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Giorgio Di Maio
I tre atti di Italia-Serbia
26 nov 2023
26 nov 2023
All'Italia è riuscita un'impresa.
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Giorgio Di Maio
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Foto di Mathias Schulz / IMAGO
(foto) Foto di Mathias Schulz / IMAGO
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Il tennis è uno sport che, forse più di altri, si presta al racconto, e Italia - Serbia nel suo svolgimento ha ricordato parecchio la struttura in tre atti tipica del cinema e dei racconti in generale. In una giornata da far saltare le coronarie, l’Italia si è presa di forza la finale di Coppa Davis, battendo la Serbia di Novak Djokovic al doppio decisivo e confermandosi, in qualche modo la bestia nera dei serbi in tutti gli sport degli ultimi anni.

Trascinata da un Jannik Sinner extralusso, l’Italia ha ribaltato il primo singolare perso da Musetti e ha spezzato il sogno di Djokovic, che sperava di chiudere la stagione con un trionfo in Davis che manca dal 2010. Un romanzo in tre atti con protagonista il numero quattro del mondo e in cui, in più momenti, siamo stati a un passo del baratro. Con l’Australia non sarà una finale semplice, ma è importante godersi il culmine di un percorso iniziato da tutto il tennis italiano anni fa.

Kecmanovic b. Musetti 6-7(8) 6-2 6-1

La scelta del secondo singolarista era stato il tema più discusso della vigilia di Italia - Serbia. Va ricordato che Sinner-Djokovic era un confronto obbligato da regolamento, quello tra i due numeri uno. Per l'altra partita Volandri aveva a disposizione diverse soluzioni, ma nessuna particolarmente convincente o migliore dell'altra.

Andare di nuovo con Arnaldi, apparso però un po’ troppo immaturo per questo palcoscenico contro Botic Van de Zandschulp, oppure dare fiducia a un Lorenzo Musetti in crisi di risultati? Una possibilità sarebbe potuta essere anche Lorenzo Sonego, che però ha avuto qualche fastidio fisico e in caso avrebbe dovuto fare singolare e doppio. A livello tecnico-tattico il tennis aggressivo ma falloso di Arnaldi avrebbe potuto patire la regolarità e l’aggressione di Kecmanovic, d'altra parte Musetti non è mai stato a proprio agio su cemento, e veniva da quattro sconfitte consecutive su quella superficie.

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La scelta di Musetti però era invitante: era in vantaggio nei confronti diretti con Kecmanovic per 2-0, e il suo gioco ricco di variazioni si incastra bene con la prevedibilità del serbo. Almeno in teoria. La scelta di Volandri capitano è sembrata pagare nel primo set. Dopo un pessimo inizio Musetti è stato bravo a rimontare, sfruttando anche un calo di tensione di Kecmanovic al momento di chiudere, una prassi per chi segue il serbo durante le sue partite nei tornei ATP. La sfida però è stata una summa dei soliti problemi del tennis di Musetti. Un primo set vinto di pura classe ma giocando un tennis insostenibile, sempre con i piedi sui pressi della scritta DAVIS CUP e trovando vincenti da posizioni complicate. Un modo di giocare che può farti vincere dei punti impossibili, ma che sul lungo periodo ti consuma mentalmente e fisicamente. E così è avvenuto: Musetti si è sciolto nel secondo set dopo una facile volée sbagliata su palla break e nel terzo set si è addirittura infortunato a partita ormai compromessa.

Kecmanovic ha espresso il suo miglior tennis, come gli era già capitato nei quarti contro Jack Draper, producendo una delle sue migliori partite da quei magici due mesi di inizio 2022 in cui aveva fatto quarti di finale a Miami e Indian Wells, giocando una sfida alla pari con Alcaraz in Florida. Musetti però gli ha concesso di giocare il tennis a lui più congeniale, non riuscendo mai a prendere il comando degli scambi e giocando una partita sostanzialmente di rimessa, sempre in balia del gioco ordinato e ripetitivo del tennista serbo. Le ampie aperture del tennis di Musetti non gli permettono di controllare lo scambio, di essere offensivo, di colpire in anticipo. Un problema che sul veloce diventa ancora più evidente. In questo periodo non è nemmeno in fiducia, e si riduce a giocare metri lontano dalla linea di fondo, compromettendo tutta la struttura del suo gioco. L’anno prossimo sarà importante da questo punto di vista, e si spera che l’arrivo di Barazzutti possa aiutarlo anche da questo punto di vista.

