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Intorno a Maradona
19 ott 2015
Piccolo ritratto familiare del Pibe de Oro, costruito chiacchierando con qualche personaggio che lo ha conosciuto da vicino.
(articolo)
13 min
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Il quadrilatero composto dalle strade Gavilán, Juan Agustín García, San Blás y Boyacá racchiude uno stadio vecchio e arrugginito, casa dell’Argentinos Juniors, che oggi porta il nome di quello che per molti è il più grande calciatore di sempre: Diego Armando Maradona.

È in questo fazzoletto di terreno che è cominciata la carriera del “Pibe de Oro”. Fu lì che per la prima volta Maradona attirò l'attenzione su di sé e il suo nome è comparso in un articolo: nel 1971, quando si mise a palleggiare durante l’intervallo di una partita per il piacere del pubblico presente e, il giorno dopo, il principale quotidiano argentino El Clarín parlò di un giovane fenomeno chiamato “Diego Armando Caradona”. Un errore di battitura o di stampa che nessuno avrebbe più ripetuto.

Scrivere di Maradona è difficile, per farlo ho incontrato alcune persone che lo hanno conosciuto da vicino e che lo hanno accompagnato nelle varie tappe della sua carriera. Partendo dal suo primo ufficio stampa Guillermo Blanco, ho poi tracciato questo percorso rifugiandomi nelle dichiarazioni di chi con lui ha condiviso lo spogliatoio del Boca, come Miguel Brindisi, del Barcellona, come Marcos e Pichi Alonso, e del Napoli, come Eraldo Pecci. Inoltre, fondamentali sono stati gli incontri con Josep María Minguella, intermediario catalano, Juan Carlos Laburu, suo ex cameraman, Fernando Signorini, suo ex preparatore atletico, e ovviamente con l’ex massaggiatore Salvatore Carmando, che da Napoli lo accompagnò in tutti i suoi trionfi.

Argentinos

Nel dicembre 1973 a Cordoba si disputavano i Giochi Evita e le Cebollitas erano presenti come vincitori del torneo di Buenos Aires. In quell’occasione Guillermo Blanco, allora giovane giornalista, parlò per la prima volta con quel piccoletto dagli occhi vispi del quale qualche anno dopo sarebbe stato ufficio stampa personale, seguendolo fino a Napoli.

La squadra di Diego perse la semifinale contro una compagine sconosciuta di Santiago del Estero, città del profondo entroterra argentino, composta da giovani calciatori che vivevano di carne e pesce da loro stessi procacciati: «Erano ragazzi ancora più umili di Maradona e compagnia e avevano più fame, in tutti i sensi», dice Blanco. Che ricorda ancora: «La semifinale si decise ai rigori e Diego ne sbagliò uno. L’anno successivo, però, le “Cebollitas” si rifecero vincendo i Giochi Evita e da quel momento Diego non si fermò più».

Dal 1976 in poi la carriera di Maradona e di Blanco andarono di pari passo e il giornalista dell’importante settimanale El Gráfico iniziò a essere considerato come il "Maradonologo" per eccellenza. Il primo contratto professionale con l'Argentinos Juniors fu firmato nel 1976 e fu sancito da un asado a Villa Fiorito, quartiere popolare dove nacque Diego, e condito dalla concessione di un appartamento nel modesto quartiere di Floresta, dove gioca le sue partite casalinghe il Velez Sarsfield. Fu proprio in quello stadio, utilizzato dall’Argentinos in via del tutto eccezionale per l’importanza dell’incontro di campionato in programma, che il 9 settembre 1980 Maradona passò virtualmente dall’Argentinos al Boca, facendosi applaudire dai tifosi xeneizes dopo il secondo dei quattro gol a Hugo Gatti, portiere che il giorno prima lo aveva stuzzicato chiamandolo gordo y petisso.

Fu in quell’occasione che per la prima volta i tifosi del Boca lo applaudirono, come se sapessero che Diego sarebbe approdato nella loro squadra poco dopo. Tuttavia quel passaggio, che sarebbe stato ufficializzato qualche mese dopo, rischiò di restare una semplice ipotesi.

Boca

Barcellona lo aspettava già dal 1978, quando l’intermediario catalano Josep María Minguella lo aveva adocchiato per caso mentre seguiva un altro calciatore dell’Argentinos Juniors: «Ero a Buenos Aires per visionare Jorge López, che sarebbe poi finito al Burgos, ma rimasi stregato dal sinistro di Diego, e lo proposi subito al Barcellona, con il quale avevo contatti intimi. Dal club mi diedero rapidamente il placet e provai a portare Maradona in Catalogna subito dopo il Mondiale del 1978», afferma Minguella.

