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L'eterno problema tra i giovani e l'Italia
20 apr 2022
20 apr 2022
Perché per i talenti italiani è così difficile emergere?
(articolo)
18 min
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Dal fischio finale di Italia-Macedonia del Nord sono partiti gli stessi processi e discorsi gattopardeschi che ci avevano accompagnato nel 2018 dopo la sconfitta con la Svezia. Promesse di rivoluzioni, sconvolgimenti che rinnoveranno tutto il movimento del calcio italiano. «Verrà costituito un gruppo permanente di lavoro della Serie A. Verranno proposte riforme che vadano oltre la Serie A. Il tema non è la Nazionale, ma l'intero sistema. Il gruppo di lavoro lavorerà sul movimento giovanile e su come i giovani vengono formati». Sono parole di inizio inizio aprile di Lorenzo Casini, Presidente della Lega Serie A. Pochi giorni dopo ha parlato anche Gabriele Gravina, Presidente della FIGC: «Le regole per favorire i giovani calciatori nella Lega A già esistono, ma è ancora poco rispetto ad altre realtà a livello internazionale. Spero che ogni protagonista nel proprio ambito possa assumersi le proprie responsabilità».

Gravina era Presidente anche nel 2018, era stato appena eletto e aveva detto: «C’è un piano strategico per arrivare in tempi rapidi a una nuova concezione del calcio. Un calcio più equo e sostenibile, il calcio della collettività e non dei singoli interessi. Come detto si parte dalla base, dai giovani, ma anche da una riqualificazione etica e morale. Vogliamo dare subito una scossa». L’allora Presidente della Lega Serie A Gaetano Miccichè su cosa poteva fare la Lega invece aveva detto: «Può stimolare i propri associati, che sono le 20 squadre di serie A, a utilizzare con più frequenza e coraggio i giovani che arrivano dai vivai».

La scossa però non era arrivata visto che non c’è stata nessuna grande riforma strutturale del sistema calcio, nessuna azione concreta per favorire lo sviluppo in Serie A di giovani talenti dei vivai italiani. Mancini, appena scelto come CT, aveva scelto di convocare subito un diciannovenne Nicolò Zaniolo, prima ancora del suo esordio in Serie A. Era sembrato un messaggio programmatico, una decisione rivoluzionaria, ma è rimasta la singola mossa estemporanea fatta da un allenatore.

A livello strutturale l’unica vera novità era stata la possibilità data alle squadre di Serie A di fondare una seconda squadra (chiamata “under 23”), già presente in molti dei maggiori campionati europei. L'idea era di facilitare l’inserimento dei giovani aggiungendo uno scalino ulteriore tra Primavera e prima squadra utilizzando le seconde squadre nei campionati di Serie C. È un sistema che esiste in Spagna, Germania e Inghilterra, che consente ai club di sviluppare in casa i propri giovani, ammorbidendo l'impatto col professionismo e curando anche lo stile di gioco e il minutaggio. In più, i giocatori dell'Under 23 sono sempre a disposizione per allenamenti o emergenze in rosa per infortuni e squalifiche della prima squadra. Per vari motivi - di natura soprattutto economica - questa possibilità è stata colta solo dalla Juventus, che però oggi non ha in rosa nessun calciatore passato in Under 23 nei quattro anni della sua esistenza. Solo lo scorso anno con Pirlo in panchina qualcuno di loro è riuscito a fare qualche presenza in prima squadra.

Cosa deve fare un giovane per giocare in Serie A?

Tra le lamentele post-eliminazione, una delle più significative è arrivata da Paolo Nicolato, il CT dell’Italia Under 21, quello che dovrebbe essere il nucleo da cui pescare già per le prossime qualificazioni. Nicolato aveva fatto presente lo stato dell’arte: «È ora di trovare una soluzione a una situazione che siamo destinati a subire come calcio italiano. Siamo partiti da una Under 21 che aveva giocatori di Serie A, ora non ci sono più giocatori a disposizione, tra poco andremo a cercarli in Serie C». La Nazionale del futuro prossimo, quindi, nascerà con giocatori che a 21 anni ancora non giocano in Serie A. Dei 27 convocati da Nicolato per le ultime partite di qualificazione all’Europeo di categoria solo 12 fanno parte di una rosa di Serie A. Per chiarezza: nella Nazionale maggiore convocata da Mancini per lo spareggio solo Sandro Tonali e Giacomo Raspadori erano convocabili da Nicolato.

