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Mauro Mondello
Storia delle sfide tra Italia ed All Blacks
23 nov 2018
23 nov 2018
Un racconto di alti e bassi, in attesa del nuovo test match di sabato.
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Mauro Mondello
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Il 1977 in Italia verrà ricordato per gli scontri politici di piazza a Milano, per le battaglie studentesche di Roma, per un clima di tensione che avrebbe portato il terzo governo Andreotti a lavorare con l’appoggio del cosidetto “arco costituzionale”, cioè di tutte le formazioni politiche entrate in Parlamento, con l’obiettivo di dare una risposta compatta alle lotte di strada e agli attacchi terroristici di Brigate Rosse e formazioni paramilitari di destra.

 

In quella primavera del 1977, mentre il ministro dell’Interno Francesco Cossiga inviava a Bologna i carri armati per liberare la città dallo stato d’assedio dopo gli scontri fra studenti di sinistra e fascisti, la storia del rugby italiano subiva un’improvvisa accelerazione. La nostra nazionale di rugby non viene da un grande momento: dopo un biennio, il 75-76, pieno di soddisfazioni, con il XV azzurro capace di chiudere al secondo posto dietro la Francia la coppa Europa e di spaventare in amichevole l’Australia con un 15-16 risicatissimo a favore dei Wallabies, il 1977 ha portato in dote un’inattesa sconfitta, per 10-9, contro il Marocco, cui seguono in marzo le inevitabili dimissioni del tecnico gallese Roy Bish.

 


Isidoro Quaglio da giocatore.


 

Al suo posto arriva Isidoro Quaglio, leggendaria seconda linea di Rovigo e fra gli eroi dello storico tour azzurro in Sudafrica datato 1973 e culminato con una vittoria sulla selezione locale dei Leopards. Dopo un primo convincente successo contro la Polonia, un rotondo 29-3 a Catania, il 2 aprile del 1977 l’Italia subisce una delle sconfitte più umilianti di tutta la sua storia, una partita che a lungo resterà la peggiore debaclé di sempre: un 69-0 contro la Romania a Bucarest.

 

Dopo la partita Quaglio abbandona, il movimento è a pezzi e la federazione fatica a trovare un profilo disponibile a guidare gli azzurri. È in quel momento che giunge a Roma una telefonata dalla Nuova Zelanda. Gli All Blacks, che saranno in Europa all’inizio di ottobre per sfidare in una mini tourneé la Francia, ci chiedono se vogliamo giocare una partita il 22 ottobre, una specie di prova generale per il XV neozelandese prima di partire per Parigi.

 

L’occasione è storica. Gli All Blacks, la squadra che ogni rugbista al mondo sogna di incontrare, non ha mai giocato contro il XV azzurro e verrebbe in Italia il 22 ottobre per un match amichevole con la nostra selezione. Sembra tutto perfetto, ma ci sono alcuni problemi.
Vittorio Cogo, presidente facente funzione della FIR, è preoccupato: certo c’è l’entusiamo di poter finalmente sfidare gli All Blacks, ma contro chi li facciamo giocare?

 

Contro la squadra che è stata sconfitta in Marocco e umiliata dalla Romania, una squadra peraltro ancora senza allenatore e a rischio di un’ennesima figuraccia internazionale? C’è anche un altro problema, di calendario: il 23 ottobre l’Italia deve andare in Polonia, a Varsavia, per giocare un turno di Coppa Europa. Eppure, a un’occasione del genere non si può rinunciare.
La FIR risponde di sì: l’Italia quella partita la giocherà.

 

Viene subito comunicata alla federazione neozelandese la sede della partita, che si terrà allo stadio Appiani di Padova, una cornice che nel maggio del 1977 ha registrato il record storico di spettatori, 15.000, per un incontro di rugby in Italia: Petrarca contro Rovigo.
Trovato lo stadio, resta da capire chi deve giocarla. Dopo alcune riunioni il presidente Cogo decide che in Polonia, per la coppa Europa, ci andrà una nazionale B, rinforzata da alcuni elementi della squadra titolare e guidata dal nuovo tecnico, il gallese Gwyn Evans.

