Irma Testa è stata la prima pugile italiana della storia ad aver partecipato ai Giochi Olimpici, quelli di Rio de Janeiro del 2016, quando era appena diciannovenne. Il peso piuma classe 1997 ha vinto una medaglia d’oro, due medaglie d’argento (tra cui quella del 2014 alle Olimpiadi giovanili di Nanjing, in Cina, che le ha aperto le porte per l’ingresso nel corpo della Polizia di Stato) e tre di bronzo agli Europei femminili.
Il suo successo e il suo primato nel pugilato femminile hanno contribuito al suo successo mediatico, rendendola indiscutibilmente la pugile più seguita dal pubblico in Italia. Per la pugile originaria di Torre Annunziata, però, l’esordio olimpico è stata in realtà una grossa delusione, venendo eliminata dalla pugile francese Estelle Mossely. Una caduta molto pesante, al punto da portarla a una pausa di riflessione in cui è arrivata addirittura contemplare di smettere definitivamente con il pugilato.
La cronaca di quei mesi che vanno dalle fasi precedenti a Rio fino al momento di crisi personale sono state raccolte in un docufilm dal titolo Butterfly in cui Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman ci mostrano la pugile dentro e fuori dal ring. È grazie a questo film che è possibile dare un volto a tutte le persone che ricorrono nelle interviste a Testa. In particolare: il maestro Lucio Zurlo, il padre putativo che non le ha insegnato solo a combattere, ma che l’ha cresciuta quasi letteralmente anche fuori dal ring; e il responsabile del centro Nazionale Federale di Assisi, Emanuele Renzini, l’allenatore che l’ha seguita anche in ospedale, dopo ogni operazione che le è stata necessaria. Figure importanti per un’atleta che se n’è andata di casa a quindici anni per inseguire una carriera nel pugilato.
La storia di Irma Testa assomiglia a quella di un romanzo di formazione che racconta di una ragazza che, in assenza di altro, nel pugilato ha trovato quasi tutto, anche al di fuori dello sport. L’ho intervistata, quindi, per farmela raccontare, in vista di quei Giochi Olimpici di Tokyo che potrebbero farla emergere definitivamente come una delle punte di diamante dello sport italiano.
Ho visto che continui ad allenarti al Centro Nazionale Federale di Pugilato di Assisi in vista dei tornei di qualificazione per le Olimpiadi. Vista la grande incertezza sulle prossime Olimpiadi (qualche giorno fa era stata diffusa la notizia, poi smentita dal governo di Tokyo, che il Giappone stesse prendendo in considerazione la possibilità di cancellarle, nda) come ti senti in un momento così strano per lo sport?
Il tuo cammino verso Tokyo è stato interrotto durante il torneo di qualificazione a Londra nel marzo del 2020, un’interruzione che è stata fatta dopo una tua vittoria importante contro Sandra Brügger e il conseguente acceso agli ottavi del torneo. Pensi di riprendere da lì il discorso in sospeso o con tutto quello che è successo in mezzo ti sembra di dover ricominciare tutto da capo?
A suo tempo Roberto Cammarelle (Team Manager della Nazionale italiana, nda) aveva dichiarato che la notizia dell’interruzione aveva sconvolto la squadra, che tornare a casa da Londra sarebbe stato come vanificare gli sforzi di tutti i pugili e le pugili del team.
Secondo me uno dei temi più importanti per lo sport in questo momento è la salute mentale. Esiste un cliché secondo cui gli sportivi hanno una mente inscalfibile, persino più importante del corpo nel renderli vincenti. A me sembra invece che anche gli sportivi in questo momento stiano mostrando la loro umanità, la stanchezza e la difficoltà (vedi i tennisti reclusi nelle stanze d’albergo a Melbourne che palleggiano contro le lastre di vetro delle finestre) con cui cercano di mantenere quella che di solito è chiamata mentalità vincente. Da questo punto di vista, poi, il pugilato deve essere soggetto a più pregiudizi ancora più grandi…
A questo proposito dopo aver visto Butterfly mi sono domandata come stessi tu dopo l’eliminazione alle Olimpiadi di Rio 2016. Nel film si capisce solo che sei intenzionata a prenderti una pausa, per un momento pensi pure di tornare a Torre Annunziata. Io però mi sono domandata se ci sono ancora oggi conseguenze sulla tua mentalità, se ripensi ancora a quella sconfitta ai quarti di finale contro Estelle Mossely (peraltro quella che sarebbe stata la medaglia d’oro di quella edizione).
E poi oltre alla pressione psicologica della situazione in sé, derivante dal fatto che eri giovanissima e la prima donna pugile italiana a partecipare alle Olimpiadi, c’era anche la difficoltà di competere in una categoria di peso (pesi leggeri 57-60 kg) che non era esattamente quella a cui eri abituata.
Il maestro è un ruolo molto presente nel mondo della boxe. E infatti tu chiami Lucio Zurlo “maestro”. Ma mi sembra un rapporto ancora diverso rispetto a quello che si ha con l’allenatore di una squadra. Mi puoi spiegare meglio in cosa consiste questa figura?
Questo incontro come è avvenuto?
Da quando sei arrivata al Centro Nazionale Federale di Pugilato di Assisi il tuo allenatore è diventato Emanuele Renzini. Come è il rapporto con lui?
Come è arrivata la chiamata al centro pugilistico di Assisi?
La tua vita come è cambiata? Come hai fatto con la scuola per esempio?
Da un punto di vista tecnico quali sono gli aspetti che ti divertono di più, e i tuoi punti di forza.
In combattimento come gestisci emotivamente un colpo che entra e ti sorprende scoperta?
La tua situazione contrattuale è abbastanza privilegiata dato che fai parte del corpo della Polizia di Stato. Immagino che tu abbia tutto il tempo a disposizione che desideri per allenarti senza dover lavorare prima e dopo gli allenamenti. Mi puoi parlare un po’ delle tue sedute?
La tua chiamata in Polizia come è arrivata?
A parte l’allenamento ci sono altre prestazioni che sono previste da contratto?
E da un punto di vista dei diritti cosa ti succede se se ti infortuni o se resti incinta?
In un’intervista tu stessa hai dichiarato di essere stata meno tempo in strada, sin da ragazzina, grazie alla boxe, al contrario di molte ragazze tue coetanee che come un’unica alternativa hanno avuto la maternità, spesso molto presto. In che modo lo sport può dare una prospettiva alle ragazze che magari non provengono da famiglie abbienti?
Ovviamente anche tu ti sei confrontata con la miriade di stereotipi che hanno a che fare con gli sport da combattimento e le donne. Una serie di pregiudizi che per fortuna si stanno ridimensionando. A che punto siamo? Ci puoi dare una testimonianza di prima mano?
Ti piacerebbe usare la tua presenza mediatica come cassa di risonanza per farti portavoce di una categoria che, come hai messo in luce tu è vincente tanto quanto, e in certi casi pure più vincente, di quella maschile?
Se tu avessi la possibilità di influire sulle modalità con cui si parla degli sport da combattimento e le donne, se dovessi spiegare in maniera facile a qualcuno perché non esiste nessun motivo per cui una donna non debba fare a pugni per soldi, quale aspetto metteresti in evidenza?