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Foto di Glyn Kirk / Getty Images
Sport tennis Alessandro Ruta 17 dicembre 2018 9'

Isner-Mahut, 70-68 al quinto set

Molto più di una partita.

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Non ci sarà un altro Isner-Mahut a Wimbledon. La partita più lunga nella storia del tennis, quella con più game giocati, rimarrà quella tra lo statunitense e il francese al primo turno dell’edizione 2010. La recente riforma dei Championships, di far disputare al quinto set un tie-break sul 12-12, eliminando quindi lo svolgimento a oltranza dell’ultima e decisiva frazione, tarpa le ali a eventuali punteggi chilometrici. Per cui il 4-6 6-3 7-6 6-7 70-68 con cui Isner vinse quell’incredibile match resterà il più lungo di sempre, almeno sui prati londinesi.

 

Se allo stadio Atzeca di Città del Messico una targa omaggia “il match di calcio del secolo”, Italia-Germania-Ovest 4-3 del Mondiale 1970, a Londra, accanto al campo numero 18, c’è l’effige di un’altra partita leggendaria: Isner-Mahut, appunto. Nel tennis, “il match del secolo”. Laggiù, su uno dei prati meno pop dell’All England Club, dove si inizia a giocare sempre prima rispetto al centrale o al campo numero uno, per tre giorni, dal 22 al 24 giugno del 2010 va in scena qualcosa che comincia come una normale partita, ma che pian piano trascende fino alla fantascienza, all’irrealtà.

 

Se “Italiagermaniaquattroatré” era comunque una semifinale di un Mondiale, “Isnermaù” si presenta, all’inizio, come un banalissimo match di primo turno. Il premio in palio era la possibilità di incontrare l’olandese Themo De Bakker o il colombiano Santiago Giraldo. John Isner, testa di serie numero 23, pennellone di oltre due metri, la grande speranza del tennis americano, contro Nicholas Mahut, francese, che a Wimbledon nel 2000 aveva conquistato il torneo juniores battendo Mario Ancic ma che ora, a 28 anni, viaggia intorno alla posizione 150 del ranking, e deve arrabattarsi, da brava formichina, attraverso tornei Challenger e qualificazioni.

 

Mahut è entrato in tabellone proprio grazie alle qualificazioni, e se l’è sudata parecchio. Nell’ultimo incontro l’ha vinto in rimonta al quinto set contro l’austriaco Stefan Koubek, mentre nel precedente aveva piegato Alex Bogdanovic 24-22 al terzo (le qualificazioni di Wimbledon prevedono cinque set solo nel turno decisivo). Arriva quindi piuttosto rodato alla sfida con Isner, è una classica situazione da mina vagante, anche se l’americano col suo gioco semplice e redditizio (bomba di servizio e, se non è già punto, dritto a campo aperto) sull’erba è un cliente sempre rognoso, vedi semifinale quest’anno contro Anderson. Insomma, le premesse per una partita spettacolare e più equilibrata di quanto dica il ranking Atp ci sono tutte, il 22 giugno del 2010, alle 18.18 (incredibile), orario di inizio. E infatti si va al quinto set, con la partita sospesa per oscurità e rinviata al giorno successivo, mercoledì 23. Fin qui niente di paranormale.

 

The Championships - Wimbledon 2010: Day Three

Foto di Hamish Blair / Getty Images.

 

Vuvuzela e ministri

Quella è l’estate dei Mondiali in Sudafrica, con le vuvuzela come colonna sonora e l’Inter che ha appena completato il triplete, agli ordini di José Mourinho. La Francia, invece di pensare a Mahut, patisce una delle umiliazioni peggiori della sua storia, che terminerà addirittura con interrogazioni parlamentari: il celebre ammutinamento della squadra in ritiro. “Va te faire inculer, sale fils de pute”, titola L’Equipe il 19 giugno, “Fottiti, sporco figlio di puttana”, a pochi giorni dallo 0-2 contro il Messico e dalla conseguente eliminazione dal Mondiale.