Prendendo in considerazione i giocatori italiani nati dopo il primo gennaio 2001 (veri Under 21 quindi), sono 16 quelli ad aver giocato almeno 100 minuti totali in Serie A (quindi più di una presenza cumulata) in questa stagione a metà aprile. Ma parlando di chi gioca con continuità, quelli che hanno superato i 1000 minuti in campo sono solo 5: Andrea Carboni del Cagliari, Destiny Udogie dell’Udinese, Nicolò Rovella del Genoa, Mattia Viti dell’Empoli e Samuele Ricci con l’Empoli (da gennaio col Torino ha giocato finora 261 minuti).

L’aspetto più preoccupante, in ottica Nazionale, è che nessuno di loro cinque è un attaccante. Proprio nel momento storico in cui è necessario un ricambio generazionale in quel ruolo, per una Nazionale che ha mancato due qualificazioni consecutive non riuscendo a fare un gol in due spareggi diversi. Tra gli attaccanti i 1000 minuti li avrebbe superati probabilmente Kelvin Yeboah, arrivato al Genoa solo a gennaio, e che finora ha giocato 611 minuti, senza però mai segnare. Yeboah è uno dei titolari della Nazionale Under 21, mentre gli altri due attaccanti convocati da Nicolato, Lorenzo Lucca e Lorenzo Colombo, giocano entrambi in Serie B e da gennaio hanno iniziato a vedere il campo sempre meno, dopo aver iniziato da titolari. Nel 2022 non hanno ancora segnato. Degli attaccanti convocabili da Nicolato (nati quindi dopo il 2000) solo Kean, Pellegri e Raspadori hanno segnato almeno un gol in Serie A nel 2022.

Matteo Ciambelli/DeFodi Images.

Volendo allora allargare il gruppo a tutti i giocatori italiani nati dopo il 2000 (convocabili quindi dall’Under 21) ad aver giocato almeno 1000 minuti in Serie A a metà aprile, si arriva a 12 in totale, dei nati nel 2000 ce ne sono 6: Sandro Tonali del Milan, Giacomo Raspadori del Sassuolo, Fabiano Parisi dell’Empoli, Raoul Bellanova del Cagliari, Andrea Cambiaso e Manolo Portanova del Genoa. Di questi, Tonali con 2229 minuti, Raspadori con 2318 e Bellanova con 2071 sono gli unici ad aver superato i 2000 minuti; Tonali e Raspadori sono anche gli unici due convocati in Nazionale per gli spareggi.

L’Italia non è un paese per giovani e la Serie A non è da meno. Il maggior talento italiano uscito negli ultimi dieci anni, Marco Verratti, è passato dalla Serie B al PSG mentre le squadre italiane erano ferme a chiedersi se valesse la pena investire 12 milioni per un diciannovenne. Verratti chiuse la prima stagione in Francia con 39 presenze: quante ne avrebbe fatte in una grande squadra di A? Negli ultimi dieci anni le cose sono leggermente migliorate: calciatori come Zaniolo, Barella, Tonali e Chiesa hanno trovato allenatori che credevano in loro e hanno colto l’occasione, ma si tratta sempre dell’eccellenza, non della norma. In questo momento ci sono squadre di Serie A, anche di diverso livello come il Milan o l’Empoli, che hanno mostrato di voler puntare sui giovani, ma come abbiamo visto i dati più in generale sono sconfortanti.

