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Mauro Mondello
Da dove vuole ripartire l'Italia del Rugby
02 feb 2024
02 feb 2024
Ricomincia il Sei Nazioni, e l'Italia ha cambiato ancora guida tecnica.
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Mauro Mondello
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Franz-Josef Murau, il protagonista di Estinzione, l’ultimo romanzo pubblicato dall’austriaco Thomas Bernhard, poco prima di morire, è tormentato, dilaniato dal suo passato. Vive a Roma, in auto-esilio, cercando di far dimenticare, agli altri e a sé stesso, le sue origini viennesi e un’identità familiare che odia e da cui cerca di affrancarsi, in maniera grottesca, compulsiva e tragica, senza però mai riuscirci. In un passaggio decisivo del suo resoconto, Murau racconta al giovane Gambetti, suo studente di tedesco: «A volte penso a Wolfsegg e mi dico che non mi resta che tornarci, per ritrovare la mia infanzia. Eppure, questo si è sempre rivelato un grosso errore. Vedrai i tuoi genitori, mi sono detto spesso, i genitori della tua infanzia, ma tutto ciò che ho invece sempre trovato è un vuoto immenso.[…].Tutto ciò che vedi quando guardi indietro è un vuoto immenso. Non solo la tua infanzia, ma tutto il tuo passato è un vuoto immenso. Ecco perché è meglio non guardare indietro. Devi capire che non devi guardare indietro[…]. Ogni volta che guardi indietro, al passato, stai guardando un vuoto immenso. Anche ieri è un vuoto immenso, anche il momento appena trascorso».

È con questo spirito, con questa speranza un po’ angosciosa, che l’Italia di rugby ricomincia, per l’ennesima volta, il suo percorso di ricostruzione. Come il Murnau di Bernhard, la nazionale italiana di rugby si trova nella silenziosa disperazione di chi deve provare a non guardarsi indietro, a convincersi che quel sogno perfetto di successo a cui ci si era abbandonati è ormai lontano, disintegrato; e allora, per forzare il futuro, bisogna trascinare via ogni cosa. È in questa direzione, nell’idea di liquidare senza strappi, ma con decisione, la gestione Crowley, che va letto l’arrivo di Gonzalo Quesada sulla panchina della Nazionale italiana. Il primo allenatore argentino nella storia ovale azzurra non può cancellare il passato, ma sa benissimo che l’obiettivo a lungo termine è quello di un reset completo, l’ “estinzione” di un modo di “pensare all’indietro” per cui nel rugby italiano si tende sempre a rimuginare sull’occasione persa un minuto prima, e non su quella che si ripresenterà un minuto dopo.

L’Italia che vedremo al Sei Nazioni non sarà ancora la Nazionale del futuro, anzi lo sarà pochissimo, ma dovrebbe tornare a concentrarsi su un impianto di gioco più ortodosso rispetto a quello visto con Kieran Crowley. La sensazione è che Quesada, che ha lavorato a lungo con grandi club del campionato francese e che è famoso per il suo blend che combina intensità emotiva e strategia tattica, voglia ripartire da strutture di sviluppo delle fasi più pragmatiche. L’ex tecnico dello Stade Francais, che è laureato in economia e ha vestito la maglia numero 10 dei Pumas per 38 volte (segnando 486 punti) cercherà di mantenere lo spirito d’attacco che ha contraddistinto, in positivo, l’era Crowley, provando però a innestarvi un approccio non oltranzista, più versatile, invitando la regia della squadra a scelte di gioco meno manichee. Se è vero, infatti, che il XV italiano negli ultimi tre anni si è contraddistinto per il suo gioco divertente e spettacolare, non bisogna dimenticare che a livello internazionale il Sudafrica campione del mondo ha dimostrato come il possesso del pallone non sempre sia la chiave per la vittoria. Gli Springboks, contro ogni pronostico, hanno sconfitto i padroni di casa della Francia nei quarti di finale del mondiale di Ottobre 2023 tenendo il pallone soltanto per il 37% del tempo, una dinamica ripetuta anche in finale contro gli All Blacks: 40% di possesso dell’ovale.

