Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Mettere al centro il giocatore, intervista a Paolo Nicolato
11 giu 2025
Con il CT della Lettonia abbiamo parlato di metodologia, esperienza e nuove avventure.
(articolo)
21 min
(copertina)
IMAGO / Action Plus
(copertina) IMAGO / Action Plus
Dark mode
(ON)

Paolo Nicolato è uno degli ultimi tra i molti allenatori italiani che negli ultimi anni si sono seduti sulle panchine di Nazionali straniere. Il tecnico veneto è arrivato sulla panchina della nazionale della Lettonia a marzo 2024, dopo un lungo periodo da tecnico federale delle nazionali giovanili italiane.

L'ho contattato per parlare con lui di questa sua nuova avventura ma anche dei tanti anni passati a Coverciano.

Come procede l'esperienza da tecnico della Lettonia?

Bene, è un impegno full time. Fare un'esperienza all'estero era un mio desiderio: avevo più volte avuto l'occasione ma per motivi familiari avevo scelto di non farla. Ora mi sembrava il momento giusto. Mi interessava avere la possibilità di rimanere nel palcoscenico internazionale.

Cosa l'ha spinta ad accettare e quali sono i suoi compiti in questo nuovo ruolo?

Mi ha attratto molto quello che mi hanno offerto qui, ossia: fare non solo il commissario tecnico ma anche il responsabile di tutte le Nazionali giovanili, cercando di imbastire un progetto a medio/lungo termine per il calcio a queste latitudini, perché qui non è ancora ad altissimi livelli. La Lettonia è unPpaese piccolo, con pochi abitanti, dove il calcio non è lo sport nazionale (basket e hockey vanno per la maggiore). Mi ha incuriosito la proposta e mi ha attratto la forza con cui mi hanno voluto.

Devo dirti che non è facile, perché il livello del calcio lettone in questo momento è ancora basso, però stiamo lavorando per il futuro e per migliorare il migliorabile nel presente, cercando di porre delle basi e un metodo che possa consentirci e soprattutto consentire a loro in futuro di poter raggiungere risultati migliori.

Cosa le è stato chiesto quando è approdato a Riga? Le sono state fatte delle richieste specifiche a livello di risultati o di lavoro da fare sulla squadra?

Come dicevo poc'anzi, non mi sono stati chiesti in particolare i risultati: stiamo pur sempre parlando di uno Stato in cui la popolazione totale è di 1.800.000 abitanti, gli abitanti di una città medio-grande europea. Quello che mi è stato chiesto - che è anche il motivo per il quale ho accettato questo incarico - è proprio cercare di porre un punto di partenza, fare anche della formazione in questo senso, per lo sviluppo del calcio. Loro hanno voglia di svilupparsi e di migliorare, questa è stata la richiesta principale. Parlare di risultati a livello internazionale in una realtà come questa è veramente molto difficile al momento, ma siamo motivati ad ottenere il massimo.

Qual è la situazione a livello di infrastrutture sportive e di interesse dell'opinione pubblica per il calcio in Lettonia? Che problemi ci sono?

A livello di infrastrutture siamo ancora molto basici qui. Non ci sono grandi stadi: ce ne sono un paio più rilevanti, ma non parliamo di numeri esorbitanti, anche perché l’affluenza è piuttosto bassa. L'interesse che il Paese riversa nel calcio non è ancora come quello delle principali Nazioni europee, perché qui, come dicevo prima, c'è molto più interesse per il basket e per l'hockey, in virtù del fatto che in quegli sport hanno ottenuto e stanno ottenendo dei risultati. Comunque il calcio è lo sport più praticato; in termini di iscritti è quello che raccoglie più ragazzi. Tuttavia, a livello di interesse mediatico non è ancora molto popolare, anche in questo speriamo di migliorare.

Qui, poi, c'è anche un problema di clima. Stiamo parlando di un campionato che si gioca da marzo a novembre. La prima parte viene giocata su campi di erba artificiale per poi passare all'erba naturale. Non è semplice, perché il clima qui ha un'incidenza importante, perché c'è freddo fino a primavera inoltrata, perciò loro sono più propensi a prediligere sport indoor. Insomma, non è semplice, ma per questo interessante.