Sinner b. Djokovic 6-2 2-6 7-5

La sfida tra Jannik Sinner e Novak Djokovic era l'ultimo atto di una trilogia invernale. Il tennista italiano arrivava con la pressione ulteriore del dentro-fuori, complice la sconfitta di Musetti, mentre Djokovic arrivava con la seraficità di chi non perde in Coppa Davis (eccetto ritiri) dal 2009 e ha una striscia aperta di ventuno vittorie consecutive. Sinner in più aveva perso in maniera netta l’ultima sfida disputata, la finale delle ATP Finals, in cui Djokovic aveva confermato ancora una volta la sua intoccabilità. Tutte queste percezioni però possono essere anche ribaltate: Sinner aveva una bella occasione davanti, di diventare eroe nazionale - compiendo l'impresa più impossibile - senza che nessuno glielo chiedesse davvero in quel momento. Da grande giocatore, ai microfoni si era detto contento di avere di nuovo l'occasione di affrontare Djokovic, per la sua crescita.

Sinner produce un primo set di altissimo livello, mostrando l’aggressività da fondo che gli aveva permesso di battere Djokovic proprio alle Finals. Il serbo, reduce da una partita spaziale con il malcapitato Norrie, parte col freno a mano tirato e sembra letargico nei movimenti, mollando il primo set senza colpo ferire. Sinner sembra andare a una velocità differente in tutti i colpi, ma nel secondo set il serbo si sveglia ed entra in ritmo, prendendo il comando degli scambi e approfittando di un Sinner che è costretto a fare gli straordinari per fare il punto. Nel terzo set Sinner si rialza ma al servizio dà sempre l’impressione di dover fare qualcosa in più per non subire il break. In particolare sulla seconda, che è costretto a tirare alla Medvedev (cioè forzandola molto), che gli costa qualche doppio fallo ma che altrimenti sarebbe facile preda del serbo.

La storia però si consuma nel decimo game del terzo set, quello in cui Djokovic risponde per vincere il match. È 0-40, tre match point, il più forte ribattitore del mondo e della storia per chiudere il match che porterebbe la Serbia a una finale in cui sarebbe favorita. Solo tre volte Djokovic aveva perso la partita da match point sopra, l’ultima addirittura nel 2018 con la finale del Queen’s persa contro Marin Cilic. I tifosi serbi in tribuna sono tranquilli, agitano carote per sfottere Sinner. Eppure Sinner non sembra troppo interessato all’aura di Djokovic, e con coraggio annulla tre match point consecutivi. La psiche del serbo sembra turbata, ma come, lui? L’uomo che ha fatto piangere l’intero Centrale di Wimbledon? Eppure succede.

Djokovic gioca un game tremebondo e Sinner, con la sicurezza di chi si è appena salvato dal baratro, si prende il break decisivo tornando a martellare con il dritto. È la decima vittoria per Sinner nel 2023 contro un top5; è il primo di sempre a riuscirci al di fuori di Djokovic e Nadal, a testimonianza ulteriore dei suoi progressi. Il primo tennista italiano da Pietrangeli a battere il numero uno del mondo in Coppa Davis (contro Neale Fraser nel 1960). Alla stretta di mano il tennista serbo sembra scosso, è scuro in volto e dà l’impressione di essere sull’orlo di una crisi di nervi. La Coppa Davis nell’ecosistema tennistico conta meno delle ATP Finals, ma uno come Djokovic probabilmente baratterebbe volentieri questa partita con la finale di Torino.

Sinner/Sonego b. Djokovic/Kecmanovic 6-3 6-4

Il doppio è uno sport misterioso, con le sue peculiaritàà e sempre precario da collocare. Snobbato durante l’anno da tutti i singolaristi decenti, se non in qualche comparsata più per giocare in amicizia che per competizioni, e diventato il regno di chi non ha mai sfondato in singolare o che prova a ritagliarsi un’altra carriera in età avanzata. Dalla scellerata riforma Haggerty il doppio è diventato cruciale in Davis, diventando pesantissimo per la vittoria finale. L’Italia lo sa bene, dato che l’anno scorso è uscita in semifinale per colpa di un doppio giocato con Berrettini in condizioni precarie, e anche nel 2021 era uscita di scena con la Croazia perdendo contro i fortissimi Mektic/Pavic. Quest’anno l'Italia ha però inaspettatamente trovato una grande coppia, Sonego-Sinner, con cui era riuscita già a battere uno specialista come Koolhof, ex numero uno del mondo, e Griekspoor.