José Mourinho, tornato in Serie A dopo anni in Spagna e Inghilterra, in questa stagione ha avuto il coraggio di puntare su due giocatori di 20 e 19 anni, portandoli dalla Primavera a giocare minuti importanti in prima squadra. Zalewski (nato e cresciuto in Italia, ma che ha scelto di giocare con la Polonia) e Felix Afena-Gyan sono in pianta stabile nelle rotazioni della formazione titolare. Qualche minuto è stato dato anche a Edoardo Bove, Cristian Volpato ed Ebrima Darboe. Tra loro, solo Bove e Volpato potrebbero eventualmente giocare con l'Italia.

Affrontiamo quindi l'elefante nella stanza, e cioè l'argomento secondo cui il problema delle squadre giovanili sono i troppi stranieri che tolgono spazio ai giocatori italiani. Aggregando i numeri, però, la proporzione tra italiani e stranieri non è così allarmante. Scrive per esempio Marco Calabresi sulla Gazzetta dello Sport riguardo il campionato Primavera: «Nell'ultimo turno del campionato Primavera giocato prima della sosta, e prima che il dibattito sugli stranieri Under 19 fosse una delle cause individuate per il flop della Nazionale, i giocatori arrivati dall'estero e schierati titolari sono stati 64 su un totale di 198: circa un terzo, in linea con il 33,6% dei giocatori che compongono le rose delle 18 squadre del massimo campionato giovanile». Gli stranieri che hanno giocato titolari nel turno preso in considerazione sono 2,3 per squadra, 8 italiani su 11 partono sempre titolari in primavera.

L'Atalanta, che ha iniziato la sua scalata verso la parte alta della classifica anche grazie al coraggio nel lanciare i giovani del proprio vivaio, oggi ha leggermente modificato modello di gestione e, pur continuando ad avere uno dei migliori settori giovanili del nostro paese, lo usa quasi unicamente come fonte di plusvalenze, con la rosa composta quasi unicamente da giocatori già maturi arrivati da fuori. Per dire: Alessandro Bastoni, il difensore centrale italiano più talentuoso della sua generazione, è cresciuto a Zingonia ma è stato venduto all’Inter appena si è affacciato alla prima squadra. Della rosa attuale dell’Atalanta solo Giorgio Scalvini viene dal vivaio ed è anche l’unico under 21 della rosa dell’Atalanta. Scalvini comunque è un giocatore su cui Gasperini sta puntando: ha superato i 500 minuti in stagione a 18 anni ed è partito titolare in 4 delle ultime 5 partite di Serie A.

A proposito di under 21 schierati titolari nelle ultime partite: nelle ultime convocazioni dell’under 21 di Nicolato non era presente il terzino destro Alessandro Zanoli, schierato per la prima volta titolare da Spalletti nella sfida contro l’Atalanta a causa dell’assenza di Di Lorenzo. Zanoli ha un fisico da corazziere e si è dimostrato prontissimo sia atleticamente che col pallone a interpretare il ruolo come vuole Spalletti.

Certo, una manciata di presenze non basta, ma appena ha avuto l’occasione Zanoli ha mostrato di avere le qualità per giocare in Serie A, con gli alti e bassi del caso partendo dal primo minuto anche contro Fiorentina e Roma. Eppure la scorsa stagione l’ha passata in Serie C al Legnano. Era la prima tra i professionisti dopo aver concluso il percorso della Primavera del Napoli. Non ci sarebbe niente di strano se fosse un giocatore appena maggiorenne come Scalvini, magari ancora non del tutto sviluppato fisicamente, ma Zanoli di anni ne ha 21 e prima della partita di Bergamo aveva raccolto solo le briciole (un totale di 37 minuti in 6 partite). Dovesse la prossima estate andare in prestito per giocare la sua prima stagione da titolare in Serie A, lo farebbe a 22 anni. Perché un calciatore atleticamente e qualitativamente valido come Zanoli deve aspettare così tanto per dimostrare se può stare o meno in Serie A?