 

A Padova, a sfidare gli All Blacks, resterà invece la formazione A, rinforzata da tre giocatori stranieri di tutto rispetto: il francese Guy Pardies e i sudafricani Nelson Babrow e Dirk Naudè. In panchina siederanno il gallese Carwyn James, da qualche mese nuovo allenatore della Sanson Rovigo, e il triestino Giancarlo “Lolli” Busson.

 

Vista la presenza di tre giocatori stranieri nella formazione azzurra e considerando che la Nuova Zelanda ha già comunicato ai vertici federali italiani l’intenzione di non far valere la partita, che dunque non assegnerà “caps” come incontro ufficiale, la squadra italiana viene denominata XV del Presidente.

 


La squadra del XV del Presidente scesa in campo quel giorno.


 

Di fronte a 14.000 spettatori un’Italia un po’ anarchica gioca il suo primo incontro di sempre contro la Nuova Zelanda, e non fa la comparsa, spinta dalla qualità in linea mediana di Pardies e Babrow, che difendono come furie e gestiscono in maniera ordinata il gioco in attacco. Quando mancano pochi minuti alla fine del primo tempo si gioca una mischia sul lato sinistro del centrocampo. Il pack azzurro va al contatto convinto, Pardies introduce il pallone e mentre il tallonatore italiano Monfeli conquista l’ovale, si cerca di non perdere l’equilibrio del pacchetto, che ruota sulla spinta del pilone sinistro neozelandese, un certo Brad Johnstone, che dal 2000 al 2002 la nazionale italiana la guiderà da capo allenatore. Pardies, per evitare che la mischia giri completamente, tira fuori il pallone dal raggruppamento e lo passa al numero 10 Babrow.

 

Il sudafricano raccoglie l’ovale in progressione, accelera, scarta il placcaggio dell’apertura neozelandese e poi, mentre assorbe un secondo avversario, passa l’ovale sulla destra a Bruno Francescato, che si è inserito a tutta velocità dall’ala chiusa. Francescato arriva come un treno e taglia in due la difesa degli All Blacks, finta un movimento all’esterno, rientra, va di nuovo sull’esterno, impatta sul numero 15 in maglia nera Williams e scarica il pallone per il fratello, Nello Francescato, che a sua volta con una finta manda a sbattere due giocatori neozelandesi, rientra sul piede sinistro e va a schiacciare in mezzo ai pali: il primo tempo si chiude sul risultato di 6 a 6.

 

La Nuova Zelanda è scossa e per lunghi tratti della seconda frazione di gioco il risultato resta in bilico, con il XV azzurro trascinato dall’atmosfera elettrica che si respira all’Appiani di Padova. Ci vuole una meta da touche di Graham Mourie, all’esordio con la maglia All Blacks, per risolvere la partita. Il seconda linea neozelandese, che di lì a poco diventerà capitano, prima comanda una maul a pochi metri dalla linea di meta italiana, poi si stacca e mette a referto la segnatura che chiude l’incontro quando mancano 12 minuti alla fine. La partita si chiuderà 17-9 per la Nuova Zelanda.

 

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La bellissima meta di Francescato dopo l’incursione di Babrow.


 

Due anni dopo, nel 1979, l’Italia può finalmente scendere in campo contro gli All Blacks con la sua formazione ufficiale. In panchina questa volta c’è il francese Pierre Villepreux e la Nuova Zelanda, nonostante continui a non considerare la partita come ufficiale (nemmeno questa volta vengono assegnati caps), schiera la sua formazione titolare, nell’ultimo incontro di un tour europeo che l’ha vista battere Scozia e Inghilterra.

 

L’incontro stavolta si gioca allo stadio Battaglini di Rovigo, il 28 novembre 1979. L’entusiamo è così tanto che ai 14.000 spettatori paganti si aggiungono altre 7.000 persone, che vengono fatte entrare a pochi minuti dal fischio d’inizio e si assiepano dietro i cartelloni pubblicitari. L’Italia si schiera con un XV di tutto rispetto: Gaetaniello all’estremo, Marchetto e Mascioletti alle ali, Nello e Rino Francescato ai centri. In mediana giocano Fulvio Lorigiola come numero 9 e Stefano Bettarello all’apertura. Il blocco di terza linea è composto da Mariani, Bargelli ed Elio De Anna, in seconda ci sono Artuso e Louis Basei, mentre a dare battaglia in prima linea vanno il capitano, Ambrogio Bona, con Robazza e Cucchiella.