 

La frase pare l’abbia pronunciata Nicolas Anelka nell’intervallo della partita, rivolto all’allenatore Raymond Domenech, e qualche gola profonda l’avrebbe riferito alla stampa: cacciato il ribelle, il gruppo si scopre diviso in mille fazioni e gli allenamenti sospesi o ridotti a tentativi sedati di rissa. Domenech viene costretto alla patetica lettura a favore di telecamera di un comunicato in cui informa dello sciopero del resto della rosa, in solidarietà con Anelka, su cui aveva puntato tutto. È “La fine di un mondo”, come titolerà sempre L’Equipe, fotografando un Paese sotto choc, che Le Monde reputa “incancrenito dai soldi”.

 

Mentre Isner e Mahut cominciano il palleggio di riscaldamento la Spagna deve battere il Cile, o comunque pareggiare e sperare che la Svizzera perda con l’Honduras, per andare agli ottavi di finale; l’Argentina con Maradona c.t. e l’Olanda sembrano le squadre più in forma. In Italia invece il trending topic di quella settimana al di fuori del Mondiale è il governo Berlusconi e il “Caso Brancher”, la nomina il fantomatico ministro per l’Attuazione del Federalismo che ballerà meno di un mese, il tempo di chiedere un legittimo impedimento per non presentarsi a un processo e poi dimettersi.

 

Come ogni Mondiale che si rispetti, in compenso, è la Nazionale a dividere: contro la Slovacchia è una sorta di spareggio per proseguire un’avventura iniziata malino (1-1 col Paraguay) e proseguita peggio (altro 1-1, ma con la modestissima Nuova Zelanda). Buffon e Pirlo sono infortunati e si va verso il terzo schieramento diverso in altrettante partite: dopo un 4-4-2 e un 4-2-3-1 è in canna un 4-3-3 con Gilardino o Pazzini punta centrale. Umberto Bossi tuona: «Si compreranno la partita», provocando reazioni stizzite. Non convocati per il Mondiale, due co-protagonisti del triplete interista sono alle prese con l’esame di maturità: Mario Balotelli e Davide Santon, che si dimentica il vocabolario d’italiano a casa.

 

59 pari

Mercoledì, il campo numero 18 è sempre lì, immobile. Un quindici dopo l’altro, un game dopo l’altro, e la situazione proprio non si schioda. Gli ultimi due set tra Isner e Mahut sono stati tie-break per fortuna, e sul 10-9 per l’americano ecco il match point, il primo: due doppi falli di Nicholas e ci siamo, sugli spalti si controlla il programma di gioco, vediamo a chi tocca dopo. Macché, ace di Mahut, John scuote il testone, protetto da un cappellino con visiera spostata all’indietro, e si ricomincia. Uno serve, l’altro replica per rimanere nel match: ace, colpi vincenti, volée, passanti, cambi di campo. L’arbitro svedese “Game Isner”, “Game Mahut”, “palle nuove per favore”, ogni nove giochi. E la gente sugli spalti che si appassiona, tanto la giornata è bella, è calda, chi vuole può anche andare al maxischermo allestito nel club a vedere i Mondiali, che problema c’è? Quel pomeriggio c’è Inghilterra-Slovenia: gol di Defoe, 1-0.

 

Alle 16.57 ecco il primo record: 25-24 Isner, il singolo set con più game di sempre. Alle 17.44 è diventato l’incontro più lungo, come tempo, nella storia (6 ore e 34′). Sul centrale si alternano Andy Roddick, finalista uscente, a Venus Williams, e infine Novak Djokovic; ma l’ombelico del mondo è il campo numero 18, ormai trasformatosi in arena, dove si tifa a oltranza, e per l’oltranza. Sul 33-32, 46 giochi dopo, in pratica un’intera partita di cinque set, altri due match point per Isner: 15-40, servizio Mahut. E davvero sembra finita. Invece no, volée di dritto e servizio vincente, il francese raddrizza la baracca di nuovo.