L'esordio nelle qualificazioni mondiali, contro Andorra, intanto è andato bene.

Avendo la necessità di lavorare maggiormente al chiuso, fate anche allenamenti di futsal?

In effetti qui il futsal è un po' più popolare del calcio per certi versi. Ci sono delle squadre che hanno al loro interno dei giocatori di livello internazionale; sono solo un paio magari, ma ci sono. E aiutano gli altri a crescere. Abbiamo portato qui anche l’ex commissario tecnico della nazionale di futsal italiana, Massimiliano Bellarte, che adesso è commissario tecnico della nazionale di futsal lettone. Tra i vari progetti che abbiamo in corso, stiamo anche cercando di creare una connessione, almeno nella fase iniziale, tra la pratica del futsal in età infantile e una potenziale evoluzione in calcio a 11 in età adolescenziale. Cerchiamo di avere dei programmi abbastanza unificati, che ci permettano un domani magari anche di trasportare qualche ragazzo dal futsal al campo da calcio a 11. Considera che qui nei 3-4 mesi invernali nessuno fa calcio, perché non è possibile. Soprattutto in quei periodi lì, dobbiamo trovare delle strade alternative per evitare che ogni tre anni i ragazzi ne perdano uno.

La Lettonia, essendosi staccata dall'Unione Sovietica al principio degli Anni Novanta, è una Nazione e una Nazionale giovane. In questi anni ha creato un'identità di gioco propria?

Non esattamente. Diciamo che, se proprio la vogliamo considerare, un'identità di gioco si è formata più che altro per esigenza. Si è sempre giocato un calcio molto difensivo, proprio perché non si riusciva a fare altro sostanzialmente. Quindi un calcio molto difensivo e molto fisico. Ovviamente non è un calcio tecnico, di possesso, anche perché le abilità dei calciatori in generale non erano così elevate. Se pensi che nessun giocatore della nostra Nazionale, per dirti, gioca nei primi 7-8 campionati d'Europa, ti fa capire le nostre difficoltà. Sappiamo di dover migliorare e lo faremo.

Nel campionato lettone ci sono un paio di buone squadre, ma con parecchi stranieri. Nella stessa categoria si passa quasi a un livello semi-professionistico, se lo guardo con gli occhi di un italiano, o quasi dilettante. Tatticamente hanno seguito per anni la cosiddetta “scuola Lobanovski”, ma la realtà è che anche ai tempi dell'ex Unione Sovietica la maggior parte dei giocatori provenivano dalla zona ucraina, tradizionalmente molto ricca di talento.

Per via del suo ruolo da “tecnico federale” ricoperto per sette anni, ho diverse domande proprio sulla sua esperienza a Coverciano. Partirei proprio da una comparazione tra i ct di estrazione della federazione e quelli “importati” dai club nelle Nazionali. Quali sono i vantaggi di scegliere gli uni o gli altri?

Difficile dirlo. Io ho fatto per 25 anni il tecnico nei club e da 9 anni (quasi 7 in Italia e 2 in Lettonia) ricopro questo ruolo di tecnico federale. Chiaro che sono due lavori completamente distinti, non c'è dubbio su questo. Il metodo di lavoro è totalmente diverso, le priorità sono totalmente diverse, e in Nazionale è importante capirle subito. La cosa importante è che non si può allenare una Nazionale con la mentalità di un club e viceversa. La capacità di adattarsi alla situazione è una cosa che ti dà un valore aggiunto, così come i giocatori devono adattarsi a delle situazioni nuove. Ribadisco, io ho lavorato per tanti anni nei club e magari lo rifarò ancora, perché l'aspetto del campo a me piace. In Nazionale ci sono altre priorità, devi focalizzarti su meno cose, ma devi farle bene, devi capire cosa puoi trasferire in breve tempo. Occupare questo ruolo ti trasferisce delle competenze e ti fa fare delle altre esperienze che tornano utili anche quando torni nei club, specie in termini di priorità e efficacia della proposta.