 

 



 

Gli All Blacks questa volta ci tengono a mostrare la differenza di livello e partono a razzo, con due mete nei primi dieci minuti realizzate da Mexted e Fraser e trasformate da Hewson. L’Italia però non molla e grazie alla precisione al piede di Bettarello rimane in partita con due calci piazzati: il primo tempo finisce 15 a 6 per la Nuova Zelanda. La seconda frazione rimane bloccata sino a 10 minuti dalla fine. L’Italia introduce un pallone in mischia chiusa sulla linea dei 10 metri avversaria, lato destro del campo. La palla sta per uscire senza controllo dal raggruppamento, ma Lorigiola la recupera in tempo e lancia all’assalto Elio De Anna, che carica in percussione l’apertura neozelandese e prima di andare a terra trova il riciclo veloce sul nostro numero 8, Paolo Mariani.

 

La palla viene aperta al largo, prima verso Rino Francescato, poi sull’ala, Mascioletti, che punta la bandierina e poi, braccato dal numero 21 neozelandese, ributta con uno strano passaggio liftato il pallone all’interno. A raccoglierlo, per un soffio, c’è Gaetaniello, che arriva a tutta velocità, travolge l’estremo All Blacks e in caduta passa il pallone al terzo centro Mariani, che nel frattempo ha seguito l’azione. Altro scarico di Mariani verso Bargella, il nostro flanker sinistro, ed ennesimo appoggio, stavolta esterno, per Nello Francescato, che schiaccia in meta dopo un’azione da nove passaggi. La partita si chiude sul 12-18 a favore dei neozelandesi.

 

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La meta di Francescato contro la Nuova Zelanda è la prima segnatura azzurra agli All Blacks della storia.


 

Ci vorranno altri otto anni per tornare a incrociare gli All Blacks. La partita questa volta sarà, finalmente, ufficiale, e verrà giocata nella cornice del mondiale di rugby del 1987, all’Eden Park di Auckland, in Nuova Zelanda. Il risultato stavolta sarà meno onorevole per la nazionale italiana guidata in panchina da una leggenda del rugby italiano, Marco Bollesan. La Nuova Zelanda, all’esordio nel mondiale di casa, il primo mondiale di rugby mai organizzato nella storia, ci tengono a fare bella figura e ci travolgono sotto una pioggia di mete, ben dodici, fissando il risultato finale sul 70-6.

 

Dopo il buon 31-21 con cui esce sconfitta l’Italia allenata dal francese Fourcade nella sfida di coppa del Mondo a Leicester nel 1991, arrivano le tremende batoste del 1995. Un altro 70-6 subito a domicilio, allo stadio Dall’Ara di Bologna, e soprattutto lo storico 101-3 della Coppa del Mondo 1999: dodici mete subite e soli tre punti per gli azzurri, messi dal piede di Diego Dominguez. Ma quell’Italia, che è forse la nazionale italiana di rugby più forte di sempre ed è appena stata ammessa al torneo delle Cinque Nazioni dopo anni di crescita esponenziale, è arrivata al mondiale fiaccata dalle polemiche, con le dimissioni dell’allenatore, il francese Georges Coste, per una serie di dissidi con la federazione e i primi scontri diplomatici fra club e gruppo azzurro legati all’avvento nel rugby del professionismo.

 

Per ritrovare una sfida fra Italia e Nuova Zelanda nuovamente equilibrata bisogna accelerare sino al novembre 2009. La partita si gioca in un San Siro gremito da 80.000 persone, che cantano insieme l’inno nazionale intonato dall’ex centro dell’Italia, Denis Dallan, nel frattempo diventato tenore.