Ma qualcosa di più grande di lui impedì il passaggio del Pibe de Oro in blaugrana: «Quando sembrava praticamente tutto fatto, venni convocato personalmente da Carlos Lacoste, ex ammiraglio e tra i principali organizzatori dei Mondiali appena disputati, nonché intimo amico di Julio Humberto Grondona (da lui insignito presidente dell’AFA, ndr). Mi recai all’ESMA, che per me era un luogo come un altro e dove non sapevo venissero sequestrati alcuni tra i contestatori della dittatura. Un brivido mi percorse quando fui costretto ad attraversare un lugubre corridoio scuro alla fine del quale un soldato che imbracciava un fucile mi fece entrare nella sala dove mi attendeva Lacoste. Non mi sentii minacciato in nessun momento, ma l’ex ammiraglio fu chiaro dicendomi "Il paese ha bisogno del Pibe", chiudendo così ogni opportunità di trasferimento al Barcellona».

Tre anni dopo Maradona passò quindi al Boca, dove fece subito pace con Gatti e strinse una relazione di amicizia vera con Miguel Brindisi, che ebbe la fortuna di formare una splendida società con Diego: «Ero arrivato anch’io nella stessa sessione di mercato e dalla prima partita fu evidente il nostro feeling in campo, visto che segnammo entrambi una doppietta. Inoltre eravamo compagni di stanza». I ricordi di Brindisi sono quelli di una persona privilegiata che ammette: «Noi compagni di squadra abbiamo goduto molto di più del suo immenso talento rispetto ai tifosi, perché in ogni allenamento tirava fuori un gioco di prestigio nuovo e inarrivabile. Vincemmo quel torneo di Apertura grazie a lui che giocò due mesi con una rottura fibrillare nel retro della coscia sinistra, qualcosa che nessun altro avrebbe potuto sopportare».

Maradona e Hugo Gatti.

Brindisi ricorda giocate straordinarie come quella vista nel campo del Colón, in quel di Santa Fe: «I padroni di casa si giocavano la salvezza, mentre noi andavamo lì per affermare il nostro dominio. Si trattava di uno degli stadi più caldi del paese, non per altro lo chiamavano "Il cimitero degli elefanti". Il gol che sbloccò il risultato nacque da una giocata di Diego nella quale egli esibì non solo classe sopraffina, ma anche una forza non comune. Fu letteralmente falciato sulla fascia sinistra, ma si rialzò in un secondo e arrivò sul fondo per fare un cross con una tijera (un taglio con l’esterno del piede) che Escudero mise in porta. Si trattò di una giocata unica, perché qualsiasi altro calciatore avrebbe perso l’equilibrio e sarebbe finito sui cartelloni pubblicitari dopo il cross».

Barcellona

Maradona arrivò in Catalogna nel momento in cui la dittatura iniziava a perdere colpi, subito dopo la guerra delle Malvinas. Ma l’avventura catalana iniziò male e finì peggio. La mezzapunta argentina calcò per la prima volta il Camp Nou il 13 giugno 1982 nella partita inaugurale della Coppa del Mondo e non riuscì a evitare la sconfitta della squadra campione in carica contro il Belgio.

Sempre a Barcellona, ma nell’ormai defunto stadio di Sarrià, Diego perse la testa e si fece espellere per un fallaccio su Baptista, quando i suoi ormai perdevano per 3 a 0 e dicevano addio al Mondiale. Pochi giorni dopo l’eliminazione, Maradona arrivò al MiniEstadi, di fronte al Camp Nou, per la prima sessione di allenamento del Barcellona di Udo Lattek, tecnico tedesco. Quel giorno Marcos Alonso, padre dell’omonimo esterno sinistro della Fiorentina, anch’egli appena ingaggiato, si accorse di avere davanti a sé un prodigio: «Prima dell’allenamento ci consegnarono i calzettoni arrotolati tipo gomitolo. Diego ne prese un paio e iniziò a palleggiarci. In quell’istante mi resi conto di trovarmi dinanzi a un fenomeno».