 

Nel tennis su erba ogni palla break è fondamentale, perché si verifica con meno frequenza che su altre superfici. Quindi si ricomincia, ace dopo ace, vincente dopo vincente: sul 47 pari crollano anche le macchine. Nel senso che il tabellone elettronico, non tarato per un punteggio così alto, va in tilt e si spegne; per lui la partita è finita. Peccato che si debba andare avanti, Isner batte il record di maggior numero di ace in un singolo match (79, alle 18.24), mentre entrambi i giocatori sono stremati, barcollano, cadono come ubriachi in alcuni frangenti. Nel frattempo anche De Bakker ha dovuto affrontare una mini-maratona, 16-14 al quinto, per avere la meglio su Giraldo; quindi il vincente di questo incontro se la vedrà al secondo turno con l’olandese.

 

Il 50 pari porta il pubblico, che ormai trabocca dagli spalti, alla standing ovation, persino alla ola, rompendo il rigoroso cerimoniale di Wimbledon. Il sole sta andando via, alle 20.54, per la prima volta, dopo oltre sette ore, il fisico dei due giocatori alza bandiera bianca: pausa per andare al bagno, sul 58-58.

 

Due giochi dopo, la partita è sospesa di nuovo per oscurità. Eccovi un dato che in parte offre la misura della mostruosità della lunghezza della partita: il solo quinto set è durato più del precedente match più lungo della storia (Santoro-Clement, Roland Garros 2004, 6 ore e 33′). Ormai sembra di assistere a un evento circense, o una seduta d’ipnosi collettiva. Mahut si tuffa dalla linea di fondo per cercare di recuperare una volée smorzata di Isner, non ha le gambe per correre, siamo oltre il limite della riserva, e l’altro ride, capisce la situazione. Il liveblog del Guardian chiama entrambi i giocatori “Zombie”.

 

Il quarto match point sembra poter chiudere i giochi appena in tempo: ace del francese, 193 totali tra lui e l’americano, 59-59, tutti a nanna, alle 21.10, anche se gli spettatori (782 la capienza ufficiale, ma ce ne sono molti di più, con la fila per entrare già alle 17) cantano in coro “We want more”, “Ne vogliamo ancora”. Ormai sì, come al circo, gli artisti sul trapezio e il biglietto pagato, se ne morisse uno dovrebbe entrare il clown. “Tutti vogliono vedere la fine, ma dovranno tornare domani”, rantola Mahut, dopo sette ore e otto minuti di gioco effettivo. Se il campo fosse stato illuminato avrebbe forse continuato volentieri, come il rivale.

 

Cavalli

Sempre e solo sul campo 18, niente centrale, niente inchini al palco reale (ma ne avrebbero avuto la forza?), anche per il terzo giorno di match. “Non si uccidono così anche i cavalli?”, scrivono quasi all’unisono Gaia Piccardi sul Corriere della Sera e Gianni Clerici su Repubblica, citando l’omonimo film del 1969 con Jane Fonda dove durante la Grande Depressione negli Stati Uniti si organizzavano gare di ballo a oltranza, in cui vinceva l’ultima coppia che rimaneva in piedi, letteralmente. Specie guardando i due metri e sei centimetri di Isner trascinarsi sempre più per il prato.

 

Come ovvio, anche i bookmaker vogliono dire la loro: che il match si prolunghi fino al venerdì è dato 25 contro 1, l’over 150 giochi nel quinto set a 10 contro 1 (per un pelo non si realizzerà, immaginiamo i sudori freddi degli allibratori), over 132 giochi è dato a 2 contro 1 (preso, nel senso che effettivamente si è verificato).

 

E i due cavalli riprendono da dove avevano lasciato: un gigantesco 0-0, lungo dieci ore complessive. “Bastano” altri 66 minuti a Isner per chiudere, al quinto match point, la pratica: 30-40, Mahut serve esterno, l’americano trova un’ottima risposta di rovescio, mezza volata interlocutoria del francese e passante ancora di rovescio di John, che come da copione crolla a terra. Finita: 11 ore e 5 minuti, di cui 8 ore e 11 minuti solo di quinto set. «Mi sento un po’ stanchino, ma davanti a un pubblico così la fatica passa», quasi si commuove Isner durante le interviste di rito. «Abbiamo disputato la partita più grande di sempre nel posto migliore dove si possa giocare a tennis», conferma Mahut, con i capelli ancora più elettrici del normale.