Qual è il percorso migliore per lo sviluppo di un giovane

Spesso a questa domanda la risposta del calcio italiano è “chi è forte gioca, non importa l’età” (spesso poi facendo esempi di pochi veri e propri fenomeni promossi titolari prima dei 21 anni in Serie A). La colpa quindi sarebbe dei giovani italiani, che non sono abbastanza bravi, la Serie A come Sparta, dove solo chi riesce a uscire con la pelle del lupo in spalla merita di essere titolare. La soluzione è la gavetta: se non sei un fenomeno, devi partire dalla C, passare dalla B e poi vediamo. Sono, più o meno le parole di Allegri sui giovani della Juventus: «I ragazzi devono fare un percorso perché altrimenti c'è il rischio di perderli per strada: sono pochi quelli che diventano fenomeni a 20 anni, la maturità viene raggiunta sui 25 o 26 anni. Ora tutto è voluto, una volta si faceva la Serie C, poi la B e poi, infine, la A. La crescita deve essere questa, non bisogna inventarsi nulla».

L’idea è che un calciatore uscito dalle giovanili deve dimostrare di dominare nelle serie inferiori se vuole giocare in A, ma questo percorso ha vari problemi: il primo è che spesso inizia alla fine della Primavera, quindi ritarda l’approdo dei giovani al livello più alto, l’altro è che non sembra più un percorso utile, visto che i tecnici italiani sembrano guardare soprattutto alle qualità fisiche, e quelle si possono sviluppare a qualsiasi livello.

Sul piano europeo la UEFA stessa ha istituito la UEFA Youth League, la Champions League giovanile, rivolta a squadre under 19 senza fuori quota. Dopo quell’età c’è il professionismo. Ovviamente non tutti ce la fanno, anzi, magari solo due e tre riusciranno a salire di livello dalla Youth League alla prima squadra, ma il sistema delle seconde squadre permette anche ai calciatori meno forti di svilupparsi meglio a livello fisico e tecnico senza doversi buttare subito in qualche categoria inferiore dove magari non hanno gli strumenti per resistere. Volendo fare un confronto con gli altri campionati più competitivi, i giovani italiani giocano molto meno degli spagnoli e dei francesi, meno degli inglesi e poco meno dei tedeschi: sono 26 gli italiani in Serie A nati dal 2000 ad aver giocato almeno 100 minuti cumulati in questa stagione, contro i 43 spagnoli nella Liga, i 66 francesi nella Ligue 1, i 34 inglesi in Premier League e i 30 i tedeschi in Bundesliga. Forse non a caso, la Spagna e la Francia sono quelle con il sistema delle seconde squadre più oliato e che porta a un rapporto più fluido tra Under 19 e prima squadra. Come detto, però, in Italia solo la Juventus ha una seconda squadra e al momento funziona più come bacino per le cessioni e le plusvalenze che non per accelerare il percorso di crescita dei giovani.

Eppure qualcosa di buono lo avrebbe anche prodotto: dall’U23 della Juventus sono passati due talenti come Nicolò Fagioli e Hans Nicolussi Caviglia, entrambi in Serie B nonostante forse non sfigurerebbero in Serie A. Per Nicolussi Caviglia bisogna dire che un infortunio al crociato ha interrotto la stagione in prestito al Parma in A (dove però aveva giocato solo in Coppa Italia) e ora è tornato alla Juventus U23. Fagioli è uno dei punti fermi dell’Italia Under 21, ma a 21 anni ha giocato appena 20 minuti in Serie A. Quest’anno sta giocando in B con la Cremonese che lotta per la promozione, ma è difficile dire che per il suo sviluppo sia meglio di una stagione in A alla stessa età.

Il bagaglio d’esperienza sicuramente lo aiuterà, ma la questione è che giocare per salire in Serie A, non è lo stesso che giocare per non retrocedere in Serie B, in termini di compagni con cui ci si allena e di avversari da affrontare. È il livello contro cui ci si confronta a portare la vera crescita, e, se è vero che non esiste una ricetta unica nello sviluppo dei calciatori, pensare che partire dal basso sia la cosa migliore per tutti è semplicemente sbagliato. Allegri non è il solo a pensarla così, è solo il portavoce della corrente prevalente del calcio italiano, quella cresciuta quando la Serie A era il miglior campionato del mondo, quando avevamo soldi e idee, e le squadre potevano attirare i talenti migliori da ogni parte. In quel sistema la prassi per i giovani era quella e, visti i risultati portati all’epoca, è normale che una parte dell’opinione pubblica voglia difendere quel modello.