 

Gli azzurri, allenati dal sudafricano Nick Mallett, scendono in campo con McLean nel ruolo di estremo, Robertson e Mirco Bergamasco alle ali, Canale e Garcia ai centri, Craig Gower all’apertura e Tito Tebaldi come mediano di mischia. Con la maglia numero 8 il capitano Sergio Parisse per una terza linea completata da Mauro Bergamasco e Alessandro Zanni. Del Fava e Geldenhuys giocano in seconda mentre a combattere davanti ci sono Castrogiovanni, Perugini e Ghiraldini. Il primo tempo finisce 14 a 3 per la Nuova Zelanda e la partita, seppur portata avanti in maniera onorevole dagli azzurri, sembra già ampiamente segnata.

 

Nel secondo tempo, invece, l’Italia sorprende. Gli All Blacks mettono a segno solo due calci piazzati, gli azzuri restano in scia, anche se sopra il break, con una punizione di Gower: il risultato si blocca sul 20 a 6. Quelli che però resteranno per sempre negli annali del rugby sono gli ultimi frangenti della partita. L’Italia resta infatti per dieci lunghissimi minuti a cinque metri dalla linea avversaria, distruggendo pezzo dopo pezzo la mischia All Blacks e aspettando di ricevere dall’arbitro, l’australiano Dickinson, una meta tecnica, che però non arriva. Il pack neozelandese continua infatti a far crollare la mischia, l’arbitro ogni volta ci fischia la punizione a favore ed ogni volta il capitano italiano, Sergio Parisse, chiede nuovamente di giocare una mischia chiusa.

 

Succede per dodici volte in più di dieci minuti. Il nostro pack scende giù compatto, gli All Blacks non ce la fanno e vanno a terra. Persino i giocatori in maglia nera a un certo punto si guardano spaesati, forse sorpresi dalla decisione dell’arbitro, ma non fa niente: gli azzurri escono da San Siro a testa altissima, il mondo del rugby ha assistito alla demolizione in diretta del pack All Blacks, ad opera di una mischia, quella italiana, che in molti considerano ormai la più forte del mondo.

 

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Le ultime due uscite, allo stadio Olimpico di Roma, nel 2012 e nel 2016, hanno ristabilito gli equilibri, con vittorie neozelandesi sempre contraddistinte da scarti superiori ai 30 punti: l’ultima volta due anni fa, con O’Shea in panchina, finì 68-10 con dieci mete a una in favore dei neozelandesi.

 

La sfida di sabato 24 novembre, sempre all’Olimpico a Roma, arriva in un momento particolare per entrambe le squadre. La nazionale azzurra chiude la sua serie di test autunnali dopo una buona vittoria contro la Georgia e una prestazione tutto sommato convincente contro l’Australia, nonostante la sconfitta. La Nuova Zelanda ha invece perso contro l’Irlanda il suo secondo incontro stagionale ed è stata subito travolta dalle critiche interne per la scarsa capacità, secondo i commentatori, di saper adattare il suo piano di gioco alle caratteristiche degli avversari e per le grandi difficoltà registrate a Dublino nella difesa sul gioco al piede.

 

Difficilmente l’Italia potrà portare a casa il risultato, ma sarebbe importante dare continuità alla buona prestazione di Padova contro gli australiani. Gli All Blacks scenderanno in campo con Barrett, Ried e McKenzie, che alla vigilia erano dati in panchina per turnover, segno che il coach neozelandese, Steve Hansen, ci tiene a rientrare in patria con un risultato rotondo e vuole evitare qualsiasi sorpresa.

 

L’Italia dovrà provare a sostenere la corsa degli All Blacks e trovare maggiore lucidità nelle poche fasi d’attacco che avrà a disposizione. La partita contro l’Australia e anche il match con la Georgia hanno dimostrato che agli azzurri manca ancora un po’ qualità per trasformare in punti il gioco in attacco, inoltre il nostro numero 10, Allan, comunque positivo nel complesso, deve limitare i passaggi a vuoto che, soprattutto nel gioco al piede, finiscono per pregiudicare le sue prestazioni e rompono il ritmo italiano. Contro questa Nuova Zelanda e dopo le due partite molto dispendiose giocate in novembre, restare dentro uno scarto di venti punti sarebbe già considerato un grande successo.

 

 

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