Nelle Nazionali italiane, da una decina d'anni a questa parte più o meno, si è provato a instaurare un progetto ambizioso: uniformare i principi di gioco tra Nazionale maggiore e le giovanili. Se penso però alla Nazionale di Mancini e alle Nazionali Under che ha allenato Nicolato, ricordo un modulo diverso e anche una proposta di gioco differente: le sue erano squadre più dirette, ad esempio. Ritiene che con le nazionali, specie giovanili, bisogna adattarsi al materiale a disposizione?

Penso che quello che noi dobbiamo cercare di uniformare sono i principi generali. Quando parlo di principi generali parlo di tattica individuale, della capacità di riconoscere le situazioni, della capacità di adattamento, della capacità di riconoscere i principi generali sui grandi temi, come può essere il pressing, il palleggio, come può essere quando, come e in che modo devi fare le cose. Ma poi, soprattutto in un contesto, quello italiano ma non solo, dove non c'è una grandissima scelta a livello di singoli, credo che sia giusto cercare di porre al centro dell'attenzione sempre il giocatore: cercare di capire quali sono i migliori giocatori che si hanno a disposizione e metterli nelle condizioni di agire e di rendere al meglio.

Questa è una scelta che io ho sempre fatto nella mia carriera, anche talvolta sacrificando le mie preferenze - perché ogni tecnico ha una preferenza - però, se mi rendo conto che i giocatori non sono adatti per fare quello che mi piace, sono disposto a cambiare, per adattarmi e mettere al centro il materiale umano a disposizione. Per me la centralità del calciatore è la parte essenziale. Sono sicuramente d'accordo invece sul fatto che i principi generali vadano uniformati. Principi che, però, non dipendono dai moduli o dalle filosofie di gioco, ma sono un'altra cosa. Sono principi che vanno riconosciuti in modo tale che il giocatore possa utilizzarli in situazioni differenti.

Nella mia esperienza, quando i calciatori giocano per me in un determinato contesto è perché abbiamo ritenuto che quello fosse il migliore per avere più possibilità di successo. Poi se le condizioni cambiano bisogna essere capaci di adattarsi molto rapidamente, perché io lavoro per principi e non per schemi, non mi interessano i moduli. Cerco di valutare i giocatori che ho a disposizione e le loro caratteristiche principali, soprattutto dei più bravi, e cerco di metterli in campo relazionandoli fra di loro nel modo migliore possibile.

Dopo l'addio all'Under 21 lei disse: «Per me si arriva in Nazionale maggiore con un po’ troppa facilità. Non è un messaggio che condivido in pieno: può essere pericoloso. Non è facile gestire i ragazzi che fanno il passaggio tra i grandi e poi tornano in Under 21».

Questo è umano. Se io ad esempio vado ad allenare in Serie A e poi l'anno dopo devo tornare in C, è umano che io, anche involontariamente, non sia motivato come prima. È un processo che tutti i giocatori attraversano, non solo nella Nazionale ma anche nei club. Ho allenato per tanti anni in Primavera, e quando un calciatore a quel tempo andava in Serie A e poi magari tornava indietro, chiaramente non era più il giocatore di prima a livello di motivazioni. Non è una colpa, è la realtà dei fatti. Chiaramente, quando uno arriva a un certo livello, cambia l'ottica, e fa fatica a tenere alto l'aspetto motivazionale in un livello inferiore.

In quel caso io ho espresso solo le mie perplessità. Credo che se un giocatore merita di andare in Nazionale è giusto che ci vada, sia che abbia 15 anni che ne abbia 40. Non ne faccio un discorso di età ma di merito. Credo che la Nazionale debba essere il sogno di un giocatore; questo sogno deve essere raggiunto da chi ha il merito di ottenerlo. Bisogna porre molta attenzione all'utilizzo che si fa della Nazionale, c'è una grande responsabilità. La Nazionale deve essere un punto di arrivo per un giocatore, di un percorso che gli ha permesso di esprimersi a livelli internazionali. Non era in nessun modo un discorso riferito al CT dell'epoca, Roberto Mancini, che ha tra l'altro avuto grandi meriti nella gestione e nel raggiungimento dei risultati.

Passo a una panoramica su alcune delle esperienze più significative da tecnico delle nazionali italiane. Europeo Under 19 del 2018: finale persa per 4-3 ai tempi supplementari contro il Portogallo. Che ricordo ha di quell'esperienza?

Bellissimo. Quello è stato il primo grande torneo che io ho fatto con l'Italia. In quella squadra c'erano moltissimi giocatori che adesso sono giocatori importanti anche nella Nazionale A. È stata un'esperienza bellissima, siamo arrivati in finale, dove abbiamo perso con un avversario probabilmente più bravo di noi. Abbiamo sì perso la partita, ma l'abbiamo giocata con grande vigore e grande tenacia, come sempre.

Quello è un gruppo al quale sono particolarmente legato perché è stato anche il primo gruppo che ho avuto in Nazionale. In sintesi, è un’esperienza che mi porto dentro. Quando parti con 53-54 squadre e arrivi ad ottenere una medaglia d'argento è una bella cosa.

L’anno dopo, nel 2019, quarto posto al mondiale Under 20 in Polonia, con la sconfitta in semifinale contro l’Ucraina.

Quell'anno abbiamo avuto la fortuna o sfortuna (dal punto di vista egoistico una sfortuna, ma se la guardo dal punto di vista della formazione una fortuna) di avere la contemporaneità con gli Europei Under 21, che quell'anno si giocavano in Italia. Quindi molti dei nostri migliori elementi erano già migrati verso l’Under 21. Penso a Bastoni, Kean, Zaniolo e altri, insomma erano 4-5 calciatori importanti. Anche quella è stata una delle esperienze che più ha dato forza alle mie convinzioni sullo spirito di adattamento, e ci sono diversi motivi.

Quali?

Abbiamo fatto una serie di invenzioni, alcune anche forzate, che ci hanno dato una grandissima esperienza a parer mio, perché è stata la dimostrazione che bisogna avere la forza di capire che delle volte bisogna partire dagli uomini e poi decidere quello che puoi fare. L’anno prima, per dire, giocavamo con il rombo, perché avevamo Zaniolo, che nel 2019 non era invece a disposizione. Abbiamo dovuto reinventare tutto in pochissimo tempo perché, quando fai l'Under 20, non hai competizioni durante l'anno, e spesso non hai neanche i giocatori a disposizione.

Lì, è stata la prima volta che abbiamo giocato con il 3-5-2, perché avevamo due punte. Abbiamo adattato Delprato a fare il centrale, ad esempio. Non avevamo molti centrocampisti, quindi ho dovuto adattare Luca Pellegrini mezzala sinistra. Avevo due quinti di centrocampo di qualità a sinistra [Luca Pellegrini, appunto, e Tripaldelli, nda] e non volevo lasciare nessuno dei due fuori, quindi ho parlato con Pellegrini e l'ho convinto a fare il centrocampista. In quella competizione è nata un'alchimia incredibile, c'è stata solo un po' di sfortuna alla fine, con un gol annullato un po' discutibile, ma al di là di quello avevamo fatto un percorso bellissimo, se penso che ad esempio schieravamo a centrocampo un ragazzo che giocava all'epoca in Serie C, ossia Salvatore Esposito che giocava a Ravenna, e non era una cosa banale.

Anche quella squadra lì si è rivelata ottima nel tempo: avevamo diversi calciatori che giocavano nelle serie minori che poi sono emersi ad alti livelli, come Gabbia che giocava nella Lucchese o Luca Ranieri nel Foggia.

Da esperienze molto positive passiamo a una negativa: l’Europeo Under 21 del 2023. Ricordo una sua frase: «Nel momento della difficoltà ci è mancato quel vissuto comune che rende una squadra più forte». Ce la potrebbe spiegare?