La partita dell'Italia al mondiale, contro l'Uruguay, rappresenta bene come la scelta di attaccare sempre e comunque, da ogni zona del campo, per quanto lodevole a volte, nell'ultimo triennio, abbia tolto lucidità della gestione della gara da parte degli azzurri. Qui l'Italia alla fine porta il risultato a casa, ma forse un piano di gioco più strutturato avrebbe permesso di esaltare in maniera meno caotica la netta differenza tecnica fra le due squadre in campo. Su questo, soprattutto, lavorerà Quesada.

Il rugby moderno sta insomma cambiando in maniera radicale l’idea di dominio delle fasi di gioco e per questo Quesada si concentrerà sulla costruzione di un’identità che, senza rinunciare al grande talento d’attacco dimostrato dall’Italia, punti in maniera più decisa sulla difesa, sul rafforzamento della mischia chiusa e su un utilizzo più speculativo del gioco al piede. Guardando alle statistiche del Sei Nazioni 2023, l’Italia è la squadra che ha calciato meno, che ha distribuito più passaggi e che è ripartita più volte alla mano dalla propria linea di 22 metri. Numeri interessanti, che testimoniano il coraggio e la creatività della squadra italiana, ma che non si sono tradotti in risultati. La squadra azzurra ha chiuso il torneo dello scorso anno con cinque sconfitte e il maggior numero di mete subite, ventidue. Ripartire dai fondamentali diventa allora una priorità e proprio su questo Quesada vorrà lavorare: sul gioco a terra, sulle touche, sulla compattezza difensiva, sulla battaglia aerea, sulla ricomposizione di una mischia chiusa che negli ultimi anni ha sofferto contro tutti. Insomma, la gestione Quesada dovrebbe riportare l’Italia a una gestione del pallone più conservativa nella propria metà campo, a dinamiche difensive più strutturate e a fasi di gioco statiche contraddistinte da maggiore solidità. Dunque meno creatività e più sicurezza, nella speranza, in questo modo, di potersi mantenere in partita più a lungo e di poter sfruttare il potenziale offensivo, che resta altissimo, in maniera più calibrata e razionale.

Se è lecito immaginarsi che alcuni cambi sostanziali nel piano di gioco dell’Italia saranno visibili da subito, già all’esordio contro l’Inghilterra sabato 3 febbraio a Roma, alle ore 15.15, non ci sono invece dubbi sul fatto che, in termini di formazione, verranno mantenute, almeno all’inizio, scelte in perfetta linea con gli ultimi XV schierati da Kieran Crowley all’ultimo Mondiale e al Sei Nazioni scorso.

Da una parte Quesada ha avuto solo poche settimane per lavorare con il gruppo e stravolgerne i fondamentali anche per quello che riguarda gli ingranaggi basici di intesa in campo sarebbe stato un rischio troppo grande. Dall’altra, bisogna considerare che il gruppo azzurro che il tecnico argentino si è trovato in mano è stato costruito con lo sguardo alla coppa del mondo 2027 e per questo Quesada si trova una squadra dove gran parte dei giocatori naviga tra i 23 e i 27 anni: la più grande eredità lasciata da Crowley, che sul rinnovamento della rosa(ma anche su tante altre cose, su tutte sulla consapevolezza di potersela giocare con tutti che ha trasmesso al gruppo) ha fatto davvero un lavoro strepitoso. Quello azzurro non è quindi un insieme di giocatori anziani da rifondare, ma una rosa di ragazzi che ha già accumulato, nonostante la giovane età, un buon bagaglio d’esperienza. Per questo i volti nuovi che si stanno affacciando alla squadra e verso i quali c’è grande curiosità, su tutti il terza linea del Benetton classe 2000, Alessandro Izekor e il ventunenne flanker di Exeter nato in Sudafrica ma con madre italiana, Ross Vintcent, dovranno aspettare con pazienza il loro turno e giocarsi il posto con compagni solo di qualche anno più grandi: Lamaro, i due Cannone, Edoardo Iachizzi e Manuel Zuliani. Qualche speranza in più di vedere subito delle facce nuove c’è invece in prima linea, dove, complici anche gli infortuni di Nemer e Riccioni, Quesada ha da subito inserito degli esordienti: contro l’Inghilterra potrebbe raccogliere il suo primo cap Mirco Spagnolo, ventitreenne padovano che sta bruciando le tappe e che si è imposto come una delle rivelazioni più interessanti del fantastico avvio di stagione del Benetton Treviso.

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