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Valentina Forlin
Il calcio femminile lo vedo in alto
27 gen 2022
27 gen 2022
Abbiamo intervistato Marta Carissimi, ex calciatrice e ora commentatrice e molto altro.
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Valentina Forlin
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Quando a sette anni ho chiesto a mio padre se potevo iniziare a giocare a calcio non era pronto. Mi rispose in maniera vaga che non era sicuro potessi, perché vicino casa c’erano solamente squadre maschili. Nonostante tutto, in virtù della mia insistenza quotidiana, un giorno mi disse che avrei potuto iniziare nella squadra del paese, dove giocavano anche i miei compagni di classe. Così il calcio divenne parte della mia vita da bambina. Divenne crescita, passione, scoperta, ma anche divario, quando a 13 anni iniziai ad accorgermi che le differenze fisiche con i miei compagni maschi diventavano ogni giorno più grandi. Fu a quell’età che decisi di passare in una squadra femminile, l’inizio di un nuovo percorso.

 

Gli anni del calcio femminile, passati tra la squadra del Belluno e quella del Vittorio Veneto, furono indimenticabili. Anni di lotte, di compleanni passati in qualche campo della regione, anni di treni, freddo, pioggia, fango, gioie. Facevo di tutto per non saltare neanche un allenamento, mettevo il calcio davanti a tutto, ma poi vedevo che per le ragazze più grandi di me non era così. A Vittorio ci allenavamo al campo accanto a quello della prima squadra e quando notavo l’assenza di qualcuna delle calciatrici che ammiravo ero molto delusa. Poi scoprì che oltre a giocare a calcio, lavoravano. Per me, ancora piccola, era inconcepibile: io volevo solo giocare a calcio.

 

Presto però anche io iniziai a fare i conti con la realtà: il calcio non mi avrebbe dato un futuro. “Il calcio non ti darà da mangiare, lo studio sì”, diceva mia madre arrabbiata ogni volta che fingevo di aver fatto i compiti per guadagnare un’ora di campetto in più. Alla fine mollai, come molte altre ragazze a cui è stato detto di scendere dalle nuvole perché non c’era futuro nel sogno di essere calciatrici e non era solo un discorso di non essere abbastanza brave o veloci: farsi strada nel calcio femminile è prima di tutto farsi strada in un percorso accidentato, pieno di dubbi e rinunce, con zero certezze.

 

Per fortuna però qualcuna non ha mollato: alcune sono rimaste ferme sui loro propositi, hanno lottato per un sogno che a molte altre sembrava troppo grande anche solo per essere pensato e perseguito. Marta Carissimi è una di loro. Ha esordito in Serie A nel 2003 con la squadra della sua città, il Torino. In 20 anni di carriera ha giocato con Verona, Inter, Fiorentina e Milan, più una parentesi allo Stjarnan, in Islanda. Tra Nazionale giovanile e maggiore ha vestito l’Azzurro per 87 volte.

 


Tullio M. Puglia/Getty Images


 

Nonostante la carriera a tempo pieno come calciatrice, si è laureata e ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia. Un percorso di vita, quello di unire calcio ai massimi livelli, studio e lavoro, che unisce molte calciatrici e che ha richiesto enormi sacrifici. Ma è proprio da qui, dall’impossibilità di poter giocare a calcio a tempo pieno, che nasce la battaglia di Marta Carissimi e di altre atlete come lei, che con i loro sforzi hanno gettato le basi per i progressi che sono stati raggiunti nel calcio femminile di oggi che si avvicina al professionismo anche in Italia.

 

Della sua carriera, dei suoi sforzi e di quello che sta facendo ancora oggi per il calcio femminile ne abbiamo parlato insieme.

 

 



 

Se penso agli ultimi anni sì, ma prima ero rivolta a tutta un’altra direzione. Il mio futuro, in realtà, avevo iniziato a preparalo subito dopo le superiori, quando ho scelto di studiare ingegneria gestionale e mi sono laureata sia in triennale sia in magistrale. Il mio obiettivo, da sempre, era portare avanti l’azienda di mio padre. Dal 2014 mi sono divisa tra il lavoro in azienda e il calcio. Pensa che quando giocavo al Milan mi svegliavo alle sei di mattina per andare all’allenamento, prendevo il treno alle 6:45 e poi una volta arrivata in stazione mi muovevo con i mezzi. Tra una cosa e l’altra arrivavo alle 9:30. Dopo l’allenamento facevo ogni volta una corsa per riprendere il treno e andare in azienda.