Sviluppare la creatività

Il mondo del calcio però è cambiato rispetto a vent’anni fa, la generazione d’oro è passata con la vittoria del Mondiale 2006 e ormai i vivai italiani si sono impoveriti, mentre il resto d’Europa ha alzato il livello degli investimenti proprio in quel settore. Interi campionati sono diventati specializzati nel produrre ed esportare giovani (Portogallo, Olanda, Belgio e Austria, per rimanere all’Europa), ma anche in Inghilterra e Spagna, campionati paragonabili al nostro, riescono a produrre calciatori come Pedri, Bellingham, Foden, quasi prima titolari in Nazionale che nei loro club, tanto il sistema nazionale ne conosce e segue lo sviluppo. In Italia invece, per ogni Zaniolo che salta l’Under 21 per meriti e fiducia del CT, ci sono dieci Fagioli, che se tutto va bene giocherà la prima stagione in Serie A a 22 anni. Uno dei centrocampisti italiani di maggiore talento potrebbe essere convocato all’Europeo 2024 con alle spalle solo due stagioni piene di Serie A.

Pedri ha esordito con la Spagna a 18 anni, dopo appena mezza stagione, da titolare, nel Barcellona. Certo, anche qui parliamo di un'eccezione visto il talento, ma alla luce del sistema spagnolo sicuramente più significativa delle nostre (Levan Verdzeuli/Getty Images).

Questo non significa che Fagioli dovrebbe giocare titolare nella Juventus oggi, ma spesso arriviamo al paradosso per cui un calciatore di vent’anni non gioca perché non ha abbastanza esperienza, ma non ha esperienza anche e soprattutto perché non gioca. E non gioca perché l’allenatore non si fida del suo talento o meglio non pensa sia il suo compito quello di svilupparlo. Vuole il prodotto finito da cui sa cosa aspettarsi, senza assumersi rischi. È un circolo vizioso, ovviamente, perché gli allenatori sono restii a prendersi rischi perché in Italia hanno un bersaglio dietro la schiena e dopo due sconfitte consecutive sono in bilico, alla terza sono spacciati, alla quarta esonerati. Dovendo sopravvivere in un mondo del genere è difficile avere una visione a lungo termine. Questo, per assurdo, è ancora più vero per le squadre medio-piccole, con poche eccezioni come il Sassuolo, una realtà peculiare da questo punto di vista, con meno pressioni, o l’Empoli, che da diversi anni ha puntato forte sui giovani, anche quando le cose andavano male.

Per le altre squadre, le giovanili sono più che altro fonte di plusvalenze con cui risistemare i conti, mentre in campo vanno i giocatori “di categoria”, considerati più adatti per raggiungere la salvezza. Non è un caso se il movimento italiano fa così tanta fatica a tirare fuori giocatori offensivi di talento, un ruolo in cui non puoi prenderti pause. Uno dei maggiori talenti italiani, Sebastiano Esposito, a 19 anni è andato in prestito al Basilea in Svizzera per giocare. Sempre in Svizzera, è andato Wilfried Gnonto per iniziare la sua carriera da professionista, l’attaccante titolare dell’Italia Under 19. Emanuel Vignato e Matteo Cancellieri, le ali titolari dell’under 21 di Nicolato e due tra i giocatori più creativi a livello giovanile italiano, non hanno raggiunto i 1000 minuti in stagione in Serie A nonostante giochino per due squadre di mezza classifica - e già salve - come il Bologna e l’Hellas Verona.

