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Dario Saltari
Le idee dell'Inter hanno salvato una serata opaca
21 feb 2024
21 feb 2024
L'Inter ha dominato l'Atletico di Simeone pur senza grandi prestazioni individuali.
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Dario Saltari
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IMAGO / Gonzales Photo
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Prima del fischio d’inizio, l’attenzione era concentrata su come avrebbe giocato l’Atletico Madrid. Abbandonato definitivamente il cholismo massimalista, la squadra di Simeone sembra non avere più una forma riconoscibile, come se volesse utilizzare la sua indecifrabilità come un'arma. Nel calcio iper-analizzato di oggi non sapere che partita aspettarsi è un pericolo forse persino superiore a quello dell'effettiva forza dell’avversario. «Noi giochiamo in base ai giocatori che mettiamo in campo, in base al ruolo dei giocatori che scegliamo», ha detto Diego Simeone nella conferenza stampa pre-partita. «Contro l'Almeria abbiamo avuto il 28 per cento di possesso palla, ma la partita chiedeva di fare quello. Andremo dietro alla partita che immaginiamo e cercheremo di fare quello che pensiamo serva alla partita».

«Prevedere la partita non è semplice», ha confermato anche Simone Inzaghi: «L'Atletico ha cambiato spesso modo di giocare. Sicuramente palleggia di più rispetto al passato e hanno grande tecnica, difficile prevedere come giocherà. Non ho certezze se non che affrontiamo una grande squadra». Effettivamente, è stata una sensazione strana vedere l’Atletico Madrid alto sul campo, in un pressing apparentemente ultra-offensivo, con un palleggio insistito ben dentro la metà campo avversaria. Dall'altra parte, però, siamo abituati a dirci che non esistono più le grandi identità, che i principi tattici si stanno sciogliendo e che le intelligenze tattiche individuali dei giocatori stanno prendendo il sopravvento.

Una squadra, nel 2024, può essere molte squadre dentro la stessa partita, anzi deve esserlo, e l’atteggiamento dell’Atletico - forse la più “novecentesca” tra tutte le squadre del calcio contemporaneo - sembrava confermare che i vecchi limiti erano ormai superati.

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A guardare meglio, però, il nuovo Simeone non è così diverso dal vecchio Simeone. Il pressing alto e aggressivo sfoggiato soprattutto nel primo tempo era orientato uomo su uomo e aveva in primo luogo l’obiettivo di disinnescare il principale punto di forza dell’Inter: l’uscita del pallone dalla difesa e la capacità con cui la squadra di Inzaghi riesce a manipolare gli avversari con il possesso. Anche il modulo, sulla carta un 3-5-2, era adattato per tamponare l’esuberanza tattica dell’Inter. Marcos Llorente, che nella distinta avrebbe dovuto giocare accanto a Griezmann, in realtà rimaneva largo sulla destra per seguire Bastoni, che in fase di possesso giocava da vero e proprio terzino sinistro per innescare il piede di Dimarco in posizioni pericolose. L’Atletico, in sostanza, è entrato in campo con l’idea di arginare l’Inter e forse è questo quello intendeva Simeone quando ha detto: cercheremo di fare quello che pensiamo serva alla partita. Prima difendersi, quindi: ma non è quello che ha sempre fatto l’Atletico?

A conferma del fatto che ciò che si vede in campo può essere ingannevole, c’è da dire che, al massimo splendore del cholismo, l’Atletico Madrid era una squadra che si difendeva bassa, sì, ma imponendo il contesto all’avversario. In altre parole l’Atletico Madrid, allora, era una squadra riconoscibile: 4-4-2 di cemento armato, tre linee che si muovevano come un unico organismo, scivolamenti orizzontali velocissimi a seguire la palla. Affrontare la squadra di Simeone significava chiedersi come aprire il suo blocco basso senza andare in mille pezzi, e potersi fare questa domanda in anticipo non sembrava poi questo grande vantaggio.

Certo, le partite possono cambiare in un momento e i moduli sono solo numeri di telefono, ma è significativo che anche ieri alla fine abbia vinto la squadra più riconoscibile, quella che incuteva timore all’avversario, che lo ha costretto a chiedersi come avrebbe dovuto affrontarlo. L’Inter ha vinto meritatamente e lo ha fatto esattamente perché sapeva cosa avrebbe dovuto fare in campo, al di là dell’avversario che gli si parava di fronte. Lo sapevano tutti.

Già nel primo tempo la fluidità lucida dell’Inter era riuscita a passare attraverso la pressione dell’Atletico, e avrebbe potuto inclinare la partita dalla parte di Inzaghi molto prima di quanto è effettivamente avvenuto, se non fosse stata per la serata tecnicamente opaca dei suoi giocatori migliori.

Al 18esimo, con l’Atletico alto, uomo su uomo, De Vrij (a proposito di intelligenza tattica dei singoli calciatori) si è sganciato dalla linea difensiva scambiandosi la posizione con Calhanoglu, e ha creato una linea di passaggio alle spalle della linea di pressione avversaria. Pavard, forse il migliore dei suoi ieri sera, ha però avuto un’idea ancora più ambiziosa: lanciare morbido verso il movimento incontro di Lautaro, che di testa è riuscito a smorzare il pallone proprio per De Vrij. L’olandese si è così potuto lanciare in campo aperto contro il solo Witsel e solo un’imprecisione nell’ultimo passaggio verso Thuram ha impedito all’Inter di avere una chiara occasione da gol.

Quante squadre ci sono Europa in grado di utilizzare il vertice basso di difesa in questo modo? Di trasformare la pressione avversaria in una transizione centrale con questa naturalezza?

L’Inter si scompone in campo e a volte sembra che lasci libertà totale ai propri giocatori, ma il suo gioco è riconoscibile fin dal primo pallone giocato - è come ascoltare la chitarra suonata da George Harrison. Da questo punto di vista, forse quella di ieri è stata la vittoria più importante della stagione, perché arrivata in una serata in cui quasi tutti i suoi giocatori migliori sono sembrati lontani dalla loro forma migliore. Calhanoglu è stato sorprendentemente impreciso, Lautaro poco coinvolto nella manovra e poco freddo sotto porta, Thuram quasi escluso dal gioco e infortunato alla fine del primo tempo.

Da questo punto di vista, la prestazione di Arnautovic - entrato all’inizio del secondo tempo proprio per sostituire l’infortunato Thuram - è stata affascinante nel modo in cui ha messo in scena il rapporto/contrasto tra l’individualità dei singoli e l’intelligenza collettiva . Un attaccante che a Bologna era considerato il perno attorno cui far girare la squadra malgrado fosse un buco nero di palloni, e che ieri invece è sembrato migliorare il gioco dell’Inter nonostante abbia avuto bisogno di tre occasioni clamorose, e di un tiro tremebondo, per segnare il gol che ha finalmente dato la meritata vittoria alla squadra di Inzaghi.

È ironico che l’Inter abbia avuto bisogno di un clamoroso errore con il pallone da parte della difesa dell’Atletico, dopo aver sciupato malamente tre azioni costruite in maniera sublime, ed è facile pensare che con un attaccante migliore le cose sarebbero potute essere più facili. Ma è vero anche che quell’errore dell'Atletico non nasce per caso, ma dall’indecisione di una squadra che più che fluida sembra confusa - e che infatti nel primo tempo ne aveva fatto uno molto simile. Al 38esimo De Paul, nel cerchio di centrocampo, in una fase di impostazione particolarmente statica, aveva calciato un facile passaggio orizzontale addosso a Thuram, causando la transizione che porterà Lautaro a calciare debolmente da dentro l’area.

Ci sono diverse cose in queste due azioni che non avremmo mai visto nell’Atletico dei tempi migliori - per esempio la mimica del corpo quasi disinteressata di De Paul una volta che si è accorto di aver perso palla - segnali dell’assenza di volontà di imporre una propria idea al di là di qualsiasi principio tattico.

Anche nella scomposizione geometrica dei moduli, nella perdita dei significati dei ruoli, l’Inter sembra invece trovare sempre il filo del discorso, e il primo dei tre errori sotto porta di Arnautovic è forse il più significativo in questo senso. L’Atletico lancia lungo col portiere a centrocampo, ci sono dei rimpalli di testa che sembrano non dover portare a nulla, ma alla fine Mkhitaryan riesce ad appoggiare sicuro all'indietro verso Pavard, che a sua volta va dall’innesco di quasi ogni azione dell’Inter: i piedi di Sommer. L’Atletico ha finalmente qualcosa a cui aggrapparsi e pressa in avanti alla ricerca di un errore avversario ma l’Inter non è in difficoltà neanche quando lo sembra. Pavard appoggia il pallone per Dimarco che glielo restituisce, e fa impressione sapere già che sarà lui a dare l’ultimo passaggio ad Arnautovic una manciata di secondi dopo, dall’altra parte del campo.

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Sommer cambia gioco un’altra volta verso Pavard con un pallone che rimbalza per terra, difficile da controllare, e che potrebbe essere la preda perfetta per il pressing della squadra di Simeone. Allora il difensore francese ha l’idea perfetta: colpirlo di prima con il tacco verso l’esterno destro, anticipando le scalate in avanti dell’Atletico, e viene da chiedersi se questo piccolo colpo di genio sarebbe nato lo stesso in una squadra meno sicura dell’Inter. Il pallone arriva a Darmian che a sua volta lo colpisce di prima, per farlo passare sopra la testa di Saul. L’Inter è arrivata a centrocampo con una naturalezza impressionante, la stessa con cui Lautaro si allunga il pallone con il petto e poi lo mette nella profondità con l’esterno per la corsa di Mkhitaryan.

L’armeno arriva appena in tempo per toccarlo con la punta prima del ritorno di un avversario, verso l’esterno, dove Dimarco si è fatto una settantina di metri di campo in corsa con la fiducia che il pallone prima o poi gli sarebbe tornato. Il cross basso di prima con cui trova Arnautovic dietro a due centrali avversari è sublime ma produce un pallone difficile da interpretare. Troppo basso per un tuffo di testa, troppo alto per un tiro in corsa. L’attaccante austriaco decide di piegarsi su un ginocchio come un motociclista su un cordolo ma prende il pallone troppo in alto con il collo e la palla finisce in curva. È stata forse la migliore azione dell'Inter, in una serata non particolarmente brillante in cui sono state le idee di Inzaghi a funzionare da rete di sicurezza.

Certo, le cose sarebbero potute andare diversamente. In una realtà parallela alla nostra i tifosi dell'Inter sono un po’ meno indulgenti nei confronti di Arnautovic. E anche in questa realtà ci rendiamo conto che, pur in una partita sostanzialmente dominata dall'Inter, l’Atletico ha avuto almeno due occasioni che, con un po’ di lucidità in più, avrebbe potuto segnare. Il calcio è imprevedibile e come ha ricordato anche Simone Inzaghi nella conferenza prima della partita le certezze cambiano con la stessa velocità con cui l’Inter ribalta il campo. Da questa partita ne usciamo con una sola sicurezza, e cioè che la squadra che nelle prossime due settimane dovrà chiedersi come fare per battere il proprio avversario sarà, seppur controvoglia, l’Atletico Madrid del Cholo Simeone.

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