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Bisogna lavorare su quello che c’è, intervista a Sara Gama
18 giu 2025
Abbiamo parlato con la capitana della Juventus a pochi giorni dal suo addio al calcio.
(articolo)
8 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Siamo in molti a dover qualcosa a Sara Gama, non solo chi gioca a calcio o sogna di farlo. Nel mio piccolo, le devo molto anche io perché probabilmente senza ciò che ha fatto e quindi senza l’introduzione del professionismo, oggi non avrei un lavoro.

È una cosa su cui ho riflettuto parecchio mentre la osservavo fare il giro di campo nella sua partita di addio all’Allianz Stadium, e mi sono resa conto di non essere la sola ad aver provato questa sensazione. A dire il vero è una cosa che ho iniziato a realizzare molto prima, parlando fuori dallo stadio con persone che in mano avevano cartelli e striscioni dedicati a lei. A differenza di quanto si possa pensare non erano solamente bambine o ragazzine che giocano a calcio. Moltissime erano donne adulte della generazione di Gama e della successiva, le stesse che non avendo potuto concretamente coltivare il sogno del calcio come lavoro, oggi sostengono da vicino chi invece quel sogno lo sta vivendo e ha fatto di tutto per realizzarlo. E penso che questo, nonostante un forte sottofondo di rammarico, sia il riconoscimento più bello, nonché quello che ci permette di capire quanto e in che misura Sara Gama sia una figura trasversalmente centrale nell’universo del calcio femminile italiano.

Ne abbiamo parlato, in parte, nel corso della nostra conversazione. Conversazione alla fine della quale, ammetto, sono rimasta stupita dalla quantità di cose che ho sempre dato per scontate. Dalla quantità di energie che avere una doppia carriera comporta, alle pressioni a cui si è sottoposti giornalmente dentro e fuori dal campo per far sì che le cose continuino a funzionare e propendere verso una certa direzione.

Prima della tua ultima partita allAllianz fuori dallo stadio si avvertiva quell’aura di solennità che accompagna gli eventi della storia, tu questa cosa l’hai percepita?

Sì devo dire che un po’ l’ho percepita, anche se sapevo che quello era un evento importante non solo per me ma per tutte noi perché festeggiavamo lo scudetto. Al mattino ho ricevuto un sacco di messaggi da parte di compagne e avversarie. La partita è stata in qualche modo un contorno e non mi aspettavo di tutto quello che hanno preparato compagne e avversarie in campo. Più che la partita è stato il periodo a essere speciale anche perché siamo tornate a vincere. Era anche l’ultima partita di Lisa Alborghetti, compagna di tante battaglie in Nazionale, e anche l’ultima in Italia di Sofie Pedersen che nell’anno prima del Mondiale ha segnato quel gol storico davanti ai 40mila dell’Allianz Stadium. Più che una bella giornata è stato un mese di festeggiamenti, bellissimo.

Com’è stato vivere le tue ultime volte?

La verità è che sono arrivata a queste ultime volte in modo sereno, senza darci troppo peso. Ho maturato da tempo la decisione di ritirarmi dal calcio quindi ho avuto tempo per metabolizzare tutto al meglio. La mia attenzione nell’ultimo periodo era rivolta all’organizzazione di varie cose, la mia famiglia che veniva per la prima volta tutta insieme a Torino, le riunioni di lavoro con AIC e con il Consiglio Federale. C’è stato poco spazio per pensare a queste cose, il che rispecchia bene la mia personalità e la mia vita.

Le emozioni per il mio ritiro le ho vissute di più sugli altri, ti faccio un esempio: quando mi sono trovata nella stanza con le persone con cui dovevo girare il video del mio addio, sono rimasta piacevolmente colpita dalle loro reazioni. Per me in quel momento stavo semplicemente portando a compimento qualcosa, come se stessi mettendo la spunta su una lista di cose da fare. È soprattutto grazie al modo in cui mi hanno fatta sentire gli altri che mi sono goduta il momento.

Durante il giro di campo allAllianz hai stretto la mano a tutti senza lasciare indietro nessuno e ho notato che ti sei fermata in particolare da alcuni tifosi per ringraziarli. C’è qualcosa che ti è stato detto da qualcuno di loro che ti è rimasto impresso?

In realtà non c’è una cosa in particolare che mi ha colpita ma è tutto un insieme di cose. Quel giorno ho salutato in modo particolare i volti che ho visto praticamente sempre durante gli anni alla Juventus perché alcuni di loro ci hanno seguite veramente ovunque. La cosa più bella non è stata qualcosa che mi hanno detto ma la loro presenza costante, il rapporto che si è creato, questa gratitudine che loro manifestano sempre nei nostri confronti che in realtà è una gratitudine che sentiamo noi per prime verso di loro. Ovviamente noi siamo contente anche di chi viene e ci segue una volta sola ma le cose più belle e più importanti sono quelle che ti porti avanti nel tempo. Loro sono quelli che hanno capito il percorso, quelli che ci sono stati nel bene e nel male.

Mi stupisce sempre quanto impatto possiamo avere nelle loro vite, ma la gioia che ci hanno restituito in questi anni è la cosa più bella e anche quella che non ho mai dato per scontata.

Quando avete vinto la Coppa Italia hai alzato la Coppa insieme a diverse tue compagne e non da sola, è una cosa accaduta spontaneamente o un gesto che ha un significato particolare?

A dire il vero nei giorni precedenti avevo deciso che se avessimo vinto questa coppa non l’avrei voluta alzare io. Avevamo appena finito un mese di festeggiamenti per il mio ritiro e ritenevo che l’ultimo atto dovesse spettare a loro. Quando eravamo lì invece, io e le mie compagne storiche abbiamo discusso durante la premiazione, perché loro volevano che l’alzassi io. Alla fine dopo un po’ ci siamo dette: «Ok, sai che c’è? Lo solleviamo insieme».

C’è una frase che hai detto sul modo in cui si costruisce un gruppo solido, che mi ha colpita molto: «Devi voler bene alla tua compagna, ma non solo per divertirsi in campo. Devi voler bene anche a quelle con cui non ti trovi bene». Da capitana, senti di esser stata il tipo di leader che ha favorito questo tipo di mentalità?

A modo mio sì, io interpreto così l’essere capitano. Ho voluto sinceramente bene a tutte le mie compagne. Voler bene e saper comprendere le compagne in tutte le loro sfaccettature aiuta a far venire fuori il meglio di ciascuna. Fuori dal campo si può andare più o meno d’accordo ma in campo bisogna volersi bene per raggiungere gli obiettivi che si hanno come squadra. Tutto quello che sta fuori è un valore aggiunto ma è chiaro che più rapporto hai e meglio è. Non importa che tu abbia un rapporto di lunga o di breve data con qualcuno, a me piace entrare in connessione con le persone e prendere il meglio da ciascuno, poi ovviamente è uno scambio che va in due direzioni. Ci sono tanti modi di voler bene alle persone, molti di questi me li hanno insegnati le mie stesse compagne.

C’è stato qualcuno che nella tua vita ti ha trasmesso questi valori e che è stato per te un modello?

Non mi sono ispirata a nessuno in particolare, penso di aver costruito la mia storia con le mie gambe. A qualcuno mi sono ispirata sì, però non ho avuto modelli, mi sono ispirata alle persone che ho incontrato ogni giorno nella mia vita. Le mie compagne, allenatori, insegnanti, tutte le persone che mi stanno attorno nel quotidiano. Mi piace pescare da tutti perché tutti ti danno un pezzettino se sai coglierlo.

C’è un momento particolare della tua carriera che vorresti rivivere? Qual è invece il momento di cui sei più orgogliosa?

Più che un momento particolare, quello che porterò per sempre con me è una sensazione. La sensazione di essere stata riconosciuta per ciò che ho fatto dentro e fuori dal campo. Lo metto come prima risposta alla prima domanda ma anche alla seconda.

Poi il momento specifico di cui sono più orgogliosa è ovviamente l’approdo al professionismo e tutto quello che è stato fatto per seguire molte faccende fuori dal campo e nelle sedi in cui si prendono certe decisioni.

In questo tu sei stata una figura del tutto centrale e, come qualsiasi persona che si mette in prima linea per certe battaglie, immagino che tu abbia dovuto sacrificare qualcosa.

Il prezzo da pagare ha avuto in qualche modo a che fare con il motivo per cui sono arrivata in ritardo a questa chiamata.

Fare tutte queste cose fuori dal campo, avendo di fatto una doppia carriera e aumentando al contempo tutti gli impegni calcistici - abbiamo iniziato ad allenarci di più e in modo diverso, poi quando sono arrivata alla Juventus ero già consigliere federale - ha comportato il sacrificio di moltissime cose nella mia vita, affetti e tempo per me stessa su tutto.

Hai mai avuto, negli ultimi anni, la sensazione che la Sara Gama-icona abbia in qualche modo preso il sopravvento nellimmaginario comune sulla Sara Gama calciatrice? Ti è pesato?

Sì è una cosa che ho avvertito ma non è stato un peso, anzi, è stata una spinta perché c’è stato un momento in cui le cose andavano fatte di pari passo. Vincendo, soprattutto. Vincere, essere vincenti e avere una bella storia da raccontare fa molto. I risultati sul campo hanno dato forza sul resto, e d’altra parte non c’era un modo diverso in cui si potevano fare le cose.

Devo dire che lì per lì ero spinta da un’energia enorme nel raggiungere gli obiettivi, ma a posteriori ho sentito tutto in termini di stanchezza.

Poi è chiaro che in tutto il percorso avvertivo una certa pressione nel dover mantenere in parallelo ciò che si faceva sul campo e ciò che si faceva fuori perché sapevo che molto di quello che potevamo continuare ad ottenere passava attraverso i risultati.

In un mondo ideale non dovremmo poterci legittimare come donne e come atlete solo attraverso la vittoria, ma questo è l’unico mondo che ci è stato dato e io sono una persona molto concreta. Bello pensare al mondo ideale, ma bisogna lavorare su quello che c’è.

Ora che un capitolo importante della tua vita si è chiuso, qual è il sogno nel cassetto?

Sono una che viaggia a breve termine, sono molto curiosa e mi guardo intorno costantemente ma tutto ciò a cui mi approccio ha a che fare con cose a corto raggio, funziono così. Altre persone si pongono un obiettivo a lungo termine e seguono dei passi per raggiungerlo, ma io non sono quel tipo di persona, penso che da cosa nasca cosa.

Se penso ad un obiettivo a corto raggio mi piacerebbe si allargasse la base del calcio femminile italiano, molto è stato sdoganato sia per le bambine sia per le adulte ma bisogna fare di più.

Molte bambine oggi magari vogliono giocare a calcio ma non hanno il concreto accesso alla disciplina, il club vicino a casa dove andare a giocare e non a un’ora di strada.

Le cose nel calcio femminile si evolvono in modo molto veloce, ci sono tanti investimenti nuovi ed è tutto in divenire quindi non mi piace fare previsioni, in futuro raccoglieremo i frutti delle decisioni che abbiamo preso oggi.

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Bisogna lavorare su quello che c’è, intervista a Sara Gama