I giovani sanno che saranno giudicati sulla base dei passaggi che sbagliano, dei dribbling che falliscono, e per i talenti offensivi è difficile lavorare sulla creatività in un contesto del genere. I migliori giovani attaccanti del nostro campionato (Zaniolo e Chiesa su tutti) sono innanzitutto portenti fisici, e poi giocatori che al fisico riescono ad abbinare un’ottima tecnica. La Serie A, quindi, non si fida di responsabilizzare giovani giocatori creativi, ma così facendo ne diventa priva, proprio in un momento storico in cui le grandi squadre d’Europa hanno capito quanto è importante la creatività nei giocatori offensivi per scardinare avversari sempre più atletici.

La mancanza di creatività dell'Italia si è vista prima con la Svezia e poi con la Macedonia del Nord, due squadre di livello inferiore a cui è bastato difendersi bene per impedirci di segnare. L'Italia attuale di Mancini ha conquistato le sue vittorie all'interno di un sistema che ha esaltato i singoli, ma quando ai singoli è stato chiesto di creare fuori dal sistema, non sono arrivati buoni risultati. Cosa dobbiamo sperare per il futuro?

Prendiamo il caso di Fabio Miretti, considerato uno degli under 19 (è un 2003) con maggiore talento creativo e titolare nell’Italia Under 19. Cresciuto come trequartista e da qualche mese arretrato a centrocampo dove tocca più palloni e può meglio gestire i tempi di gioco della squadra sfruttando il suo controllo del pallone e l’occhio per le verticalizzazioni. In questa stagione ha giocato un minuto in prima squadra con la Juventus, dividendosi per il resto del tempo tra l'U23 in Serie C (26 presenze) e la Juventus Under 19 in UEFA Youth League (5 presenze). Si sta confrontando quindi sia contro professionisti di livello più basso che contro i migliori coetanei d’Europa.

Massimiliano Allegri lo ha definito «un ragazzo che conosce il calcio e pronto per stare tra i grandi». Il punto ora è: cosa succederà la prossima stagione? Quanti talenti creativi che dominavano a livello giovanile in Italia sono dovuti passare per la gavetta invece che avere subito l’occasione in Serie A? Penso a Gianluca Caprari che dieci anni fa ha dovuto lasciare la Roma senza avere neanche una stagione a disposizione per dimostrare il suo talento, o a Simone Verdi, cresciuto nel Milan e che solo a 22 anni con l’Empoli ha avuto la sua prima stagione in Serie A. In tempi più recenti c'è l'esempio di Mattia Aramu, che un lustro fa ha lasciato il Torino e ha raggiunto la Serie A solo a 26 anni; Leonardo Morosini che ha avuto solo 4 partite a disposizione col Genoa in Serie A a 22 anni e che poi ha fatto una carriera in Serie B nonostante un evidente talento tecnico. Se la loro carriera è stata al di sotto delle aspettative giovanili non è, forse, solo per la mancanza di talento, ma perché hanno perso anni di sviluppo cruciali usciti dalla Primavera.

Miretti salirà in prima squadra alla Juve, andrà in prestito in una media o piccola di Serie A? Oppure farà un altro anno con la seconda squadra o in prestito in Serie B come successo questa stagione a Fagioli, ma anche ad Alessandro Cortinovis dell’Atalanta e a Gianluca Gaetano del Napoli? Se fosse cresciuto nel vivaio di un grande squadra inglese, spagnola, tedesca o francese, probabilmente la risposta sarebbe una delle prime due opzioni, in Italia, invece, è più facile aspettarsi una delle altre due. Ovviamente è vizioso parlare del singolo caso, e non possiamo dire che Miretti possa già essere un titolare in Serie A. Eppure il non provarlo ci impedisce di saperlo, a noi e a lui, e non è certo la miglior cosa per il suo sviluppo e quindi per quello del calcio italiano e della sua Nazionale.

Certo, per arrivare al prossimo Mondiale c’è ancora tempo, in quattro anni si fa in tempo a tirare su una rosa nuova di zecca, ma uno come Miretti con quanta esperienza ad alti livelli arriverà al 2026, nonostante l’evidente talento? E non dovesse farcela, quanti altri casi come il suo devono passare prima di decidere che forse è il caso di cambiare veramente qualcosa a livello sistemico?

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