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Marco D'Ottavi
Per l'Inter è stato tutto troppo facile
27 apr 2023
27 apr 2023
È bastato un gol di Dimarco per avere meglio di una Juve confusa.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / ZUMA Wire
(foto) IMAGO / ZUMA Wire
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La semifinale di ritorno di Coppa Italia tra Inter e Juventus era stata anticipata da molte polemiche. Alcune storiche, altre stucchevoli, altre ancora indicative dei problemi cronici del calcio italiano dentro e fuori. Non è la prima volta che succede, e non sarà l’ultima: la rivalità tra le due squadre, non devo dirvelo io, esiste ed è molto forte. Negli ultimi anni, anche quando Inter e Juventus avevano obiettivi diversi, o i valori tecnici in campo erano sbilanciati verso l’una o l’altra, questa tensione si è spesso riverberata nei novanta minuti in maniera positiva per lo spettacolo. Le partite tra Inter e Juventus magari non erano sempre belle partite, ma quasi sempre finivano per essere intense, combattute, piene di episodi, duelli più o meno cavallereschi, grandi giocate ed errori pacchiani. A questa Inter-Juventus, invece, è mancato anche tutto questo, lasciandoci solo il verdetto finale: ovvero che a essere superiore, in questo momento, è la squadra di Simone Inzaghi.L’Inter, insomma, va in finale meritatamente, se c’è del merito nell’essere la squadra meno peggiore in campo, quella in controllo totale ma principalmente perché l’altra è abulica, involuta, confusa, autolesionista. La Juventus perde quello che era un obiettivo, una Coppa Italia che avrebbe avuto un valore particolare, una vittoria in campo in una stagione che - probabilmente - vedrà i suoi verdetti decisi in tribunale. Lo fa lasciandosi trafiggere da Dimarco dopo quindici minuti, ma soprattutto rinnegando la sua anima più profonda, quella di squadra - diciamo - resiliente, in grado di tirare fuori uno spirito gagliardo nel momento del bisogno, quando più serve. All’Inter sono bastati 15 minutiGli schieramenti iniziali raccontavano bene quelle che sono le idee dei due allenatori. Da una parte Inzaghi col suo totemico 3-5-2, con gli uomini che sono sempre gli stessi - Onana, Darmian, Acerbi, Bastoni, Dumfries, Barella, Chalanoglu, Mikrharian, Dimarco, Lautaro, Dzeko - e che se potesse sarebbero sempre quelli in eterno, nonostante il futuro che attende l’Inter poteva far pensare a un minimo turnover (almeno con Lukaku, per motivi sia emotivi che tecnici). Allegri, al contrario, non solo schierava la novantanovesima formazione diversa su novantanove partite, ma lasciava Danilo in panchina, il più usato per distacco fin qui (e Allegri dirà che è stato questo il motivo, oltre al fatto che era diffidato), e si liberava del centravanti, vista anche l'assenza di Vlahovic e Kean, per inserire Chiesa come riferimento avanzato di quello che poteva sembrare un 3-5-2, con Di Maria a supporto, Bonucci al centro della difesa con Bremer a destra e Alex Sandro a sinistra, Kostic e De Sciglio sugli esterni e Rabiot, Locatelli e Miretti a centrocampo.

Al calcio d'inizio la Juventus sembra schierata con il 3-5-2, al netto della posizione di Rabiot; poco dopo, però, il suo blocco difensivo non è più molto chiaro.

Sembrava, ma forse non lo era. Dico forse perché nei primi minuti la disposizione tattica della Juventus è stata piuttosto ingarbugliata, con alcuni uomini che avevano come riferimento l’avversario e altri la zona. Nei primi duecento secondi i bianconeri hanno sbandato pericolosamente, tanto da lasciare Barella libero di prendere il tempo e crossare dalla trequarti e Lautaro solo dentro l’area di rigore. L’argentino però, in una di quelle giornate in cui concludere gli è davvero troppo complicato, ha lisciato il pallone, più per cattiva lettura che per non esserci arrivato. Pallone che poi successivamente ha sbattuto su Dzeko, finendo a pochi centimetri dal palo.

La Juve ancora confusa su come andare a prendere l'Inter, a cui basta un dribbling di Barella per creare una situazione di pericolo, anche perché al centro se Bremer tiene Dzeko e Alex Sandro deve andare a fare il terzino, Bonucci è attirato dallo spazio e lascia Lautaro alle sue spalle.

Qualunque fossero le intenzioni tattiche di Allegri, se aveva preparato la partita per giocare con tre difensori o se invece fosse una cattiva interpretazione dei suoi giocatori (purtroppo dopo il fischio finale non gli è stato chiesto cosa fosse successo, quindi è difficile dire) ancora prima che il cronometro arrivasse al minuto 4 l’allenatore ha iniziato a segnalare a De Sciglio che voleva una difesa a 4. Il terzino destro della Juventus - che invece era sempre alto sul campo come un esterno a tutta fascia - ci ha messo un paio di minuti a capire le direttive del suo allenatore - che era dall’altra parte del terreno di gioco - prima di creare, a questo punto sì, un 4-4-2 che comunque non ha cambiato l’inerzia iniziale della partita. L’Inter ha continuato a schiacciare la Juventus nella sua metà campo, riuscendo sempre a recuperare il pallone una volta perso o, comunque, costringere gli avversari a lanciare lungo sotto pressione, situazioni in cui Chiesa e Di Maria non rappresentavano certo una minaccia. Questo dominio non ha creato occasioni, dopo la prima di Lautaro, ma l’Inter dava la sensazione di poter colpire, mentre la Juventus appariva meno solida del solito. E, quando le partite si sviluppano così, se la squadra che subisce non fa nulla per cambiare, è facile che finisca per subire gol. E così è successo. L’azione dell’unico gol della partita è anche a suo modo strana, non completamente indicativa della partita. Parte da una costruzione bassa dell’Inter ben pressata dalla Juventus, con Onana che rimane col pallone tra i piedi per diversi secondi senza sapere cosa fare, visto che - per la prima volta - la squadra di Allegri era salita a prendere uomo su uomo i giocatori dell'Inter. Il portiere ne è uscito allora con un lancio lungo molto preciso sul petto di Dzeko (l’utilità di avere un portiere forte coi piedi) che ha costretto Bremer al fallo poco dopo metà campo. L’Inter ha battuto rapidamente la punizione, andando a sinistra dove aveva sovraccaricato il lato di giocatori. La Juventus, presa un po’ alla sprovvista, non si è accoppiata bene, facendo una serie di piccoli errori che poi hanno portato al gol («nel primo quarto d’ora sembravamo addormentati» dirà poi Allegri). Di Maria, per esempio, non segue il movimento di Bastoni, facendosi attrarre dal pallone e non schermando il passaggio verso l'interno; lo stesso fa De Sciglio, che non segue Dimarco, anche perché con il suo movimento è andato in fuorigioco. Dall’altra parte è invece Rabiot a fare una scelta sbagliata, staccandosi da Barella per andare su Calhanoglu, nonostante non fosse il suo uomo e fosse troppo lontano, mentre Locatelli rimane schiacciato davanti alla difesa. A quel punto per il turco imbucare per Barella è il più facile dei passaggi. Sul centrocampista dell’Inter deve uscire Alex Sandro, ma è in leggero ritardo perché a quel punto è diventato il centrale di una difesa di nuovo a tre. Barella dopo il controllo allora ha il tempo di giocare un filtrante dietro la difesa della Juventus, schierata al limite dell’area di rigore. Qui c’è l’errore più grave di tutti, perché Kostic non è in linea con i compagni e tiene in gioco Dimarco che arrivando alle spalle d’esterno batte Perin. Un gol che dimostra che quando difendi passivamente, non puoi permetterti di sbagliare niente.

Passata in vantaggio nella partita e nel doppio confronto, l’Inter ha tolto il piede dall'acceleratore lasciando il pallone alla Juventus. Il palleggio della squadra di Allegri è stato però anche più sterile del solito, sia per la capacità dell’Inter di chiudere gli spazi centrali, sia per alcuni limiti propri della Juventus. Con il 4-4-2, infatti, la costruzione del gioco era ancora più piatta, visto che non sono previste rotazioni o scambi di posizione per creare linee di passaggio. Inoltre, la presenza di due esterni come Chiesa e Di Maria in attacco, rendeva difficile anche avere un punto di riferimento in avanti a cui poggiarsi. L’argentino per entrare nel gioco e toccare più palloni si è allora scambiato di ruolo con Miretti prima e, addirittura, con De Sciglio poi, finendo per scendere nella posizione di terzino per ricevere. Questa soluzione non ha però portato nessun tipo di vantaggio e, anzi, ha finito per scombinare ancora di più la squadra, con Di Maria che ha perso diversi palloni in quella posizione di campo per cercare qualche giocata troppo complicata. Sui palloni persi dalla Juventus l’Inter avrebbe potuto fare di più, ma ieri si è confermata la sua difficoltà nel creare e convertire il proprio lavoro offensivo. Dzeko, che non segna dal 20 gennaio, finirà con un solo tiro in porta, anche se - curiosamente, curiosamente proprio perché non segna dal 20 gennaio - a inizio secondo tempo segnerà un gol bellissimo, dopo aver saltato Bremer, calciando con il piede debole con un angolo di tiro strettissimo. Il suo gol verrà però annullato per fuorigioco. La Juventus, invece, chiuderà il primo tempo con due tiri, un colpo di testa di De Sciglio finito fuori e un tiro di destro dalla distanza, in caduta, di Kostic, sorprendentemente preciso ma ben parato da Onana.Il cambio modulo di AllegriNel secondo tempo Allegri ha tolto proprio il serbo per inserire Milik e passare al 4-2-3-1, con Chiesa-Miretti e Di Maria alle spalle del centravanti polacco. Una nuova conformazione che è sembrata migliorare la fluidità della manovra (a fine partita i bianconeri avranno il 59% di possesso palla) e anche poter riportare la Juventus dentro la partita. La realtà è che però non è mai successo. Il secondo tiro in porta dei bianconeri dopo quello di Kostic nel primo tempo arriverà solo al minuto 76’, in mezzo una totale mancanza di un piano o di iniziative individuali, quelle che di solito fanno le partite dei bianconeri. Con ritmi bassi e una Juventus costretta quanto meno a invadere la metà campo dell’Inter, la squadra di Inzaghi ha potuto fare la sua partita, avendo diverse ripartenze - molte ripartenze - in cui poteva segnare il secondo gol che avrebbe definitivamente chiuso la partita. Ma se in questo momento della stagione alcune individualità stanno brillando, come Mkhitaryan, che a 34 anni si è riciclato come mezzala di lotta e di governo (ieri sera 5 intercetti, una pressione costante su Di Maria e Miretti, diverse ripartenze orchestrate e anche un gol sfiorato, impedito solo da una grande parata di Perin) o Barella e, in generale, tutta la difesa sta giocando bene, in attacco c’è qualcosa che non va. Al 66’, ad esempio, l’Inter è uscita benissimo dalla pressione, con uno scavetto di Calhanoglu per Dumfries, che di potenza è arrivato fino all’area della Juventus. Quando si è trattato di fare la cosa facile, però, un cross al centro per Lautaro tutto solo, l’olandese non ha calibrato bene la misura del suo passaggio.

Se nel calcio, però, la tradizione vuole che quando non chiudi una partita contro la Juventus, quella riuscirà in qualche modo a rientrare, ieri non era quella Juventus. In maniera quasi controintuitiva rispetto al calcio negli scontri andata a ritorno come lo conosciamo - dove praticamente sempre chi insegue riesce a creare delle potenziali occasioni anche buttando casualmente il pallone nell’area avversaria - nell’ultimo quarto d’ora di Inter-Juventus non è successo niente, se non un triangolo tra Milik e Chiesa sporcato da Brozovic e sventato da Onana in uscita.È difficile credere che una squadra a cui basta un gol per riaprire una semifinale non faccia nulla per cercare di colmare la distanza. È vero che tra infortuni e squalifiche Allegri non aveva molto a disposizione per cambiare in attacco, ma la passività con cui giocatori e staff hanno accettato questa sconfitta ha somigliato a quella sensazione di impotenza che la sua prima Juventus lasciava agli avversari. In questo Inter-Juventus non c’è stato neanche il dramma, i gesti di frustrazione, la voglia di provarci in qualche modo. Anche l’Inter è sembra anestetizzata, ma dal suo punto di vista è un aspetto positivo, una vittoria e una finale che non hanno richiesto troppo sforzo. La squadra di Inzaghi parte bene in quella che è una serie di 10 partite (o 11) che può dare una forma meravigliosa (o drammatica) alla sua stagione. La Coppa Italia è la coppa dell’allenatore piacentino, ma ovviamente ha un valore minore rispetto all’Euroderby che li attende e alla corsa al quarto posto. Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera. Certo, l’Inter deve migliorare in attacco, perché le prossime squadre che incontrerà non saranno così passive. La Juventus, invece, perde la quarta partita nelle ultime sei e lo fa calciando in porta appena 3 volte, mai in maniera pericolosa. La confusione intorno alla sua stagione è diventata confusione anche in campo e ieri è stato forse il picco di queste difficoltà. La Juventus gioca con la difesa a tre e a quattro, con due centravanti o con zero centravanti, con tre trequartisti o senza, con un modulo fluido o uno ultrarigido. Se il metaformismo può essere un pregio per una squadra, per una senza identità è solo un ulteriore fattore di caos. I calciatori della Juventus sono evidentemente confusi in campo e il loro livello tecnico è abbastanza alto da non poter spiegare il motivo solo con le loro cattive prestazioni (che, comunque, sono all’ordine del giorno). Ieri Di Maria aveva un linguaggio del corpo totalmente negativo. È difficile, se non impossibile, risolvere questa deriva a questo punto della stagione, ma almeno la Juventus, per finire bene in campionato ed Europa League, deve attingere a quelle risorse più intangibili che ne hanno sempre fatto una squadra difficile da affrontare e che contro l'Inter non si sono viste. Se vengono a mancare anche quelle, il finale di stagione non promette nulla di buono.

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