriera in azzurro».

Diario da Foshan: il Mondiale di Serbia, Angola e Filippine

Con la sfida tra Italia e Serbia è calato il sipario anche sul gruppo D di Foshan, il meno equilibrato della prima fase iridata: nelle prime quattro partite, prima degli scontri diretti dell’ultima giornata, lo scarto medio è stato di 46.5 punti. Nulla a che vedere con il maggiore equilibrio e spettacolo degli altri gironi; Foshan sarà ora sede del girone della seconda fase con Polonia, Venezuela, Argentina e Russia.

Nei sei giorni trascorsi a Foshan abbiamo avuto modo di osservare dettagliatamente il lavoro di altre tre nazionali oltre all’Italia: Serbia, Angola e Filippine. Questo grazie al "cerimoniale" della FIBA che permette un sostanzioso accesso alle squadre, tra zona mista e conferenze stampa dopo il match o allenamenti in parte visibili con media availabilities. Prevedibilmente nutrita la delegazione dei media filippini, con la nazionale seguita sugli spalti anche da un buon numero di tifosi che non hanno smesso di incitare la squadra nonostante le pesanti sconfitte contro Serbia e Italia, mostrando il loro affetto anche nei momenti di riposo recandosi nell’albergo che ospita tutte le quattro delegazioni. Meno affollata, invece, la delegazione al seguito dell’Angola, comunque rappresentata sugli spalti da più tifosi di quanto sarebbe normale attendersi.

La più nutrita, però, è la delegazione dei giornalisti serbi, i più presenti qui nel Guangdong. Reporter che però non hanno trovato una grande disponibilità da parte della propria nazionale, piuttosto restia nel concedere dichiarazioni e voci dei protagonisti sul parquet: un nome su tutti è quello di Nikola Jokic, mai concessosi ai giornalisti, con grande disappunto dei suoi connazionali.

Proprio la Serbia è indubbiamente la nazionale che finora ha impressionato di più sul parquet. Concentrata e coesa, la truppa di Djordjevic vista in queste prime partite è apparsa indubbiamente come la favorita numero uno per la vittoria finale, al netto del tasso tecnico delle avversarie. Visto lo strapotere dimostrato in campo ci si sarebbe potuti attendere una sorta di "rilassamento" a risultato acquisito, ma un ulteriore merito da riconoscere al coach della Virtus Bologna è quello di tenere la soglia dell’attenzione sempre elevata, anche quando il vantaggio sull’avversario è più che netto.

Più volte, contro Angola e Filippine, Djordjevic non ha esitato a chiamare timeout o sostituzioni "punitive" nel caso in cui l’atteggiamento profuso sul parquet non fosse il migliore possibile. La Serbia è molto forte, forse “troppo”. In primis perché consapevole di esserlo: si ha la sensazione, gravitando loro attorno, di una squadra che potrebbe peccare di over-confidence al primo avversario di livello pari al loro.

Quello che poi finora è stato il punto di forza dei serbi - la fisicità superiore alle altre squadre - potrebbe rivelarsi anche il punto di debolezza, al primo avversario di livello che capiterà sulla loro strada. Un punto focale potrebbe essere la rotazione corta sugli esterni, motivo per cui Djordjevic sta centellinando i minuti di un Bogdanovic comunque in forma smagliante.

Cala il sipario quindi su questi primi giorni in Cina, con due parole che vanno spese per la città di Foshan, parte integrante di una delle regioni più produttive del paese, il Guangdong. Con una distinzione netta tra la parte più storica e quella più moderna, l’impressione è quella di una città che ha perso la sua natura storica con una cementificazione che ha portato costruzioni nuovissime - e spesso belle - ma dall’anima ridotta. Siamo andati alla ricerca della “vera” Foshan, ad esempio quella che era nei pressi del nostro alloggio, e in parte pensiamo di averla trovata, ma non del tutto. La curiosità è ora rivolta a Wuhan, città più grande (10 milioni di abitanti contro 7) e appartenente a una provincia diversa, quella di Hubei, con la presenza importante a livello territoriale dei fiumi Yangtze e Han.

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