 

Lo vedevo così il futuro, diciamo, perché il calcio per me è sempre stato importante, ma sapevo che non poteva essere un lavoro. Poi verso la fine della mia carriera sono passata alla Fiorentina, che in quel momento era l’unica squadra maschile ad essere entrata nel calcio femminile. Lì ho iniziato a vedere che era tutto in grande evoluzione, ho visto cosa poteva nascere, ho visto nuove figure all’interno dei club più strutturati e ho capito che avrei potuto continuare in questo ambiente. Nella mia ultima stagione di calcio giocato, nel 2019/2020, ho iniziato una formazione accademica in questa direzione con un master in gestione degli impianti sportivi.

 

Durante il lockdown sapevo che avrei smesso di giocare e ho scelto anche di chiudere con il lavoro in azienda, senza sapere di preciso cosa avrei fatto, ma con la consapevolezza che avrei potuto dare qualcosa al calcio femminile. Così ho iniziato un percorso da libera professionista come consulente di marketing per le aziende – sempre con un focus sul femminile – mentre prendevo il patentino UEFA B come allenatrice per formarmi dal punto di vista tecnico.

 

Nel frattempo ho iniziato come commentatrice della Nazionale per la Rai e ho partecipato ad un corso sulla leadership femminile organizzato dalla FIFPRO. Sono state selezionate quattordici persone da tutto il mondo ed è stato stupendo, molto interessante e formativo. Per me come avrai capito la formazione conta tantissimo per comprendere la direzione che sta prendendo il calcio, cosa sta diventando, dove stiamo andando e per aprirmi a nuove opportunità.

 

Da poco ho terminato il corso in Management del calcio indetto da FIGC e Bocconi, un corso davvero interessante. Poi in tutto questo è arrivata anche la collaborazione con DAZN come commentatrice della Women’s Champions League: questo è il quadro, faccio un po’ di cose.



 

 



In realtà nel tempo libero cerco di fare tutti quegli sport che prima non potevo fare: bici, camminate, paddle. Il mio tempo nel fine settimana lo dedico alle partite di Serie A femminile. A volte guardo anche qualche partita della Women’s Super League, la Champions League ovviamente, e le partite più importanti di calcio maschile. A me il calcio femminile piace proprio seguirlo, quindi compatibilmente con il tempo a disposizione lo faccio sempre molto volentieri.



 

 



Mi formo per cercare di aprirmi ad altre opportunità. Mi piace molto quello che faccio, sicuramente se dovessero svilupparsi altri percorsi per stare sempre più vicina al calcio femminile in vesti diverse sarei pronta a coglierle.

 

Vorrei mettere a disposizione sempre di più la mia esperienza e le mie competenze, sia quelle che ho ottenuto studiando e formandomi sia quelle acquisite lavorando a trecentosessanta gradi nell’azienda di famiglia, dove mi occupavo un po’ di tutto in maniera trasversale. Ho fatto un percorso sia calcistico sia professionale, quindi le mie competenze non sono solo accademiche. L’obiettivo è questo, non saprei dirti con precisione in che vesti e in che ruolo.



 

 



Secondo me ci devono essere due componenti: la formazione e le opportunità. Per ambire a posizioni dirigenziali è fondamentale essere preparati e ben formati, poi però bisogna anche avere l’occasione di dimostrare le proprie competenze. Se questi due fattori non si intersecano ci possono essere tante donne preparate senza opportunità, ma anche donne a cui viene data ma non sono in grado di ricoprire una certa posizione.



 





È vero, però questo non era un corso ad accesso per punteggio come molti corsi della FIGC che guardano alla carriera calcistica e finiscono per favorire figure maschili. Era un corso più selettivo basato sulle esperienze di curriculum, e non tutti venivano dal mondo del calcio.

 

È vero anche che, in generale, per qualsiasi ambito, avere dei modelli aiuta a sapere di “poter diventare”, ma per fare in modo che questo avvenga bisogna lavorare molto; competenze e opportunità sono la chiave. Credo molto nel mix delle due cose e credo fortemente che avere donne nel mondo del calcio, come in qualsiasi altro ambito lavorativo, possa aiutare. Penso che il confronto fra generi, fra punti di vista diversi così come culture diverse, non possa che portare all’arricchimento. Vedere la stessa cosa da punti di vista differenti porta sempre ad una crescita.



 

 



Come avviene in tutti i percorsi di crescita, si cambia e si possono incontrare difficoltà lungo la strada. La cosa importante è che tutte le componenti – e parlo di Federazione, società, allenatori e calciatrici – siano unite verso lo stesso obiettivo, per affrontare gli ostacoli che verranno. 



