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Dario Pergolizzi
Inter e Fiorentina sul filo del rasoio
25 mag 2023
25 mag 2023
E alla fine ha vinto sempre Simone Inzaghi.
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Dario Pergolizzi
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IMAGO / Antonio Balasco
(foto) IMAGO / Antonio Balasco
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La finale di Coppa Italia 2022/23 si è conclusa con un altro trionfo di Simone Inzaghi, al termine di una partita accesa dal punto di vista delle occasioni e stimolante da quello strategico e tattico. In preparazione delle rispettive finali in Champions e Conferenze League, Fiorentina e Inter si sono affrontate a viso aperto, senza rinunciare alle proprie identità e cercando di approfittare dei punti deboli dell’avversario. Questo ha dato vita a un confronto giocato sul filo del rasoio, soprattutto da parte della squadra di Vincenzo Italiano che ha affrontato la partita con un piglio aggressivo e ambizioso, cosa che si è capita dall’organizzazione del pressing alto sin dai primi istanti di gioco. Il raffinato gioco di scalate in avanti e scambio di marcature dei viola iniziava dai movimenti dei quattro giocatori più avanzati - Cabral, Ikoné, Gonzalez e Bonaventura - e continuava a cascata dietro di loro con gli abbinamenti conseguenti. Al di là della solita questione dell’accettazione della parità numerica in difesa, è interessante studiare come la Fiorentina si sia assunta il rischio di uscire aggressiva contro una delle squadre più difficili da pressare in alto in questo periodo, sia per la qualità a disposizione di Inzaghi sia per i movimenti continui, che portano i giocatori interisti a spostarsi per creare linee di passaggio oltre la pressione o tirare fuori le marcature avversarie.

Partendo, appunto, dai quattro giocatori più avanzati, si può notare come Cabral e Bonaventura fossero più orientati a seguire i comportamenti di Acerbi (che come al solito, tendeva a smarcarsi in avanti, portando con sé l’ex Basilea) e Brozovic, mentre Ikoné e Nico facevano un lavoro più “a elastico” nella loro zona di competenza, uscendo sui difensori di sinistra e di destra dell’Inter solo dopo che avevano ricevuto il passaggio, per poi tornare in posizione di partenza se la palla girava da un lato all’altro. Tutto ciò era accompagnato da Amrabat e Castrovilli, che avevano il delicato compito di controllare Barella e Calhanoglu, ma anche di leggere in anticipo l’eventuale giocata lunga dell’Inter per avvicinarsi ai difensori e contendere l’eventuale seconda palla. Se, invece, l’Inter avanzava gradualmente, portando Calhanoglu e Barella ad alzarsi fin dentro la linea difensiva della Fiorentina (o quasi), gli stessi Amrabat e Castrovilli erano pronti ad assorbire questi movimenti abbassandosi a loro volta. Sulle fasce, Dodò e Biraghi sfruttavano il posizionamento alto di Dimarco e Dumfries durante la costruzione bassa per andare in marcatura, e così rimaneva solo il doppio duello centrale tra Martinez Quarta e Milenkovic contro Dzeko e Lautaro. Comunque un bel rischio da accettare.Si può dire che la Fiorentina ha retto abbastanza bene i momenti di aggressione alta per buona parte della gara, anche se l’Inter si è gradualmente adattata iniziando a venire fuori con maggiore pulizia mano a mano che passavano i minuti (ci arriviamo più avanti). Comunque, di fatto, l’atteggiamento della squadra di Italiano ha limitato le uscite avversarie abbastanza bene, e a ciò ha accompagnato un buon atteggiamento di riaggressione e adattamento delle marcature in transizione - circostanza evidente per esempio proprio nel gol che ha sbloccato il punteggio, con Dodò che si trova ad anticipare Lautaro Martinez in posizione più centrale, dando il via alla ripartenza che troverà poi sfogo proprio nella zona in cui la Fiorentina poteva fare più male all’Inter in transizione: cioè in corrispondenza delle posizioni vacanti di Dumfries e Dimarco, naturalmente svantaggiati dalla precedente proiezione in avanti.Sulle ali dell’entusiasmo per il gol arrivato presto, la Fiorentina ha trovato anche una certa confidenza con il pallone, con scambi di posizione che le hanno consentito di mantenere alto il baricentro. In particolare, è stata interessante la fluidità con cui ha alternato i giocatori, e le relative posizioni, coinvolti nella circolazione arretrata e alle spalle del primo pressing interista.

È capitato di vedere Milenkovic in mezzo a Castrovilli e Amrabat, con Martinez Quarta su una linea più avanzata. Oppure Dodò stretto insieme a Ikoné; o ancora Ikoné e Nico Gonzalez dietro il centrocampo dell’Inter; Dodò e Biraghi alti contemporaneamente o uno dei due basso insieme a Milenkovic e Amrabat o Martinez Quarta, e così via. Con l’Inter che provava a pressare i terzini con le sue mezzali, si aprivano diverse possibilità di progressione: se Barella e Calhanoglu fossero stati attirati fuori posizione, allora ci sarebbe stato spazio alle spalle e ai fianchi di Brozovic che potevano sfruttare con i movimenti ad abbassarsi degli esterni (Nico e Ikoné) o ad alzarsi dei centrocampisti e di Martinez Quarta. Invece, se una delle due mezzali fosse rimasta al fianco di Brozovic, si sarebbe aperto uno spazio laterale di cui approfittare in progressione con il terzino corrispondente. La Fiorentina, in breve, ha dimostrato sotto questo aspetto una malleabilità all’altezza di quella dell’Inter, e ciò le ha consentito di avere diverse occasioni nel corso della partita, prima sfruttando i tentativi di aggressione più alta dell’Inter, e poi, nell’ultima parte della gara, l’abbassamento della squadra di Inzaghi a difesa della propria porta, in cui la Fiorentina avrebbe potuto in diverse occasioni segnare il secondo gol, ma tra l’imprecisione delle conclusioni e una grande prova di resistenza difensiva di Darmian e compagni, non c’è riuscita. Insomma, l’Inter ha chiuso la finale e sollevato il trofeo soffrendo, e la Fiorentina è stata anche abbastanza sfortunata. Ma c’è più di una ragione se la squadra di Inzaghi è riuscita a rimontare lo svantaggio iniziale, piegando la partita a suo favore nella parte centrale del primo tempo e punendo alcuni dei punti più deboli della Fiorentina di quest’anno. Dopo la sofferenza iniziale, infatti, l'Inter si è adattata all’aggressività e al poco spazio concesso dalla Fiorentina cercando di consolidare il possesso prima di ricercare la verticalizzazione. È vero che gli esterni e i centrocampisti di Inzaghi sono stati pressoché tagliati fuori dallo sviluppo del gioco nella loro metà campo, ma la differenza qualitativa tra i centrali difensivi della Fiorentina e le punte dell’Inter, alla lunga, ha aperto delle brevi finestre di possibilità in cui l’Inter è stata brava a fiondarsi per riuscire a concludere in porta.

In particolar modo l'Inter è riuscita a reggere l’urto contro il pressing viola grazie ai movimenti incontro di Lautaro. Nelle immagini qui sopra ci sono tre azioni esemplificative: nella prima, Lautaro si abbassa parecchio e Cabral è preso in mezzo tra lui e Acerbi, che si era alzato (in questo caso Milenkovic ha rinunciato ad alzarsi preferendo restare su Dzeko per non lasciarlo uno contro uno con Martinez Quarta: errore di comunicazione? Mancanza di fiducia?). Nella seconda, Lautaro aggira la marcatura di Martinez Quarta portandosi al momento giusto fuori dalla linea immaginaria tra quest’ultimo e il pallone, e viene premiato da una splendida verticalizzazione di Bastoni. Infine, un’azione in cui Martinez Quarta è in ritardo sull’abbassamento di Lautaro e quest’ultimo può giocare comodamente a muro per l’accorrente Acerbi, ancora una volta alzatosi preventivamente (senza la marcatura di Cabral, che l’aveva perso di vista per un attimo). Da queste azioni sono nate opportunità interessanti per l’Inter, sia in termini di possibilità di attacco alla profondità, gestite poi abbastanza bene dalla Fiorentina scappando verso la porta, sia per dare all’Inter la fiducia necessaria per tentare movimenti e passaggi anche più rischiosi. In questo senso, l’Inter è stata brava e cinica nell’approfittare dei frangenti in cui la squadra di Italiano si è ritrovata più bassa a protezione della propria trequarti, trovando le ricezioni di Calhanoglu tra le linee e degli esterni in ampiezza. Il gol del pareggio è poi arrivato sugli sviluppi di una ripartenza, che ha portato la Fiorentina ad assorbire i vari movimenti ritrovandosi con Dodò centrale al fianco di Martinez Quarta e Milenkovic largo a destra.

In quel momento la difesa della Fiorentina si è spaccata, con Martinez Quarta e Dodò che guardando la palla scoperta hanno optato per tenere in fuorigioco Lautaro, mentre Milenkovic sul lato debole (pur avendo visione completa di tutta la dinamica) è rimasto basso. Anche la pressione su Brozovic, probabilmente, avrebbe potuto essere più cautelativa. Se il primo gol dell’Inter è stata una combinazione letale tra letture difensive errate e qualità delle giocate di Brozovic e Lautaro, il secondo è forse più attribuibile alla straordinaria giocata di Lautaro nonostante la vicinanza di Milenkovic, in seguito a un’azione più convulsa in cui Barella aveva infine raccolto una palla allontanata da Martinez Quarta. Progressivamente le occasioni offensive dell’Inter sono andate scemando, ma non si sono arrestate del tutto, con un buon impatto sulla partita di Lukaku e Gosens a tener viva la possibilità di segnare il terzo gol proprio mentre la Fiorentina dava fondo a tutte le sue energie e armi a disposizione per pareggiare. Anche se in parte può essere riduttivo, è comunque lecito considerare che la differenza di prestazione tra le punte dell’Inter e quelle della Fiorentina contro i rispettivi avversari, dentro e fuori dall’area avversaria, sia stata infine determinante. L’Inter ha dimostrato ancora una volta di essere una squadra attrezzata per soffrire e aggrapparsi anche a giocate disperate per salvare gol quasi fatti, ma anche di avere delle qualità e delle dinamiche col pallone capaci di scombinare i piani difensivi avversari in qualsiasi momento, qualunque essi siano, e anche se non continuamente nel corso della partita. La Fiorentina, invece, si è dimostrata sicuramente all’altezza della finalista di Champions, e ha messo in mostra pregi e difetti che abbiamo imparato a conoscere nel corso del percorso con Italiano, arrivando a crearsi le sue occasioni fino agli ultimi istanti di gioco e reagendo con vigore alle difficoltà emerse. Ha vinto la squadra più forte, ma non è stata una passeggiata.

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