Quando torna la Davis torna anche una domanda atavica: è più forte una coppia fatta da due singolaristi forti ma che non giocano mai o due specialisti?

Nella sfida Italia Olanda è stato paradossalmente lo specialista ad andare in crisi, con Koolhof che non sapeva minimamente cosa fare con le risposte di Sinner.Prendiamo Sonego, che pure ogni tanto gioca (bene) il doppio con l’amico Andrea Vavassori. Se Sonego, che è un buon tennista in singolo ma non certo eccezionale, si dedicasse a tempo pieno al doppio forse potrebbe raggiungere vittorie Slam e posizioni importanti in classifica, e questo vale per tantissimi tennisti in top100 di singolare con buone attitudini di rete e risposta.Sinner ad esempio non sarebbe un tennista formato per il doppio per caratteristiche, ma tira talmente forte e con una tale precisione da fondo campo e in posizione offensiva che nessuno specialista è in grado di fronteggiare.

Il doppio serbo è invece l’esempio di come due singolaristi a volte non riescano ad essere la somma delle proprie parti ma diventano una sottrazione. Uno Djokovic nervosissimo per le scorie del singolo, non è riuscito a fare la differenza in risposta, ostinandosi a giocare le traiettorie del singolo. Kecmanovic spaesato nei pressi della rete e che da fondo campo non è mai riuscito a uscire dalla diagonale. Una questione di caratteristiche dei singolaristi, anche se Djokovic è migliorato molto nei pressi della rete ma non ha comunque l’attitudine alla copertura nel doppio. Una scarsa affinità che è costata l’eliminazione alla Serbia, che ha reagito di rabbia nel secondo set ma che ha sofferto sia le bordate di Jannik che l’ottima copertura della rete di Sonego. Sono dettagli, che però in doppio fanno la differenza tra un passante giocato a campo spalancato, come è successo nel primo set, e un uomo a rete che entra a chiudere il punto. Ci sono stati dei momenti in cui i tennisti serbi erano tutti e due dallo stesso lato senza costrutto, somigliando più a un gruppo di sgangherati amatori che un doppio professionistico. Sinner e Sonego hanno invece raccolto i frutti di un'intesa che si coglie facilmente nei sorrisi e negli abbracci reciproci. Un'intesa che somiglia tanto a un'amicizia.

È ironico ma anche romantico, allora, che l'Italia abbia raggiunto la storica qualificazione in Coppa Davis grazie al doppio - il proprio tallone d'Achille. È l'ottava finale di Davis per l'Italia, la prima però dal 1998. La sfida contro la Svezia che aveva permesso tanti italiani di appassionarsi al tennis grazie alla diretta in chiaro sulla Rai, e a delle sfide epiche. Contro l’Australia guidata da De Minaur sarà una sfida non semplice, in cui però l’Italia parte favorita. Innanzitutto per la grande tradizione che si porta dietro con De Minaur (5-0 nei confronti diretti, un solo set perso). I problemi, in teoria, si concentreranno nel secondo singolare, con il mercuriale Alexei Popyrin, e nel doppio, dove l’Australia vanta una coppia collaudata e di alto livello come Purcell/Ebden. Una sfida forse meno semplice di quanto si dica, ma comunque alla portata, contro una nazione che ha approfittato di un tabellone semplice per centrare la seconda finale di Coppa Davis consecutiva. Un modo anche per provare a ribaltare una tradizione estremamente negativa proprio con gli aussies, nazione storica del tennis ma che nonostante le due finali di Davis non sta vivendo un momento floridissimo. L’Italia ha perso tre delle sue sette finali proprio con l’Australia, l’ultima nel 1977. Indipendentemente da come andrà la finale, ci resterà impresso il modo in cui Jannik Sinner è riuscito a prendere in mano l'Italia in questa sfida di Davis, riuscendo a battere per due volte in poche ore - tra singolo e doppio - il numero uno al mondo, uno dei più forti giocatori della storia, e sicuramente un avversario che tiene molto al simbolismo del tennis per nazioni. Non male per un tennista che, secondo qualcuno, non tiene davvero alla maglia azzurra.

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