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Angelo Andrea Pisani
Cosa aspettarsi dall'Inter di Simone Inzaghi
03 ago 2021
03 ago 2021
Le mosse del nuovo tecnico per adattare la squadra al suo gioco.
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Angelo Andrea Pisani
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Lo scorso 26 maggio, quando l’Inter ha ufficializzato la risoluzione contrattuale con Antonio Conte, molti sono tornati a quella sera di maggio di undici anni prima, in cui Mourinho – dopo un lungo abbraccio con Materazzi nel parcheggio del Bernabeu – salì sulla macchina mandata da Florentino Perez, pronto a firmare il contratto col Real Madrid. Sembra destino che i festeggiamenti, all’Inter, durino sempre pochissimo. Paradossalmente, ci sono più rimpianti quest’anno: nel 2010 l’Inter era arrivata al massimo possibile, e la partenza del tecnico portoghese sembrava inevitabile; la vittoria del campionato lo scorso maggio, invece, sembrava solo l’inizio di un nuovo ciclo di successi, che però è finito ancora prima di cominciare.

 

La partenza di Conte è stata improvvisa, ma non sorprendente: i primi segnali di rottura si erano visti già la scorsa estate, e per tutta la stagione il tecnico è rimasto sul piede di guerra, rimarcando a più riprese la sua distanza dai piani a medio-lungo termine della società. Alle lamentele sempre più esplicite del tecnico nerazzurro ha fatto da cassa di risonanza il silenzio della proprietà: partito ad ottobre, il presidente Steven Zhang è tornato a Milano solo a fine aprile, per festeggiare lo scudetto e rendere chiaro il bisogno di sacrifici per risollevare la situazione patrimoniale.

 

La separazione da Conte ha messo la società nerazzurra in una situazione tutt’altro che semplice, perché dalla scelta del nuovo tecnico non sarebbe passata soltanto una delicata transizione del progetto sportivo, ma anche l’immagine che avrebbe dato di sé la società. Inizialmente la scelta sembrava ricadere su Massimiliano Allegri – vicino già la scorsa estate, ma in procinto di firmare con la Juventus – ma alla fine l’Inter ha tirato dritto su Simone Inzaghi, convinto a firmare nonostante avesse già un accordo di massima per il rinnovo con la Lazio. Alla presentazione del tecnico il CEO Sport Marotta ha detto che Inzaghi è sempre stato la prima scelta,

come uno dei tecnici «più vincenti del panorama italiano». Il palmares di Inzaghi non è ricchissimo, ma nelle cinque stagioni sulla panchina biancoceleste il tecnico ha vinto una Coppa Italia e due Supercoppe, in un periodo nel quale la sua Lazio è stata l’unica squadra, oltre alla Juventus e il Napoli, capace di alzare trofei in Italia.

 

In ogni caso, più che nella sicurezza di vincere, l’Inter ha fatto una scelta nel segno della continuità: non tanto nel percorso tattico – pur condividendo lo stesso modulo, Inzaghi e Conte hanno un’interpretazione diversa del 3-5-2 – quanto nel profilo umano e professionale di Inzaghi, un tecnico giovane che ha già dimostrato di saper trarre il meglio dai giocatori messi a disposizione. Durante la presentazione alla stampa Inzaghi

la volontà di dare continuità al lavoro di Conte, ed è probabile che riparta dai punti di contatto tra le sue idee e quelle già interiorizzate dalla squadra.

 

Del resto, la Lazio di Inzaghi e l’Inter di Conte hanno principi di gioco simili: oltre al modulo, le due squadre condividono la predilezione per una fase difensiva su un campo stretto – con la squadra corta e compatta, con un baricentro medio-basso – per poi attaccare su un campo lungo, negli spazi aperti con la costruzione dal basso o in transizione. Un altro tratto comune è la flessibilità in fase di non possesso, perché durante la stagione – a volte anche all’interno della singola gara – hanno utilizzato linee difensive più alte, utilizzando il pressing per soffocare la manovra avversaria e recuperare il pallone. Nella stagione appena conclusa Inter e Lazio hanno avuto un indice PPDA abbastanza alto (14.92 la prima, 12.85 la seconda, dati Wyscout) ma sono state rispettivamente quarta (2.29) e sesta (2.13) per numero di contrasti nella trequarti offensiva (dati Statsbomb).

 

In fase di possesso le due squadre diventano più divergenti, perché pur partendo con gli stessi obiettivi – costruire dal basso per attirare la pressione, così da aprire spazi e poi attaccarli – gli strumenti per arrivarci erano molto diversi. L’Inter di Conte costruiva con giocate estremamente codificate: in fase di costruzione gli esterni salivano sulla fascia, mentre le mezzali si mettevano in posizione intermedia, al fianco dei difensori laterali, per ricevere lontano dalla pressione; dopo aver svuotato il centro del campo la squadra provava a raggiungere i due attaccanti, che dovevano muoversi di reparto, alternando i movimenti a venire incontro o in verticale, tenendo palla per far salire la squadra, o aprendo il gioco verso gli esterni.