 

 



 

I media occupano un ruolo fondamentale. Noi addetti ai lavori conosciamo bene il calcio femminile, le opportunità che questo può offrire e quanto sia appetibile il prodotto. Se ce lo teniamo solo per noi e nessuno ci aiuta a divulgarlo rimane una cosa solo di nicchia e in questo senso i media svolgono un ruolo cruciale.

 

Il Mondiale di calcio femminile del 2019 ne è stato un esempio: è arrivato a tutti, anche a chi non lo aveva seguito fino a quel momento. Anche grazie a partite iconiche come Italia-Brasile il pubblico si è appassionato al calcio femminile, un match che è stato visto da sette milioni di persone.

 

https://youtu.be/thEHbBwGyRo

 

Ora ci sono altri canali come DAZN che, pur essendo una Pay Tv, ha fatto una partnership con Youtube per trasmettere gratuitamente la Champions femminile. Oppure La7 che dà in chiaro una partita di serie A femminile ogni weekend. Ne cito solamente alcuni, però è evidente come i media siano determinanti affinché il calcio femminile possa amplificare il suo pubblico e dimostrare il suo valore.



 





 

Secondo me sta gradualmente crescendo. Il fatto di essere andati su La7 quest’anno è un ottimo segnale perché eleva il prodotto dalla nicchia, in più i club professionistici stanno facendo un ottimo lavoro a livello di comunicazione: al pari dei giornali possono essere validi promotori di informazione. Anche nei maggiori giornali sportivi si sta smuovendo qualcosa, e il livello crescerà di pari passo con la crescita del movimento. Ci sono delle logiche che hanno bisogno di tempo, a volte vorremmo tutto subito, però ogni cosa richiede il rispetto delle tempistiche.

 

Penso anche al fatto che sono passati già sei anni da quando la Federazione ha imposto alle società maschili l’obbligo di avere giocatrici tesserate Under12 e di acquisire il titolo sportivo. Abbiamo fatto degli enormi passi in avanti e siamo sulla strada giusta: adesso arriverà il professionismo ed è una cosa che avremmo voluto tanto, ne parlavamo da forse vent’anni ma i tempi non erano maturi. Ora che lo sono è importante che tutte le componenti funzionino in sinergia e i media in Italia hanno un grande compito in questo.



 





 

Concordo, però all’estero i processi di cui abbiamo parlato sono partiti almeno un decennio prima. Al contrario in Italia dobbiamo continuare a sensibilizzare il pubblico prima di pretendere. Al momento è fisiologico che ci siano certi nomi che spiccano più di altri: prima ci sono i frontmen e poi pian piano arriva il resto.

 

Il vantaggio attuale è che i club di calcio maschile hanno molto seguito e utilizzano i loro canali anche per parlare delle loro atlete; in questo modo raggiungono una fetta di pubblico molto più ampia rispetto alle testate dedicate che, al momento, sono seguite da una nicchia.



 



 

Il calcio è uno spettacolo e gli spettacoli vanno condivisi. Poi il telefono è un supporto nel momento in cui magari devi controllare una formazione oppure devi consultare un dettaglio statistico che non ricordi. Quindi sì, è molto utile avere il telefono carico. Iniziare la diretta sul mio profilo Instagram è stata una cosa naturale nel momento in cui avevamo capito che non potevamo riprendere la trasmissione.



 

 



 

In quella circostanza la Rai non poteva far nulla. Di lì a poco hanno staccato tutti gli alimentatori tv e sono venuti a informarci che se il generatore avesse ricominciato a funzionare avrebbe potuto supportare solo le luci del campo. È stato un problema non solo per noi, ma anche per tutte le altre tv locali presenti. La Rai è assolta in questa circostanza.

 

Qui si potrebbe aprire il solito discorso sulla qualità degli impianti che vengono utilizzati e messi a disposizione del calcio femminile, è la UEFA in questo caso che sceglie dove giocare in partite come questa.

 

Anche per noi è stato un momento di disagio, ci siamo trovati con gli schermi anneriti da un momento all’altro. Per fortuna avevo il telefono carico e ho cercato di far vedere gli ultimi minuti della partita dal mio profilo.



 



 

Il calcio femminile lo vedo in alto, lo vedo cresciuto. Non so in che misura ma secondo me tra cinque anni a livello mondiale avrà raggiunto standard sempre più alti. Mi auguro che anche in Italia sarà così. Spero di vedere il nostro calcio sempre più competitivo a livello internazionale.

 

Per quanto riguarda me invece, non so di preciso dove mi vedo e a fare cosa, l’unica cosa che auguro a me stessa è di essere felice qualsiasi sarà la mia strada.



 

 

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