Quella ad esempio è una squadra che è stata esattamente l'opposto di quella che aveva fatto i Mondiali. Noi venivamo dal biennio precedente, culminato con l’Europeo del 2021, dove eravamo stati eliminati ai quarti di finale ai supplementari ancora dal Portogallo, giocando mezz'ora in dieci. Un’altra bellissima esperienza, dove - nonostante l'eliminazione - abbiamo fatto veramente bene. Nel 2023 invece è stato diverso. Quello fu un anno in cui da un lato stavamo cercando di rifondare la Nazionale A, quindi ci furono molti dei miei ragazzi chiamati in Nazionale maggiore, dall'altro ci furono una serie di problemi.

Abbiamo avuto diversi calciatori solo nell'ultima settimana prima di partire, poi ci furono situazioni particolari in un momento in cui il mercato era aperto. Insomma, per una serie di vicissitudini non abbiamo potuto, non avendo i tempi tecnici, creare quella cosa che per noi è sempre stato il punto di forza principale, ossia l'unità di gruppo. In più, qualche episodio non ci è girato bene. Nei momenti di difficoltà viene fuori quell'aspetto di unità, che in quel caso lì è mancato.

È una squadra a cui abbiamo voluto bene, con un gruppo di giocatori che conoscevo da molti anni e pieni di talento. Ma lì abbiamo avuto pochissimo tempo. Quel gruppo ha giocato la sua prima partita assieme durante l’Europeo, dopo che avevamo terminato le qualificazioni da imbattuti, durante il corso dell'anno non aveva mai avuto l'opportunità di giocare insieme. Non è stata colpa di nessuno, semplicemente non abbiamo avuto le possibilità per creare le giuste condizioni.

Adesso vorrei passare all'analisi nel dettaglio di alcuni calciatori da lei allenati nel corso degli anni. Partirei da quello che secondo me è uno dei calciatori simbolo del percorso di Nicolato nelle Nazionali italiane: Raoul Bellanova. Quali qualità trovava e trova in Bellanova che l'hanno convinta a dargli sempre fiducia? Sempre su Bellanova: da quando gioca ad alto livello (quindi Cagliari, Inter, Torino e Atalanta) ha sempre giocato come quinto di centrocampo. Pensa che possa essere impiegato anche da terzino destro puro?

Devo dire che ci sono parecchi giocatori che sono stati con me per diversi anni e che sento particolarmente vicini in qualche modo. Uno di questi senza dubbio è Raoul, poi posso nominarne molti altri. Frattesi sicuramente è un altro, così come Scamacca, anche Bastoni all'inizio, poi lui per sua fortuna ha scalato presto le categorie.

Per quanto riguarda Raoul, innanzitutto in quel ruolo lì non abbiamo mai avuto molta scelta. Non è stato un ruolo che nelle annate 1999/2000 aveva molta abbondanza. A sinistra avevamo più opzioni, mentre a destra ho sempre fatto un po' fatica a trovare calciatori di livello internazionale, perché il campionato non ce ne proponeva. Bellanova è un giocatore che ha un passo straordinario e un gran dinamismo. Credo sia stato uno dei calciatori atleticamente più forti che io abbia allenato, forse insieme proprio a Davide Frattesi, che è un altro con una gamba importante. In campo internazionale questa è un'abilità che ti serve molto, perché è una cosa che ti permette di distinguerti ad alto livello, la dinamicità, la gamba, il cambio di passo.

In più era ed è un ragazzo che, una volta che si sente importante e si sente a suo agio, ti dà tutto quello che ha, come del resto Frattesi o Scamacca. Sono quei ragazzi che a me piacciono e ho sempre voluto avere al mio fianco, perché li sentivo miei in qualche modo. Ho avuto una esperienza molto lunga con loro, 4-5 anni insieme, che non si può cancellare.

Sull'altra domanda: per me gioca meglio a cinque. È un ragazzo che deve sentirsi un po' più libero di andare, quindi con la difesa a cinque è un po' più coperto. Le sue capacità tattiche possono essere migliorate; la difesa a quattro gli richiederebbe un po' più di attenzione tattica rispetto a quella che è invece la sua esuberanza dal punto di vista fisico e la sua voglia di andare ad attaccare.