 

 



Lo spartito di base poteva cambiare, ma i pattern di gioco erano sempre gli stessi: in alcune situazioni Eriksen si affiancava a Brozović per aiutare la gestione palla, in altri casi Barella si alzava sulla linea di attacco, ma l’obiettivo era sempre quello di svuotare il centro per cercare linea offensiva. Contro squadre bloccate la gestione si faceva più elaborata, spesso i difensori laterali partecipavano all’azione arrivando ad agire da esterni o mezzali, ma si cercava sempre e comunque di attaccare in ampiezza, portando almeno cinque uomini in linea offensiva.

 

La forza dell’Inter stava in un meccanismo per certi versi prevedibile, ma estremamente efficace, grazie non solo alle qualità dei singoli, ma ad automatismi che in alcuni momenti hanno rasentato la perfezione. La Lazio di Inzaghi si è contraddistinta per un gioco molto meno dogmatico e più flessibile, che si adattava per mettere nelle migliori condizioni i suoi giocatori migliori. Una necessità che spesso l’ha portato a cambiare. Nella sua prima stagione intera coi biancocelesti Inzaghi disegnò un 4-3-3 reattivo e verticale, per lasciare ampie libertà agli esterni Felipe Anderson e Keita; dopo l’arrivo di Luis Alberto cambiò gradualmente modulo, passando a un 3-5-1-1 in cui lo spagnolo aveva il compito di gestire la rifinitura. Due stagioni fa, per inserire Correa, Inzaghi arretrò Luis Alberto a centrocampo, trasformandolo in una mezzala di possesso capace di influenzare tutte le fasi di gioco. L’ultima versione della Lazio è stata quella più compiuta: una squadra che partiva da dietro – coi tre centrali, Leiva e Luis Alberto – per attirare la pressione avversaria e cercare in verticale i giocatori sui mezzi spazi (Milinković-Savić a destra, Correa a sinistra), e da lì servire i movimenti in profondità di Immobile, o allargare il gioco versi i due esterni – sempre larghi, e posizionati sulla linea offensiva.

 

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Nella prima immagine la struttura offensiva della Lazio: i due esterni alti e larghi, Correa e Milinković-Savić nei mezzi spazi; nella seconda immagine, la Lazio attira la pressione e poi gioca in verticale verso Correa, liberissimo.


 

 

Nei suoi momenti migliori la Lazio di Inzaghi era una squadra brillante e piena di soluzioni, che poteva partire dal basso con Luis Alberto e Leiva, allargare per le conduzioni di Lazzari, cercare la superiorità numerica con Correa o alzare palla per Milinković-Savić, con la minaccia di un giocatore come Immobile, pronto a scappare alle spalle della linea difensiva. Nei suoi momenti più opachi la Lazio era invece una squadra più fragile e poco efficace, troppo legata allo stato di forma dei suoi giocatori. A Inzaghi, di certo, non è mai mancato il coraggio di cambiare: lo scorso anno, quando le squadre hanno iniziato a bloccare con efficacia Luis Alberto, Inzaghi ha iniziato a utilizzare Acerbi come centrale di sinistra, chiedendogli di spingersi in avanti, per avere un altro canale da cui far risalire il pallone.

 


Il supporto di Acerbi permette a Fares di restare alto, e questo costringe la Juve a tenere più larga la linea difensiva: Correa si libera nel mezzo spazio di sinistra.


 

 

Una soluzione che Inzaghi ha riproposto nella sua prima uscita ufficiale coi nerazzurri, nell’amichevole col Lugano, con l’utilizzo di Dimarco come centrale sinistro. Il terzino, pur partendo da dietro, saliva sulla fascia per aiutare il possesso, cercando di sovrapporsi per poi sfruttare il suo mancino. Da una sua sovrapposizione interna, ben servita da Dalbert, è anche arrivata la prima occasione della partita.

 

 


Dalbert (esterno sinistro) riceve largo, Dimarco (centrale sinistro) fa una sovrapposizione interna e va al cross sul fondo.


 

Nonostante i pochi giorni con la squadra, molto rimaneggiata, l’impronta di Inzaghi è stata abbastanza evidente: rispetto allo scorso anno la squadra ha provato a passare più dal centro del campo, con due centrocampisti in supporto e un terzo sulla trequarti, mentre i due attaccanti si occupavano principalmente di mettere pressione sulla linea difensiva.

 

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L’Inter parte dal basso con Ranocchia, che approfitta della pressione su Agoume e Gagliardini per servire Nainggolan sulla trequarti; il centrocampista si gira e allarga verso l’esterno sinistro.


 

Una volta che la squadra sarà al completo sarà più semplice fare un bilancio, e valutare quale sarà la sintesi tra le idee di Inzaghi e i giocatori a disposizione. Dopo la cessione di Hakimi (una partenza «dolorosa», ma di cui Inzaghi era a conoscenza) l’Inter dovrebbe confermare il resto della formazione titolare. Il punto fermo sarà certamente la difesa, che non dovrebbe avere difficoltà a gestire il passaggio di consegne, mentre non è ancora chiaro come cambieranno centrocampo e attacco. In fase di costruzione Lautaro potrebbe stazionare sulla trequarti, alla Correa, per ricevere e poi puntare la difesa, ma le sue caratteristiche lo renderebbero molto più utile come riferimento della squadra per le giocate in profondità; in quel caso sarebbe Lukaku a venire più incontro al pallone.

 

A centrocampo Inzaghi potrà contare su Brozović e Barella, due giocatori con un gran senso per la verticalità, che sembrano perfetti per una squadra che proverà ad attaccare con tanto campo davanti. Lo scorso anno, in Serie A, Barella ha avuto una media di 6.46 corse progressive ogni 90’, per un totale di 150.5 metri guadagnati, ha prodotto 1.46 keypass e 1.12 tiri a partita. Brozović è un mediano di grande qualità, pulito sia sul breve che sul lungo, capace di coprire molto campo e influire pure nella trequarti avversaria, ma dovrà lavorare molto di più in fase difensiva, perché Inzaghi chiede molto ai suoi mediani.

 

L’arrivo di Hakan Çalhanoğlu a parametro zero dà a Inzaghi un giocatore da schierare nel posto che nella Lazio era di Luis Alberto, in attesa di capire il futuro di Eriksen. Il turco è un trequartista di grandi mezzi tecnici, ma

, per stile di gioco e caratteristiche: il meglio di sé lo dà quando ha campo davanti, con gli avversari disordinati, mentre ha più difficoltà quando si tratta di manipolare la pressione avversaria, o prendere il pallone per farlo risalire in conduzione. L’utilizzo di Çalhanoğlu potrebbe declinarsi quindi in due modi: da mezzala in una squadra ancora più diretta, dove avrà il compito di lanciare subito in verticale, oppure in un ruolo più avanzato, magari nel mezzo spazio di sinistra, dove può ricevere dopo la prima verticalizzazione e andare verso le due punte. Un sostituto tecnicamente adatto a prendere un ruolo alla Luis Alberto, l’Inter potrebbe comunque avercelo in casa, ed è Sensi, che però è tormentato da continui problemi fisici.

 

In attesa di vedere Çalhanoğlu, resta da capire in che modo l’Inter deciderà di rimettere a posto la batteria di esterni, orfana di Young e (soprattutto) Hakimi. La partenza dell’inglese è stata colmata dal ritorno di Dimarco, che oltre a offrire un’opzione in più in difesa offre un’ottima alternativa a sinistra; per sostituire il marocchino, Marotta ha detto che la dirigenza dovrà «avere pazienza del cogliere le opportunità […] con creatività e fantasia». Nelle ultime settimane sono stati fatti i nomi più disparati: i nerazzurri sono stati accostati a Bellerin, Zappacosta, Dumfries e persino Dest, ma in questo momento la pista più calda sembra quella che porta a Nandez del Cagliari, a cui l’Inter ha già ceduto Dalbert (e forse farà lo stesso con Nainggolan). L’uruguaiano è un giocatore con grande ritmo, molto duttile e abbastanza pulito tecnicamente, capace di giocare sia esterno di centrocampo che mezzala: non sarà sufficiente a sostituire Hakimi, ma in questo momento sembra l’operazione più logica possibile.

 



La partenza di Hakimi è stata un duro colpo per la squadra, ma se sarà l’ultima cessione importante Inzaghi potrà tirare un sospiro di sollievo. Alla sua prima esperienza lontano da quella che è stata la sua casa per più di vent’anni, il tecnico ha trovato una squadra adatta al suo calcio, che nonostante il ridimensionamento gli garantirà una rosa migliore e più ampia di quelle avute in passato. All’Inter lo aspetta una difficile transizione, ma sembra pronto al compito: nei suoi cinque anni alla Lazio Inzaghi si è dimostra un tecnico moderno e flessibile, capace di trarre il meglio dalle risorse a disposizione, e non ha paura a cambiare. Sulla carta sembra l’uomo giusto, ma alla fine – come sempre – deciderà il campo.

 

 

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