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Daniele V. Morrone
Innamorati di Frenkie de Jong
08 feb 2018
08 feb 2018
Questa volta è stato il nuovo giocatore universale dell'Ajax a rubarci il cuore.
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Daniele V. Morrone
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Durante la partita sbaglierà solo 3 passaggi di cui 1 filtrante. Da aggiungere anche 4 dribbling riusciti su 4 tentati.




 

L’esplosione di de Jong non è stata solo improvvisa (la scorsa stagione era stato in campo per una manciata di partite) ma anche così originale da avergli generato attorno in breve tempo una specie di culto. Per dire, in Argentina si scrivono pezzi in cui de Jong viene assunto ad esempio di come si dovrebbe formare un giovane calciatore. Nonostante le sue qualità migliori siano invisibili (le letture senza palla, specialmente) de Jong è anche un calciatore appagante dal punto di vista estetico, uno di quelli che, si dice, sono belli da veder giocare. Quando avanza palla al piede sembra camminare, accarezzando il pallone e tenendolo sempre vicino al piede, con la testa alta per controllare i movimenti dei compagni e scegliere l’opzione di passaggio migliore. Non sta mai fermo: una volta scaricata palla si muove subito per dare un’altra opzione.

 

De Jong ha una vocazione profonda e naturale per il calcio associativo e ad appena vent’anni sembra poter prendere per mano la manovra di una squadra dallo stato embrionale fino alla conclusione dell'azione. Nella seconda squadra dell’Ajax giocava a centrocampo, la scorsa stagione i pochi minuti giocati con la prima li ha trascorsi da mezzala. Quest’anno, pur di metterlo in campo da titolare, il tecnico Keizer si è inventato un trucco: gli ha trovato una funzione ibrida tra il centrocampista davanti alla difesa e il difensore centrale, accanto a de Ligt, l’unica zona di campo nell’11 titolare dove era possibile inserirlo.

 

Dire in che "ruolo" giochi de Jong non è semplice. Cominciamo col dire che non è né solamente un difensore centrale, né pienamente un centrocampista: gioca in entrambi i ruoli e nessuno dei due allo stesso tempo. Il sistema pensato da Marcel Keizer a inizio stagione era così dinamico che le gabbie numeriche dei moduli rischiano di essere troppo riduttive: si poteva parlare di un 4-3-3 di base, in cui de Jong è il difensore di sinistra, ma quando l'Ajax è in possesso ha libertà di alzarsi fino alla linea di Schone, il playmaker, e sullo sviluppo di un'azione persino oltre in verticale. Durante la pausa invernale l’Ajax ha licenziato Keizer per lasciare il posto a Ten Hag, ma il nuovo tecnico non ha cambiato il sistema di gioco, lasciando De Jong al suo centro.

 

La libertà con cui gioca de Jong per certi versi ricorda quella che alcuni sistemi con la difesa a 3 possono lasciare ai due difensori vicini al centrale, ma de Jong non si limita a salire palla al piede in verticale, ma continua a muoversi anche dopo essersi liberato del pallone, lasciando alle sue spalle solo de Ligt (molto efficace e fisico nel coprire la profondità) e in alcuni casi i terzini, a seconda dello sviluppo dell'azione e del terzino in questione (Veltman ad esempio è un ex difensore centrale e tende ad essere più equilibrato). De Jong non è il solo a rompere letteralmente gli schemi con cui possiamo interpretare il gioco dell'Ajax, ma è rarissimo vedere un difensore in una difesa a 4 toccare zone di campo che tocca lui (contro il Roda, per dire, ha effettuato un assist dalla fascia, dopo essersi inserito alle spalle del terzino avversario).

 

Il suo ruolo ibrido migliora la costruzione bassa dell’Ajax, migliorando così tutto il gioco della squadra. Come disse il “flaco” Menotti in relazione all’importanza dell’uscita del pallone dalla difesa: «Quello che comincia male non può finire bene». Non tutti però ritengono che questa situazione tattica sia sostenibile sul lungo periodo: molti giornalisti olandesi sostengono che a fronte di tutti i vantaggi generati dai movimenti di de Jong, bisogna considerare altrettanti - ovvi - problemi strutturali quando la squadra perde palla.

 

Qual è il suo ruolo?

La sua rivelazione nel calcio dei grandi è stata seguita di pari passo dal dibattito sulla sua posizione in campo. Bosz, l’ex allenatore dell’Ajax che lo ha fatto esordire, lo vedeva come centrocampista davanti alla difesa, o come detto da lui con il classico pragmatismo olandese, da numero 6: «Quando analizzo Frenkie de Jong vedo un numero 6 in lui. Come il compagno Schone, lui è un centrocampista moderno che può rivoltare facilmente l’azione. Partire da numero 6 e muoversi come numero 8 o 10. Ha delle qualità incredibili e chiunque può vederlo».

 

Insomma, l’idea sembrerebbe che il suo futuro sia al centro della manovra e anche del campo, sin dall’inizio, senza doverci finire in un secondo momento. De Jong stesso parla della sua attuale posizione come momentanea: «Lo vedo come un esperimento a breve termine e non voglio rimanere difensore centrale nella mia carriera. Sono sempre stato un centrocampista e rimango un centrocampista». La sua paura legittima è quella di finire, da difensore, in un contesto a lui avverso che ne esacerbi i difetti strutturali: stiamo parlando di un ragazzo filiforme, che non ha né il fisico né la malizia per marcare le prime punte di livello mondiale.

 

De Jong sembra un ragazzo ambizioso e attento al suo sviluppo, tanto da chiedere rassicurazioni sulla sua entrata nell’undici titolare alla dirigenza dell’Ajax prima di firmare il rinnovo di contratto in autunno. È consapevole che alla sua età la cosa più importante è giocare il più possibile, in attesa della prossima tappa. In estate era stato cercato dalle big inglesi e delle Bundesliga, ma in una recente intervista su Facebook con il compagno De Ligt ha detto di vedersi bene nel Barcellona. Nel frattempo accetta di giocare partendo dalla linea difensiva, dove può giocare con più calma: «Ricevo molti palloni ed è molto comodo».


 

A sette anni ha deciso di fare provini per le squadre più grandi, visto che quella del suo paese (Arkel) gli stava stretta, riesce a superare sia quello del Feyenoord che quello del Willem II. Per avere una strada tranquilla fino alla prima squadra preferisce il Willem II, dove esordisce a 17 anni e da dove viene preso dall’Ajax immediatamente (sarebbe stato difficile se avesse scelto i rivali del Feyenoord). Il trasferimento ha una formula particolare: l’Ajax paga un euro e tre giocatori in prestito per avere de Jong dall’anno successivo.

 

De Jong non è quindi un prodotto del vivaio dell’Ajax, ha passato la scorsa stagione con la seconda squadra esordendo con la prima e giocando dall’inizio solo una volta. Questo spiega in parte la sua peculiarità rispetto ai compagni di squadra, che si sono specializzati in un’accademia che ormai cresce dei giocatori con dei canoni ben precisi.

 

De Jong è ambizioso nelle decisioni con la palla come nessuno dei giocatori cresciuti con i dettami della scuola dell’Ajax, stretti tra le esigenze del sistema e la paura di fare errori. La sua irruzione in prima squadra è stata la boccata d’aria fresca di cui aveva bisogno una squadra vittima dell’efficacia del proprio sistema, di quella produzione ripetitiva, quasi industriale, di talento.

 





Il momento del rinnovo aveva tenuto in sospeso una città, spaventata dalle sirene delle grandi squadre e viene accompagnato da un grosso sospiro di sollievo da tutta Amsterdam.

 

Tenendo il pallone, l’Ajax nasconde i difetti naturali che un giocatore come de Jong mostrerebbe in fasi prolungate di difesa posizionale. Al momento, il suo modo di difendere è del tutto legato alla sua intelligenza tattica, alle letture che gli permettono di andare in anticipo: non potendo competere fisicamente con rivali più strutturati e punta tutto quindi sulla freddezza e il tempismo nell’intervento. De Jong è fatto per difendere in avanti e per farlo in zone più avanzate del campo; ma per adesso giocare in difesa, vedere il campo da un’altra prospettiva, ne può aiutare ulteriormente lo sviluppo.

 

 

Un gioco sempre al limite

Difficile inserire de Jong nel contesto contemporaneo attraverso un paragone con qualche altro giocatore. Quando giocava stabilmente a centrocampo lo si poteva paragonare per certi versi a Luka Modric, con cui condivide la capacità di farsi parte della manovra e la precisione tecnica nei gesti. Da questa stagione invece si è fatto il nome di Rijkaard, ma la diversità atletica è troppo evidente perché regga il paragone.

 

Qualcuno lo ha addirittura definito il nuovo Franz Beckenbauer. È stato Arie Haan, una delle stelle del calcio olandese anni ’70 e uno che contro Beckenbauer ci ha giocato parecchio. Haan si spinge a dire che de Jong è persino migliore, perché ha più velocità e tecnica nel passaggio. Stiamo arrivando all’iperbole, limitandoci alle cose essenziali de Jong condivide però con Beckenbauer il percorso calcistico, l’arretramento del raggio d’azione, dal centrocampo alla difesa, per esaltarne la centralità nel gioco. Beckenbauer giocava libero e nei Paesi Bassi per parlare di de Jong si sta sempre di più sdoganando l’idea di “libero invertito”, o “falso centrale” se preferite.

 La necessità di creare nuove categorie dà l’idea della profondità dell’impatto di de Jong sul calcio olandese, culturalmente ossessionato dalla sistematizzazione di qualsiasi cosa.

 

Il libero invertito era un ruolo comune prima dell’esplosione del pressing organizzato nato dalla rivoluzione sacchiana. Si trattava di una specie di libero avanzato che sfruttava il campo davanti a sé per dare il via alla manovra: Franco Baresi ne è forse l’esempio più importante del calcio italiano. Cresciuto per giocare come libero, Baresi è stato avanzato in linea con i compagni della difesa e poteva andare in conduzione finché non incontrava un avversario.

 

Pensare una cosa del genere oggi è molto complicato. I sistemi di pressione e contenimento ad alto livello sono talmente sofisticati e tarati sull’avversario che avanzare in conduzione diventa troppo rischioso. Nessun centrale può permettersi di perdere palla sulla propria trequarti in conduzione e i difensori hanno in genere tre soluzioni: scaricare lateralmente, lanciare o, nel caso di piedi buoni, eseguire filtrante che superi le linee di pressione: quello che viene definito “passaggio laser”, con cui arrivare agli attaccanti saltando il centrocampo. Ma, come detto, De Jong è persino più ambizioso e non si limita a queste tre opzioni, muovendosi con un’enorme libertà lungo tutto il campo.

 



Il grafico di passaggi contro il Feyenoord ne indica 101 tentati lungo tutto il campo, di cui 3 sbagliati. 2 passaggi chiave.



 

De Jong quasi non fa un’azione identica a un'altra. Pensa sempre fuori dagli schemi, pur realizzando azioni base, fondate su controllo palla e passaggio, i due pilastri della teoria cruyffiana. La grande tradizione del calcio olandese che torna in tutto il suo splendore: «Se ricevo la palla nella mia metà campo non mi sento che devo lanciare lungo o provare un passaggio facile accanto. Dicono che le mie azioni siano rischiose, ma quello che conta è farlo al momento giusto».

 

De Jong non pensa mai alla soluzione più semplice, anche con due opzioni di passaggio libere al lato sceglie spesso di puntare e superare l’avversario davanti a sé, saltando quindi la pressione nella fascia centrale del campo. Siamo quindi in una zona grigia di interpretazione della lettura offensiva, perché il dribbling il più delle volte riesce con estrema facilità, ma un osservatore direbbe che si tratta di un’azione rischiosa in una zona di campo in cui il dribbling dovrebbe essere più che altro difensivo.

 

De Jong sa di poter superare la pressione con un passaggio filtrante o con una conduzione e a seconda del momento sceglie se utilizzare l’uno o l’altro. Gli avversari ancora non sono abituati ad affrontare un giocatore di questo tipo a questo livello e si trovano privi di strumenti per fermarlo. Come ha detto Ronald de Boer, dopo la sua prestazione nella vittoria contro il PSV: «Porta con sé tanta velocità e mostra sempre l’intenzione di essere verticale, cosa che crea spazio per gli altri giocatori. Poi Frenkie ha una tecnica di passaggio incredibile. Così non si può imparare, è semplicemente qualità sublime».

 



Le caratteristiche del gioco di de Jong mostrate da questo grafico in cui ne emergono dei picchi difficilmente riscontrabili tra i pari età e nessuno che gioca partendo così dietro. Ad esempio 2.2 passaggi chiave per 90’ e 4.2 dribbling.


 





 



 

De Jong è la personificazione dei concetti di ripartizione del campo e di quella visione olistica del gioco che resero il calcio totale la più grande rivoluzione moderna nel gioco. Al tempo stesso, la sua capacità innata di superare le linee avversarie lo rende perfetto per le esigenze del calcio contemporaneo, in cui è sempre più difficile creare superiorità.

 



Guardate l’iconica azione che porta al rigore subito da parte di Cruyff nella finale del Mondiale del ’74. La lucidità, la reattività nel movimento e la conduzione del pallone. Questi sono tutti punti di contatto con il calcio di de Jong.


 

De Jong ci aiuta a credere che il calcio stia prendendo sempre più la via dell’universalità, dove un ruolo non è un’ubicazione in campo ma una funzione. La conoscenza del gioco e la tecnica individuale permette a un giocatore di svolgere le funzioni che il sistema richiede a seconda di dove si trova a ricevere palla. A seconda del sistema il playmaker può essere chi si trova a fare il trequartista tanto quanto chi fa il centrale difensivo.

 

De Jong è un giocatore di vent’anni con poco più di 30 partite fra i professionisti: il rischio che si bruci le ali come Icaro che si è avvicinato troppo al sole è molto concreto, considerando le responsabilità che gli vengono affidate. Ma raramente si vedono ventenni potenzialmente così innovativi. Certo, chiedergli di salvare il calcio olandese è troppo, ma de Jong sembra un piccolo germoglio per la tanto attesa rinascita dell’Olanda come avanguardia del calcio.

Direi che basta per dedicargli tutte le nostre attenzioni.

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