Abbiamo introdotto il discorso su Frattesi, quindi passiamo a lui. Calciatore molto particolare, è diventato uno specialista come spacca-partita e come calciatore dagli inserimenti perfetti. Pensa che la sua evoluzione sia legata più nello specifico a questo aspetto o può diventare un calciatore più completo, che partecipi di più alla manovra?

Sono due cose difficili da avere insieme in un unico calciatore. Faccio fatica a pensare ad un centrocampista che partecipi molto alla fase di possesso e che al tempo stesso si inserisce molto, una caratteristica esclude l'altra in qualche modo. Davide è un ragazzo che ha bisogno di correre, ne ha bisogno perché è nel suo DNA. Ha una facilità di corsa straordinaria, è incredibile. Forse è il giocatore con più corsa che ho avuto, che non fa fatica a correre ed è giusto che corra, perché ha questa grande capacità di inserimento che gli ha sempre permesso di fare tanti gol, sia con le nostre Nazionali in ogni categoria, sia all'Inter dove fa tanti gol, sia al Sassuolo.

Doppietta di Frattesi e gol di Scamacca nell'Italia di Nicolato.

È chiaro che se si vuole fare il calcio, per dire, del Barcellona di Guardiola, Davide probabilmente non si adatta a quelle caratteristiche. Lui è una mezzala di inserimento, e sotto quel punto di vista per me è tra i più forti che abbiamo in questo momento. Non credo possa diventare un giocatore, per così dire, alla Jorginho o alla Verratti, un giocatore con quelle caratteristiche insomma. Credo che lui possa ancora migliorare e secondo me lo ha già fatto, è molto migliorato a parer mio nelle fasi di possesso, sul piano tecnico. Io penso sempre che bisogna sfruttare e potenziare le attitudini di un giocatore. Ma devo fare una considerazione più generale sul gruppo che ho seguito io.

Questo è un gruppo di ragazzi, quelli del gruppo 1999/2000 - che oggi tra l'altro è in buona parte in Nazionale maggiore - destinati a migliorare costantemente, perché si applicano molto, sono svegli e intelligenti, hanno un bel carattere. Sono tanti, sono bravi e sono molto felice del percorso che stanno facendo.

La costante del calcio di Nicolato, soprattutto nelle Nazioni giovanili italiane, è quasi sempre stata quella di giocare a due punte, ovviamente anche per via dei calciatori a disposizione, però è un fatto che lei ha spesso giocato a due punte, anche punte “pure” diciamo, nonostante si parlasse di calciatori con ottime basi tecniche come Scamacca o Pinamonti. Nel calcio internazionale, dopo un intero decennio in cui si è giocato quasi tutti col tridente e col 4-2-3-1, negli ultimi 5-6 anni è tornato il trend delle due punte pure. Come ritiene che oggi sia possibile mantenere imprevedibilità offensiva schierando due attaccanti di ruolo?

Guarda, io parto da quello che hai detto proprio all'inizio del tuo ragionamento, che è un ragionamento giusto, e ti dico che tutte le volte che ho giocato con due punte è stato perché consideravo che fosse un peccato giocarne con una sola,nel senso che avevo nel mio parco giocatori, penso all'annata ‘99, pochissime ali. L'unico ad avere le caratteristiche di ala pura forse era Sottil. Al contrario, invece, avevo diverse prime punte. Quando io ho questo tipo di ingredienti devo scegliere di mettere in campo i migliori giocatori possibili e trovare un equilibrio complessivo. La mia scelta, quindi, non è stata in virtù di una preferenza del gioco a due punte.

Io non credo che l'imprevedibilità dipenda dal collocamento dei giocatori in campo, ma credo che dipenda molto dalla capacità dei giocatori stessi di riconoscere gli spazi. Non è un problema di collocazione. La collocazione del giocatore come la pensiamo noi è statica, ma in realtà poi il gioco è dinamico e hai la possibilità di fare delle richieste di un certo tipo. Per esempio Scamacca è un giocatore che ha il fisico da prima punta ma può fare benissimo occupare spazi da seconda punta; Raspadori è un giocatore che può fare la seconda punta; Pinamonti invece è un po' più prima punta. Queste valutazioni ti aiutano a capire le richieste che gli puoi fare, ma non credo che sia dovuto alla collocazione o al sistema di gioco che ti dice se sei prevedibile se sei imprevedibile, se sei offensivo o difensivo, è una questione di interpretazione dei ruoli.

A proposito di punte italiane, lei ha appunto avuto a disposizione attaccanti come Scamacca, Pinamonti, Raspadori, Kean. Tutti giocatori che sono arrivati a un livello che possiamo definire medio-alto; probabilmente a tutti loro, chi a causa di infortuni chi per altri motivi, manca forse pochissimo per arrivare ad esplodere definitivamente. Cosa pensa che gli manchi? In Italia si parla ripetutamente del problema prima punta, è diventata quasi un'ossessione. Pensa che sia una questione ingigantita o il problema c'è?

No, non è un problema ingigantito, è un problema generale, non solo italiano. Se io penso alle prime punte di grandissimo livello in questo momento, guardando anche a tutte le altre squadre, non ce ne sono tantissime. Le puoi contare sulle dita di una mano, non di più. Un po' è stato anche a causa della filosofia del gioco degli ultimi vent'anni, in cui le richieste fatte agli attaccanti erano quelle di un gioco più manovrato, palla a terra, richieste di partecipare di più alla manovra. Questo chiaramente ha sviluppato dei giocatori con caratteristiche probabilmente un po' diverse. Centravanti che attaccano meno la profondità, usati più per accordare, per cercare di favorire gli inserimenti da dietro e così via. Io credo che la situazione attuale, quindi, sia stata forse un po' il risultato di questo tipo di filosofia. In questo momento credo che le prime punte molto forti siano Haaland, Lewandowski, Kane, poi faccio fatica a trovarne diverse altre.

Avendo fatto tutta la trafila delle Nazionali giovanili, lei ha lavorato a lungo con Maurizio Viscidi, coordinatore delle nazionali giovanili maschili in FIGC. Che tipo di rapporto aveva con lui? Quanto sono coinvolti i commissari tecnici nel TIPSS, l’innovativo metodo di valutazione creato da Viscidi per i calciatori da osservare?

Maurizio Viscidi è stata una figura molto importante all'interno del mio percorso. Innanzitutto perché è stata la persona che mi ha voluto in Nazionale; non ci conoscevamo personalmente, quindi è stata una persona che mi ha valutato esclusivamente per il mio lavoro. Mi ha voluto e mi ha permesso anche all'interno della Nazionale di fare un’esperienza di continua crescita e, insieme al Presidente Gravina che mi ha sempre dimostrato la sua stima, è sicuramente stato una figura fondamentale nel mio percorso.

Un percorso che è partito dall’Under 18 e si è sviluppata anno dopo anno fino all’Under 21, dove sono rimasto quattro anni. È stato una fonte importante, ma soprattutto tra noi c'è sempre stato un profondo scambio di conoscenze che mi ha fatto crescere molto, e spero di averlo aiutato anch'io in qualcosa. È una persona che sa molto di calcio e quindi per me aver avuto un rapporto - che è un rapporto che ancora adesso continuo ad avere con lui - è stata una cosa molto bella, mi ha cresciuto in qualche modo. In certe situazioni c'è stato dibattito, alle volte c'è stato confronto, ma mi sono sempre trovato di fronte una persona intelligente. Si è dimostrato, inoltre, una persona disponibile anche a capire le esigenze degli altri.

Sul metodo di valutazione: parlo per i sette anni in cui sono stato a Coverciano, ma penso che adesso sia lo stesso. Gli allenatori sono completamente coinvolti, ed è un metodo in continuo aggiornamento. Quella di Maurizio in Nazionale è una scuola che tutti gli allenatori hanno scoperto e studiato, perché comunque parliamo di un profilo che ha un'esperienza ormai molto lunga, soprattutto in campo internazionale. Se hai l'intelligenza di capire e di confrontarti è una cosa che può aiutare molto.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura