Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Inter-Bayern Monaco: tre tituli
22 mag 2020
22 mag 2020
La partita che suggellò il Triplete e portò al trofeo più importante.
(di)
(foto)
Foto di Jasper Juinen/Getty Images
(foto) Foto di Jasper Juinen/Getty Images
Dark mode
(ON)

Anche a distanza di dieci anni la finale di Champions League contro il Bayern Monaco non regge il confronto con le due partite in semifinale contro il Barcellona, per svolgimento, intrecci, epicità e scontri tattici. In un’intervista di qualche anno fa anche Javier Zanetti ha ammesso che la vera finale l’Inter l’ha giocata contro la squadra di Guardiola, la più forte al mondo in quel momento. Forse addirittura la partita di ritorno contro il Chelsea agli ottavi, quella del cambio tattico decisivo per il percorso in Europa, cioè il passaggio al 4-2-3-1, è più significativa della finale.

Di certo la partita contro il Bayern non è stata leggendaria come quelle contro il Barcellona, però è senza dubbio tra le più importanti della storia dell’Inter, quella che ha chiuso il cerchio, che ha completato il triplete con la coppa più ambita e ricercata, dopo 45 anni di attesa. Ad aspettarla era soprattutto Massimo Moratti, per mettere il suo nome di fianco a quello del padre Angelo, l’unico altro presidente nerazzurro a vincere la Coppa dei Campioni, con la Grande Inter negli anni Sessanta. Ed è al presidente che sono rivolti i pensieri di José Mourinho e dei giocatori prima e dopo la finale. Prima della partita Mourinho aveva detto che sperava di vedere Moratti piangere. Durante i festeggiamenti era stato invece il protagonista della serata, Diego Milito, a dedicare la vittoria al presidente: «È una gioia mai provata, incredibile. Sono felicissimo per l’Inter, perché ci tenevamo tanto a questo traguardo, per il presidente, che è il primo a meritare questo trofeo».

Anche se Mourinho non lo avrebbe mai ammesso, la sua squadra era chiaramente favorita. In estate, dal ritiro precampionato in Cina, si era dato il 10% di possibilità di vincere la Champions: «Ci sono 9-10 squadre che possono vincerla. Facendo la divisione del 100% di 10 squadre viene fuori che abbiamo il 10% di possibilità di portare la Coppa a Milano». Una volta arrivato in finale era comunque sembrato più ottimista, pur senza tradire il profilo da outsider tenuto in stagione: «Bayern Monaco e Inter non erano così prevedibili, ma sono riuscite a fare questo viaggio, hanno vinto i rispettivi campionati, quindi non c’è dubbio che si tratta di due grandi squadre. Noi siamo giunti fino alla finale, non so se ci siano squadre migliori di noi».

L’Inter comunque era più forte, aveva una struttura più solida ed era stata più convincente nel cammino verso la finale. Al Bayern oltretutto mancava per squalifica Ribéry, un’assenza notevole in una squadra costruita attorno ai suoi esterni. Il suo posto a sinistra lo aveva preso Hamit Altintop, e questo aveva dato ancora più responsabilità a Robben, il solo in grado di cambiare ritmo al lento possesso del Bayern con le sue iniziative.

All’Inter tutto sembrava riuscire facilmente. La copertura del centro, la difesa dell’area quando Robben sfondava a destra, le ripartenze a uno o due tocchi, che se non creavano un’occasione comunque portavano la palla lontano dalla porta. È facile inquadrare la partita nella classica sfida tra una squadra che vuole controllare la palla (il Bayern ha sfiorato il 70% di possesso) e una che copre gli spazi e riparte. Anche senza tenere il pallone è però sempre stata l’Inter la squadra in controllo, quella che aveva le idee più chiare su come difendere e su come attaccare. E che soprattutto riusciva a farlo con comodità come aveva pianificato.

A dare solidità era il blocco formato dai quattro difensori e dai due centrocampisti, diviso in due metà complementari. Quella destra più aggressiva e portata a spezzare le linee occupata da Maicon, Lúcio e Zanetti, schierato a centrocampo e incaricato di uscire su Schweinsteiger, quella sinistra più prudente, con Cambiasso e Samuel a tenere la posizione e coprire i compagni, e Chivu impegnato a contenere Robben.

A difendere il centro si aggiungeva Sneijder, che si abbassava anche per trovarsi vicino alla zona in cui veniva recuperata la palla. A volte quindi il triangolo di centrocampo sembrava ribaltarsi, con Cambiasso davanti alla difesa e Zanetti e Sneijder più avanzati sulla stessa linea, altre volte l'Inter sembrava avere tre difensori centrali, quando Cambiasso scendeva a proteggere lo spazio di fianco a Samuel, o ancora poteva capitare che Lúcio e Cambiasso si trovassero alla stessa altezza, mentre Samuel restava in copertura alle loro spalle.

Il Bayern aveva studiato una rotazione particolare a sinistra, con Altintop che si accentrava dietro Zanetti e Badstuber che si alzava a impegnare Maicon, ma è riuscito solo una volta a creare un'occasione con quel meccanismo. A inizio secondo tempo, quando il movimento dentro il campo di Altintop ha attratto Lúcio e liberato Olic, raggiunto da una verticalizzazione di Schweinsteiger. Olic è stato abile a far scorrere la palla dietro Lúcio con un colpo di tacco per Altintop, che a sua volta è riuscito a rifinire per Müller in area dietro Samuel. L'Inter era in vantaggio per 1-0 ed è stata salvata dalla parata con la gamba di Júlio César.

Per il resto della partita la squadra di van Gaal non è mai riuscita a verticalizzare centralmente dalla zona di costruzione alla trequarti, e si è limitata a portare la palla a destra e a sperare che Robben creasse qualcosa.

Il Bayern ha insomma tenuto la palla senza riuscire a schiacciare l’Inter. Anzi, la facilità con cui i nerazzurri riuscivano a risalire il campo in ripartenza, sempre con azioni veloci a pochi tocchi, in verticale per cercare subito lo spazio dietro i difensori centrali del Bayern (Van Buyten e Demichelis) è stata una delle chiavi del loro successo. L’Inter ha puntato soprattutto lo spazio alla sua sinistra di fianco a Van Buyten, lasciato libero da Lahm e occupato di continuo dai tagli di Milito. In quella zona la squadra di Mourinho ha costruito quasi tutte le sue migliori occasioni: il secondo gol di Milito e altre due conclusioni pericolose di Sneijder e Pandev.

All’Inter è bastato poco per portare la sfida dalla sua parte con il primo gol di Milito - un lancio lungo di Júlio César, un duello aereo vinto da Milito e uno scambio tra quest’ultimo e Sneijder - e una volta in vantaggio non ha mai dato la sensazione di poter perdere la partita.

Forse ne era consapevole anche Mourinho, che già da tempo aveva preparato l’addio e ovviamente sperava di lasciare il Santiago Bernabéu da trionfatore, prima di tornarci da allenatore del Real Madrid. Il suo saluto era arrivato durante i festeggiamenti, come gli era già capitato con il Porto sei anni prima. «L'avversario più difficile era van Gaal, poi avrebbero ovviamente deciso anche i dettagli, i particolari, dei campioni, come le parate di Júlio César e i gol di Milito. Questa è una finale ed è una gioia incredibile per tutti gli interisti. (…) Mi fa sentire una grandissima tristezza, ma ora devo essere più freddo possibile, qui la storia è fatta, l'Inter non sarà più quella di prima».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura