
Smaltita la rabbia per un’eliminazione immeritata, condizionata da qualche ingenuità difensiva di troppo – Woltemade, l’avversario più pericoloso, completamente libero sia nel primo che nel secondo gol -, alla fine di questo ciclo dell’Under 21 non resta che sottolineare il percorso, ciò che dovrebbe contare più di tutto nel contesto di un torneo “giovanile” (su quanto sia valida questa definizione per la formula attuale del torneo torneremo più avanti).
L’Italia ha disputato un buon Europeo e si è dimostrata all’altezza di avversarie superiori come Germania e Spagna. Lo ha fatto, magari, senza nomi altisonanti sulla carta, ma con un gioco che alla fine ha dimostrato lo spessore di alcuni nostri prospetti.
Le squadre italiane, quando si trovano in condizione di inferiorità, di solito provano a giocarsela su direttrici ben consolidate, fatte di 3-5-2 e gioco meccanico. Era la formula con cui Spalletti voleva compensare la mancanza di talento ed era anche l’idea del precedente ciclo dell’Under 21 di Nicolato. Nunziata ha scelto una strada leggermente diversa, una squadra con un’organizzazione peculiare.
Rispetto alla sua Under 20, questa Under 21 era un’Italia che pensava di più a difendersi e a contrattaccare (anche se non sono mancate le fasi di pressing alto); nel momento in cui aveva il possesso, però, l’Italia faceva avvicinare i giocatori offensivi per provare a creare qualcosa in maniera più spontanea. Il che ci ha permesso di apprezzare meglio il talento di alcuni, mai ridotti ad armi tattiche o a semplici esecutori di meccanismi: Baldanzi nella prima gara, Casadei nella seconda, Koleosho e Ambrosino ieri sera. Non è bastato ma non era scontato riuscire a competere così: alla vigilia, probabilmente, questa era la Nazionale Under 21 sulla quale riponevamo meno aspettative da almeno dieci anni, da quella generazione piuttosto anonima degli Europei del 2015 in cui gli unici a spiccare erano Belotti e Berardi.
L’Europeo Under 21 dovrebbe essere l’ultimo gradino verso la Nazionale maggiore, è questo il senso ultimo del torneo, non tanto la vittoria. Cosa dobbiamo aspettarci quindi dai giocatori che componevano questa Nazionale?
Ci sono alcuni paradossi che sembrano circondare questo gruppo di giocatori – in mezzo al migliaio di paradossi che avvolgono il calcio italiano in generale. Primo fra tutti, quello sul loro minutaggio e sulla loro categoria d’appartenenza. «La squadra ha fatto una grandissima partita. Loro giocano tutti in Bundesliga, chiunque ci dava per sconfitti, ma loro la palla l’hanno vista poco», ha detto con orgoglio Nunziata a fine gara.
Le parole del CT hanno sottolineato il livello degli avversari, con una domanda implicita: se buona parte dei giocatori tedeschi milita in Bundesliga, perché molti degli italiani che si sono rivelati alla loro altezza a malapena trovano spazio in Serie B? È una domanda con cui l’allenatore vorrebbe spingerci a valutare l’effettivo valore di questo gruppo.
Trovare una risposta, però, non è facile, e soprattutto ha poco senso porsi un interrogativo del genere nell’immediato. Perché l’importante non è tanto pensare a quale sia il livello attuale dei giocatori di questo ciclo, quanto quello che potrebbero raggiungere nei prossimi due o tre anni, quando teoricamente si avvicineranno al loro prime.
Prendiamo un giocatore come Ambrosino, autore del momentaneo 2-2. Quest’anno, nella disastrosa stagione del Frosinone, ha toccato il numero massimo di gol in carriera in B: 5. Non certo numeri da attaccante di razza. In effetti Ambrosino è soprattutto una punta a cui piace partecipare alla manovra, che ama aprirsi in fascia e correre in transizione, dove palla al piede sprigiona grande velocità in allungo. Anche ieri sera ha dimostrato di avere queste qualità, che però non ha mai potuto sperimentare al piano più alto, la Serie A: si dice che su di lui ci sia il Cagliari, ma per un giocatore che ormai ha 23 anni, quali sono i margini di crescita ai massimi livelli?
Lo stesso vale per Baldanzi e Gnonto, che sembrano essere rimasti in un limbo a causa della loro statura.
Koleosho, mezzapunta/ala caotica a cui spesso l’Italia si affidava per cambiare ritmo, a questo livello ha dimostrato di poter fare la differenza, ma nel suo club in Championship, il Burnley, si divide tra campo e panchina e completa 2,47 dribbling a fronte di 6,06 tentati: quanto potrà migliorare? Se arrivasse finalmente in Serie A (fino ad ora ha giocato solo in Spagna e in Inghilterra), un campionato dai ritmi più compassati, potrebbe diventare un giocatore importante grazie al suo spunto?
In questo gruppo non sembrano esserci potenziali fuoriclasse, e forse lo pensa anche Nunziata, ma il suo augurio, con quelle parole sugli avversari che giocano tutti in Bundesliga, era che ai suoi ragazzi venisse concessa quantomeno un’opportunità, così da migliorarsi e alzare il livello: del resto, lo stato di salute di un sistema calcio si valuta soprattutto dalla sua classe media, più che dall’élite. E i giocatori di questo ciclo, inseriti nel contesto pensato dal loro CT (che pure ha avuto le sue colpe, soprattutto nella gestione dei cambi), hanno mostrato di avere delle qualità.
Il problema è che se di per sé le competizioni per Nazionali non sono affidabili per misurare il valore di un calciatore, l’Europeo Under 21 lo è ancora di meno. A questa età – ricordiamoci che in realtà parliamo di giocatori Under 23 – di sorprese raramente ne esistono, e nomi già blasonati rischiano di mischiarsi ad altri destinati a rimanere ad un livello piuttosto basso, visto che è stato già raggiunto un certo grado di maturazione. Il livello competitivo, quindi, rischia di non essere altissimo. A tutto ciò si aggiungono un paio di questioni.
La prima, atavica: proprio perché si tratta già di giocatori affermati, molti eleggibili in Under 21 vengono lasciati alla Nazionale maggiore e non prendono parte all’Europeo di categoria, rendendo ancora più difficile valutare l’effettivo livello del torneo (a noi mancavano gli Esposito, negli Stati Uniti con l’Inter, ma le loro assenze sono nulla se si considera, ad esempio, che la Germania avrebbe potuto schierare Pavlović e Wirtz).
La seconda, contingente: viviamo in un’epoca in cui i talenti si palesano in un’età sempre più bassa. Per dire, quest’anno il miglior giocatore della finale di Champions è stato un 2005, il migliore al mondo ha 17 anni e il Real Madrid sembra voler puntare da subito su un suo coetaneo. È ancora lecito considerare gli Europei Under 21 (che, ribadiamo, in realtà sono degli Europei Under 23) un torneo giovanile? Se i protagonisti del calcio ai livelli più alti continuassero a rivelarsi a questo grado di precocità, avrebbe ancora senso di esistere una competizione del genere?
Alla fine, se l’Italia ha saputo competere contro un avversario superiore sulla carta, è anche per il fatto che, a prescindere dalla categoria, al giorno d’oggi intorno ai 23 anni si acquisisce un alto livello di maturità. Tanto più in un sistema calcio come quello italiano che dal punto di vista delle nozioni tattiche non è secondo a nessuno. È anche per questo che abbiamo saputo “tenere il campo” persino in 9 contro 11, non solo per una questione di cuore.
Poi è chiaro, serve anche lo spirito, senza quello non si va da nessuna parte. Ma che i giocatori italiani siano disposti a sacrificarsi non è una novità. Non lo è per gli elementi di questa Under 21 e non lo è nemmeno per quelli della Nazionale maggiore, accusati in questi giorni (come sempre nei momenti di crisi) di non sentire a sufficienza la maglia.
L’attaccamento alla causa, il saper soffrire, lottare nei momenti di avversità, non è mai mancato alla Nazionale e ieri sera, quando con due uomini in meno avremmo meritato come minimo di arrivare ai rigori, lo abbiamo dimostrato ancora una volta. Il nostro problema, semmai, è la qualità tecnica, ma su quella è molto più difficile fare retorica.
Nunziata ha provato a sopperire con un gioco che i suoi ragazzi riconoscono ormai da anni, da quando guidava molti di loro in Under 17. Le giovanili azzurre hanno raggiunto buoni risultati, praticando un gioco coerente tra una categoria e l’altra, ma i vertici del nostro calcio hanno ritenuto che questa non fosse la soluzione adeguata per la Nazionale maggiore. Come se certe idee fossero solo delle velleità giovanili. Varrà lo stesso per il percorso in maglia azzurra dei protagonisti di questo ciclo dell’Under 21?