 


Tutti e 113 gli ace di John Isner contro Mahut. Provate a vedervi questo video in loop dopo aver assunto qualche sostanza stupefacente.

 

Guardare le statistiche è roba da gigantismo, è un primato dopo l’altro (alla fine il libro del Guinness dei Primati ne ha omologati ben 12): la cosa più assurda è che Mahut ha vinto 24 punti più del rivale, ma esce sconfitto, 502-478. E poi 112 ace a 103 per Isner, che ha concesso la miseria di 3 palle break in 3 giorni; e come hanno potuto reggere i nervi del francese, costretto a tenere il servizio per oltre sessanta volte per rimanere nel match? Entrambi hanno lasciato andare il braccio fino in fondo, senza cedimenti, a partire dal servizio (velocità media 198-190 per l’americano); entrambi hanno corso l’equivalente di una “quasi-maratona”, oltre trenta chilometri (ma con una racchetta in mano), consumando 7mila calorie senza mai chiamare il fisioterapista.

 

Mohamed Layhani, 44enne giudice di sedia svedese dell’incontro tra Isner e Mahut, anche lui è assurto al ruolo di co-protagonista, ricevendo pure una targa celebrativa. «Se ho sofferto a stare seduto sul seggiolone per così tanto tempo? No, sono abituato a viaggiare in aereo in economy e a stringermi», scherzerà, anche se durante il secondo giorno era rimasto quasi senza voce e col collo mezzo bloccato (quota che si potesse addormentare durante il match, 100 a 1).

 

In un’epoca relativamente vicina, ma distante anni-luce pensando agli sviluppi tecnologici, non tutti riescono a dire la loro su ciò che hanno visto: «Fosse successo a me avrebbero dovuto portarmi in ospedale», ammette Maria Sharapova. John McEnroe, forse cinicamente: «Un grande spot per il nostro sport».

 

 

Isner, che nella notte tra mercoledì e giovedì ha mangiato tre cartoni di pizza, svariate alette e cosce di pollo più altro cibo “di cui ho perso il conto”, portatogli dall’amico Andy Roddick, perderà nettamente al turno successivo contro De Bakker, che a sua volta verrà sconfitto da Rafa Nadal, che andrà a conquistare il torneo in finale contro Tomas Berdych.

 

Sia l’americano che Mahut nei successivi mesi faticheranno non poco a tornare in forma, il fisico farà pagare loro più di un conto: il francese fino al 2013 non vincerà mai un torneo Atp. Adesso è un apprezzato specialista del doppio, era nella squadra che ha trionfato in Coppa Davis nel 2017. Isner ha fatto dentro e fuori dalla top ten e quest’anno è arrivato per la prima volta in semifinale di uno Slam, proprio a Wimbledon, perdendo 26-24 al quinto set da Kevin Anderson, quarto match più lungo di sempre.

 

Il destino, che spesso ci prende per il naso, esattamente un anno dopo “la partita del secolo” ha voluto mettere la manina sempre ai Championships: primo turno del 2011, di nuovo Isner contro Mahut. Risultato, tre set a zero per l’americano.

 

Tags : john isnernicolas mahutwimbledon

Alessandro Ruta, milanese, 1982. Giornalista (Mediaset, Il giorno, Gazzetta dello sport) e direttore sportivo di una squadra dilettantistica (Vulcano k.e.). Ha scritto cinque libri (Confessioni di un milanista - Urbone, L'impero del basket - Italica, Giocare e vincere a Fantasfida e ai daily fantasy sport - Apogeo Feltrinelli, I bambini mi chiamano Ancelotti - Urbone, La pagina mai scritta - Augh).

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