Alonso fu uno dei componenti della combriccola di Diego insieme a Migueli, Julio Alberto e Lobo Carrasco. Questi quattro, oltre a Josep María Minguella, erano abituali frequentatori della villa di Diego, dove giocavano a tennis tra un sorso di mate e un boccone di entraña (tipico taglio di carne argentino). Il tutto nel lussuoso quartiere di Pedralbes, nella zona nord della città catalana. Ma le circostanze non favorirono l’esplosione di Diego, un argentino umile inserito in un borghese contesto catalano che in alcuni casi gli fu troppo ostile. In ogni caso, dopo aver contratto l’epatite virale, Maradona fu costretto a uno stop di 3 mesi, ma al rientro partecipò con un finale di stagione strepitoso (5 reti nelle ultime 3 partite) alla vittoria della Coppa del Re e di quella che si chiamava Coppa della Liga.

«Il bambino sperduto dei primi giorni si stava trasformando in un campione, quello che tutti aspettavano al Barcellona», afferma Pichi Alonso. Il padre del terzino della Fiorentina era un attaccante di scorta di quel Barça, ma anche il primo contatto di Maradona, sull’autobus che nel primo giorno di preparazione portava la squadra all’allenamento. «Senza dubbio è stato il più grande di tutti i tempi», continua Alonso. «Era l’unico ad andare a fare la spesa al supermercato e a fermarsi per fare 200 foto al giorno. E in campo non ho mai visto nessuno come lui solamente per il fatto di restituirmi sempre bene delle palle che gli avevo passato male».

Pichi non dimenticherà mai un episodio in particolare, il gol di Diego alla Stella Rossa di Belgrado nel match d’andata degli ottavi di Coppa delle Coppe 1982-83: «Quel giorno Diego mostrò a tutti di non essere un calciatore comune. Arrivò sul perimetro e diede un tocco di sinistro che scavalcò il portiere prendendo una parabola particolare, perché la palla scese in maniera repentina, come se fosse stato al rallentatore. Anche al Bernabéu, contro il Real Madrid, Diego scartò il povero San José sulla linea di porta e fu applaudito dal pubblico rivale, qualcosa mai accaduto in precedenza». Ma tutto ciò non bastò per farsi amare del tutto dal pubblico catalano e della dirigenza di Josep Lluis Núñez.

Secondo Minguella le cause principali del mancato successo di Maradona al Barça furono la malattia e il grave infortunio: «Le qualità per esplodere c’erano tutte, ma quell’infortunio e l’epatite dell’anno prima impedirono a Diego di trovare la giusta continuità». Nel frattempo l’aria intorno a lui si faceva pesante e la brutta fama degli argentini che vivevano in Spagna alimentava malelingue sui suoi comportamenti notturni.

Il suo cameraman, il compatriota Juan Carlos Laburu, ebbe moltissime difficoltà a trovare un appartamento a causa delle dicerie sugli argentini e riuscì a ottenere un tetto solo grazie all’intercessione di Jorge Cyterszpiler, amico e agente di Diego. E fu proprio quest’ultimo, come racconta Blanco, che sancì il passaggio di Maradona al Napoli, quando un giorno chiamò Ferlaino per telefono, insieme a Minguella, fingendo di essere il presidente Núñez.

Antonio Juliano si recò subito a Barcellona per chiudere l’affare, ma quando Núñez scoprì di essere stato "raggirato" impedì il trasferimento del calciatore. Erano gli ultimi giorni di mercato e Miguella ricorda: «Juliano si trovava disperato e con un pugno di mosche nell’hotel Juan Carlos I, a 10 minuti dal Camp Nou. Sapevo che stava per partire per Madrid per provare a prendere Hugo Sánchez, ma riuscii a fermarlo giusto in tempo, prima che andasse all’aeroporto. Ero riuscito a convincere Núñez della bontà dell’affare, perché Diego non voleva altro».

Decisiva fu la pressione di Cyterszpiler, che aveva già stuzzicato Maradona durante la corte spietata della Juventus: «Se vai alla Juve vincerai uno scudetto come tanti, se vai al Napoli, sarai nella storia per sempre». Nel maggio 1984 il Barça era andato in tournée negli Stati Uniti e dal nulla spuntò una maglia del Napoli con la quale Diego posò sorridente. Un segno del destino.

Napoli

Sebbene per molti la leggenda di Maradona ebbe inizio il 5 luglio, giorno della presentazione ufficiale, la prima vera scintilla dell’amore tra Diego e il suo nuovo stadio era scoccata il giorno prima, quando lui, Blanco e il suo cameraman personale Juan Carlos Laburu si recarono in gran segreto al San Paolo. Lo stesso Blanco racconta dell’entusiasmo di Diego al calcare il terreno di gioco: «In campo c’erano l’allenatore Rino Marchesi e il suo secondo Alfredo Delfrati e Diego calciò una punizione all’incrocio dei pali così, come se nulla fosse, tra lo stupore degli allenatori e dei pochi presenti, concludendo il tutto con una fragorosa risata di compiacimento».

Maradona era così entusiasta che una delle prime volte, rientrando negli spogliatoi per farsi la doccia esclamò sorridente, rivolgendosi a Cyterszpiler: «Cabezón, questo mi ricorda l'Argentinos». La passione per Napoli avvolse anche Signorini e Laburu, inizialmente guardinghi e avversi, come si envince dalle parole del preparatore atletico: «Mentre un'auto ci portava dall’aeroporto di Capodichino allo stadio attraverso la tangenziale vedevo una città fatiscente e pensavo di essere arrivato in un luogo peggiore di Buenos Aires. Diego però guardava divertito oltre il finestrino e si soffermò su dei ragazzini che giocavano a pallone per strada, quegli stessi ragazzini dei quali sarebbe diventato idolo da lì a poche ore».

Signorini aveva conosciuto Maradona a Barcellona, ed era diventato il suo prepatore atletico personale meno di un anno prima: «Una mattina Diego arrivò per primo all’allenamento e trovò tutto chiuso. Io lo rimproverai affettuosamente dicendogli che per una volta che arrivava presto non poteva iniziare ad allenarsi. Dopo qualche mese ero il suo preparatore atletico personale, ma senza aver firmato alcun contratto. Mi fidavo della sua parola».

Sulla stessa falsariga ebbe inizio la splendida relazione tra l’argentino e Salvatore Carmando, massaggiatore del Napoli che rivela: «Da Diego non ho mai avuto niente sotto forma di soldi, il nostro fu un rapporto di amicizia e di lavoro cristallino. Dal primo momento che mi vide lavorare si innamorò delle mie mani e da lì nacque una grande amicizia. Rimase incantato dal mio modo di trattare i suoi muscoli con il mio unguento di produzione familiare tramandatomi da mio padre. Con lui andai anche ai Mondiali del 1986 come massaggiatore personale, ma ricordo che qualche volta mi "prestò" anche a giocatori come Valdano e Ruggeri» afferma il massaggiatore che prima di ogni partita veniva baciato in testa da Diego: «Un giorno mi prese, mi baciò in testa e disse "Grazie Dio", e da quel momento non smise più di farlo».

Un massaggio in particolare resterà impresso per sempre nella memoria di Carmando, quello di domenica 3 novembre 1985, giorno di Napoli - Juve: «Eravamo negli spogliatoi e mi disse "Oggi vinciamo e segno io su punizione", e così fu». In quel gol su punizione indiretta in area che tuttora spopola su YouTube non ci fu solo la genialità di Diego, ma anche il tocco di Pecci, suo condomino e spesso ospite a casa sua in vari pranzi e simposi: «La distanza era minima e io titubavo prima del passaggio, ma Diego insisteva e io, dopo un po’, gli dissi "fa’ quello che ti pare, tu sei Maradona", e fece un gol che solo lui avrebbe potuto fare».

Signorini e Laburu presero entrambi casa a Posillipo, vicino a quella di Diego in via Scipione Capece, dalla quale le viste della città rapirono il cuore di tutti, soprattutto di Laburu, che ancora oggi vive a Napoli, nel comune di Giugliano: «Fu proprio qui, nello studio dentistico del dottor Antonio Agliata, che Diego si rese conto di quanto lo amassero i napoletani pochi giorni dopo il suo arrivo. Il dottore era conosciuto da tutti nel circondario e dopo poco la porta del suo studio fu invasa da tantissimi tifosi. Era di notte, ma la voce si era sparsa e non potevamo uscire. Fu il dentista a trovare l’unica via d’uscita: dato che lo studio era al primo piano ed era adiacente a una caserma dei carabinieri, dalla quale si poteva accedere saltando, ci fu proposta questa soluzione. Tra lo stupore e le risate generali, quella di Diego in primis, tutti noi accettammo di buon grado di saltare da una finestra all’altra». Maradona era arrivato a Napoli da pochissimo, ma era già nel cuore di tutti, prima ancora di iniziare a vincere.

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