L’avversione al rischio di Spalletti e Ranieri si manifesta in forme diverse, ma è uno dei tratti distintivi di entrambe le guide tecniche. Ranieri la mette a fondamenta del suo stesso impianto di gioco, e per questo non si spiega perché i difensori debbano controllare il pallone con i piedi. La riflette dentro la struttura tattica della squadra, dentro le scelte dei giocatori in campo, e inevitabilmente anche nei risultati.
Quella di Spalletti è più sottile, è una questione di fiducia, un valore indispensabile per il tecnico toscano (e che infatti ha finito per crinare anche il suo rapporto con Icardi). Spalletti crede vivamente nei suoi uomini e nel suo modulo, e fatica a discostarsene anche in condizioni estreme, soprattutto in occasione di partite decisive.
È un approccio alla gestione del gruppo e alla filosofia di gioco che sarebbe ingenuo demonizzare di per sé, e non solo perché connotativo della scuola tattica italiana. Il suo orizzonte di massima espressione è l’impermeabilità: non è un caso che la Roma abbia subito un solo gol nelle ultime tre partite, dopo averne subiti quattordici nelle precedenti sei, e non è un caso che l’Inter abbia una delle migliori difese d’Europa, con 15 partite chiuse a reti inviolate che rendono Handanovic il quarto portiere per clean sheet tra i cinque maggiori campionati europei (dopo Ederson, Alisson e Oblak).
Allo stesso tempo, questa forma estrema di prudenza ha il suo lato oscuro: tutti sanno che l’Inter fa particolarmente fatica a scardinare squadre compatte negli ultimi trenta metri (lo sapeva anche Ranieri), tutti sanno che è sufficiente giocare in anticipo su Dzeko per tagliare ogni rifornimento al gioco della Roma (il problema è che è veramente difficile). Come prevedibile, l’incontro tra Spalletti e Ranieri ha prodotto una partita poco spettacolare ma molto equilibrata, che fino all’ultimo minuto avrebbe potuto pendere da una parte o dall’altra, e che alla fine si è conclusa in un pareggio che non ha spostato la classifica di un centimetro.
Anche quando l’Inter ha provato a uscire da uno spartito più conservativo e a forzare giocate tra le linee, la compattezza della Roma consentiva di raddoppiare in ogni zona del campo e di sporcare il primo controllo avversario, come in questo caso.
Pregi e difetti di questa “nuova Roma”
A circa quaranta giorni dal suo arrivo, con sei partite di campionato nel mezzo, è naturale iniziare a riconoscere in modo inequivocabile l’influenza delle idee di Ranieri nel gioco della Roma, a iniziare dal modulo di partenza. A San Siro, Ranieri ha confermato il 4-4-2 delle ultime settimane. Unica novità rispetto alle previsioni della vigilia, l’utilizzo di Juan Jesus al posto di Manolas, fermato in riscaldamento dall’ennesimo infortunio muscolare. È un modulo che sulla carta appare molto offensivo, perché porta due ali pure come El Shaarawy e Ünder a giocare a piede invertito alle spalle di due punte a tutti gli effetti, almeno nell’interpretazione di Ranieri, come Pellegrini e Dzeko.
Nella sua attuazione pratica, però, il 4-4-2 di Ranieri ha una funzione prettamente difensiva, nell’ottica di mantenere le linee compatte, impedire agli avversari di ricevere tra i reparti, come accadeva più spesso nella gestione Di Francesco, e soprattutto di indirizzare da subito il possesso avversario verso le fasce, una strategia che contro l’Inter tende a rivelarsi molto efficace. Sotto questo punto di vista, l’enorme disposizione al sacrificio mostrata da tutti gli uomini offensivi è un merito di cui Ranieri può certamente fregiarsi.
Nel secondo tempo, il 4-4-2 della Roma è progressivamente diluito in un 4-5-1 con l’abbassamento di Pellegrini in mediana. A conferma della grande attenzione difensiva della Roma, si può apprezzare come Dzeko vada a occupare lo spazio lasciato libero da El Shaarawy, lanciatosi in un tentativo di pressione individuale.
Nonostante la somma degli xG sia stata nettamente sbilanciata a favore dell’Inter, la Roma ha sofferto poco, specialmente in fase di azione manovrata. In particolare, il contatore è esploso tra il 42’ e il 43’, quando l’Inter è arrivata per due volte a colpire il pallone in area piccola, prima con Vecino e poi con D’Ambrosio, entrambe le volte sugli sviluppi di un calcio d’angolo, ma si è scontrata prima su un intervento bellissimo di Fazio e poi su una tenace azione di disturbo di Florenzi.
Pur avendo abdicato completamente al controllo del pallone (72% a 28% recita il dato sul possesso palla, 604 a 192 quello sui passaggi completati), la Roma ha bloccato ogni accesso alla zona centrale della trequarti e ha mostrato una compattezza e un’unità di intenti che si credevano perse per sempre dopo l’eliminazione contro il Porto (il dato sui tiri respinti con il corpo, 8, è abbastanza clamoroso). Eppure per segnare ha avuto bisogno che El Shaarawy ricevesse palla all’altezza del cerchio di centrocampo e la conducesse in corsa fino al limite dell’area di rigore per calciarla nell’angolo più lontano.
La direttiva di passaggio più percorsa dalla Roma è stata quella che da Kolarov tornava indietro a Juan Jesus (per 10 volte), la seconda è stata quella che da Juan Jesus andava verso Kolarov (7 volte). L’alternativa a questo ping-pong erano i lanci lunghi di Juan Jesus, che però si sono presto rivelati non abbastanza precisi per dare seguito a una qualche forma di sviluppo (1/6 il dato di precisione complessivo). D’altra parte, non è detto che la strategia dei lanci lunghi richieda precisione per rivelarsi efficace perché generare seconde palle ha anche l'effetto collaterale di portare entropia nell'assetto tattico avversario.
Nei primi cinque minuti, la Roma è arrivata al tiro per due volte in posizione molto pericolosa, sempre portando il pallone nell’altra metà campo attraverso un lancione dei difensori centrali, sempre vedendoselo respingere dalla difesa dell’Inter, e sempre affidandosi in un secondo momento all’incredibile capacità di Dzeko di arpionare le seconde palle, ripulirle col primo controllo, identificare in un secondo la migliore opzione di passaggio disponibile, e farsi già trovare pronto per chiudere la triangolazione.
Insomma devono succedere molte cose perché la Roma riesca ad arrivare al tiro, e quasi tutte passano dal talento e dalla condizione atletica di Dzeko. In effetti, nei settanta minuti successivi al gol di El Shaarawy la Roma ha prodotto la miseria di due tiri in porta al limite dell’area e poco altro, poi nei minuti di recupero un tiro rocambolesco di Kolarov avrebbe potuto cambiare radicalmente la narrazione della partita e gli equilibri del campionato, ma ha trovato una grande risposta di Handanovic.
La strategia dei lanci lunghi di Ranieri si riflette perfettamente anche nell’utilizzo di Pellegrini da seconda punta. Nell’immagine qui sopra, a sinistra è rappresentata la mappa dei passaggi ricevuti nella partita di gennaio contro il Torino, una delle più brillanti di questa stagione; a destra, la mappa dei passaggi ricevuti contro l’Inter, che oltre a essere dimezzati nel numero sono più indecifrabili nei riferimenti: dove deve farsi trovare? Con chi può dialogare? È più adatto a giocare nello stretto palla a terra o a mettere giù palloni spazzati dalla propria area di rigore?
La risposta a queste domande trascende dalle implicazioni tattiche, ovvero quale sia la seconda punta più adatta da affiancare a Dzeko, e acquista valore soprattutto in termini di asset management. Di sicuro il grande obiettivo della stagione romanista a questo punto è il quarto posto, e di fronte a quello tutto passa in secondo piano, e con otto punti nelle ultime quattro partite (contro avversari come Fiorentina, Sampdoria, Udinese e Inter) Ranieri sta avvicinando il più possibile la squadra a centrarlo. Allo stesso tempo, un gioco che non diverte i tifosi e che non valorizza i talenti a disposizione ha delle conseguenze, anche economiche, decisive per il futuro di una squadra.
Quali sono i limiti dell’Inter
A conti fatti, l’Inter non è riuscita a vincere uno scontro diretto cruciale per avvicinarsi alla matematica qualificazione in Champions, in cui ha tenuto il pallone tra i piedi per tre quarti del tempo disponibile e ha tentato 21 conclusioni verso la porta, quasi il triplo rispetto agli avversari (9).
Questo nonostante Spalletti abbia sagacemente tamponato l’assenza di Brozovic con un altro gettone di fiducia nei confronti di Borja Valero (e in questo si è dimostrato coraggioso, dal momento che proprio l’utilizzo dello spagnolo dal primo minuto contro la Lazio era stato additato tra le principali cause della sconfitta). Borja Valero ha risposto giocando una partita di gioia pura per gli occhi almeno quanto quella di Dzeko: 123 passaggi completati su 129 tentati, di cui 70 volti a far avanzare la manovra, completati con il 91,4% di precisione, e 3 passaggi chiave. Ma anche 6 palle recuperate, 2/2 contrasti vinti, 2 intercetti, 4 falli subiti.
Il pallino di Borja è gigantesco, in compenso quello di Nainggolan è pressoché escluso dalle trame di gioco, che nella trequarti offensiva si riducono a passare dagli esterni.
Al termine della partita, Spalletti si è lanciato in una profonda analisi del risultato, in cui è apparso moderatamente soddisfatto («va bene come risultato, soprattutto dopo che eravamo passati in svantaggio»), oltre che compiaciuto dell’interpretazione tattica della partita («Il rischio è che per pareggiare vai a rischiare troppo, facendo confusione ed esponendoti al contropiede. Noi non l’abbiamo fatto, ci siamo scavati lo spazio per pareggiare»).
È stata un’altra serata in cui l’Inter ha concesso poco e ha attaccato male, o meglio con poca intensità, che per qualche motivo nell’Inter coincide anche con poca lucidità. Perisic ha ormai smesso di lasciarsi i difensori alle spalle, tirando fuori una delle migliori prestazioni difensive della stagione di Florenzi, al di là dell’azione del gol. Politano è sempre elettrizzante ma gioca solo a testa bassa. Nainggolan fa fatica a ricevere tra le linee (Skriniar e Asamoah i giocatori che lo hanno maggiormente servito, 4 volte ciascuno), e soprattutto a guadagnarsi un vantaggio col primo controllo.
«Bisogna giocare al meglio sugli esterni, occupando tutti gli spazi», è stata la lettura di Spalletti. L’Inter ha in effetti trovato il palleggio proprio sugli sviluppi di un cross preciso di D’Ambrosio, che con sorprendente sensibilità ha fatto finta di crossare con il destro, si è spostato il pallone sul sinistro e nel frattempo ha fatto cascare il castello di marcature in area della Roma, liberando Perisic sul secondo palo (quinto assist stagionale per lui).
Proprio a proposito di D’Ambrosio, il tecnico toscano ha lasciato ai microfoni di Sky un commento interessante. «D’Ambrosio doveva fare più il guardiano, lasciando Politano all’uno contro uno. Invece spesso a inizio gara si è alzato e Politano è stato costretto ad accentrarsi. Nel secondo tempo invece ha giocato più da mediano destro, lasciando spazio sull’esterno a Matteo». Dietro questo pensiero si legge chiaramente un approccio avverso al rischio, legato alle marcature preventive, agli equilibri difensivi, e allo stesso tempo si scorge una fiducia verso gli uno contro uno in fascia finora immotivata dai risultati prodotti.
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Anche contro la Roma, l’Inter ha crossato tantissimo (10 cross completati su 36) ricavandone poco, anche dopo l’ingresso abbastanza evanescente di Icardi, utile ad occupare l’area in occasione del gol del pareggio, ma ancora lontano dalla condizione migliore: nella più ghiotta opportunità capitatagli tra i piedi, si è visto rimontare in velocità da Juan Jesus ed è stato chiuso in calcio d’angolo.
Di contro, a cinque giornate dalla fine, con sei punti di vantaggio sulla quinta (o alla peggio cinque se l’Atalanta dovesse battere il Napoli), e con Chievo, Udinese e Empoli ancora da affrontare, sembra essersi messa in una posizione di vantaggio tale da non dovercisi crucciare troppo.
Spalletti ha poi deciso di concludere l’intervista con un’argomentazione pienamente condivisibile: «Si può vincere e perdere in tanti modi, ma la professionalità sta nell'avere un percorso da seguire». Inter e Roma sono due squadre prevedibili, non particolarmente esaltanti, e hanno prodotto una partita che è lo specchio dei loro limiti, ma allo stesso tempo hanno un’identità definita, idee chiare, e giocatori disposti a seguirle. Per Spalletti e Ranieri, è una vittoria anche questa.