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Francesco Lisanti
Innamorati di Federico Dimarco
13 gen 2017
13 gen 2017
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il giovane terzino dell'Empoli.
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Francesco Lisanti
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Federico Dimarco è nato nel novembre del 1997 a Milano, ed è cresciuto nel quartiere Calvairate, in quella

che è un po’ la culla del rap italiano di nuova generazione: «Viale Molise, Piazza Insubria, Via Ugo Tommei, fino a piazza Ovidio, Piazzale Cuoco, Corvetto, Falco è caldo, Ciccio è caldo», e via discorrendo.

 

Un po’ ci assomiglia, Dimarco, a un rapper di Calvairate, e non tanto per 

felpa + doppio taglio + Staffordshire bull terrier, quanto per l’impressione che molte cose gli vengano facili, che si muova in campo con quella fluidità, con quella naturalezza, quella comprensione delle dinamiche necessaria per capire

, quella sensazione che «

».

 

Dal punto di vista strettamente calcistico Federico Dimarco si inserisce nella scia dell’evoluzione

sempre più complesso da interpretare e, in poche parole ma

, potrebbe diventare il primo grande terzino italiano di nuova generazione.

 

Certo, dovrà dimostrare di averne la stazza, anche proprio in senso letterale, migliorando la sua struttura fisica (è alto 174 centimetri, e fisicamente sta mostrando qualche difficoltà di adattamento ai ritmi della Serie A). Soprattutto, dovrà lavorare sul proprio atteggiamento mentale. Dimarco dovrà capire alla svelta, come tutta la nuova scuola di calciatori italiani, che d'accordo il talento aiuta, ma il grande margine di crescita è nella personalità.

 

L'asticella del potenziale, in ogni caso, è fissata molto in alto, e lo si capisce subito riguardando 

, rispettivamente, il terzo e il quarto passaggio che Dimarco ha completato tra i professionisti. Oh mama.

 



 

Dimarco ricorda così i suoi primi calci: «Avevo sei anni quando sono entrato nelle fila del Calvairate. Mi hanno messo a fare il centravanti e giocavo con compagni di un anno più anziani».

 

L’Associazione Sportiva Calvairate disputa attualmente il campionato di Eccellenza, ma può vantare soprattutto un solido settore giovanile, che da qualche anno ha stretto una partnership

. I contatti, evidentemente, erano già avviati da tempo, tanto che Dimarco viene scovato quando è ancora un bambino, gioca in attacco e segna molto. La maglia dell’Inter la veste per la prima volte a 8 anni - categoria Pulcini C - e da quel momento non se la toglie più fino al campionato Primavera.

 

All’età di 10 anni compare per la prima volta sui quotidiani nazionali: i Pulcini dell’Inter avevano rifilato 40 gol ai Pulcini

, “Dima” ne aveva segnati 4 e ne venne fuori una notizia da colonnina destra, materiale per una riflessione sullo spirito della competizione e sul senso della misura. In squadra con lui c’erano già Federico Bonazzoli, che in quella partita aveva segnato 8 gol e al momento è in prestito al Brescia; e Fabio della Giovanna, poi capitano della squadra Primavera, adesso in prestito alla Ternana.

 

Tra le costanti della sua trafila nelle giovanili dell’Inter - con cui nel frattempo viene spostato nel ruolo di terzino - c’è il fatto che Dimarco ha sempre giocato in squadre forti o molto forti, rispetto alla media delle avversarie, e ha sempre avuto confidenza con il gol. Nel campionato Allievi ne ha segnati 10 in 25 partite. In quest’intervista

rilasciata ai tempi dei Giovanissimi gli si chiede di commentare l'eccezionale tripletta realizzata in 40 minuti contro l’Atalanta, e lui ci tiene a sottolineare: «Devo dire però che nella stagione sono andato in gol con una certa frequenza: le mie marcature sono al momento 12 in campionato, oltre a 4 nei tornei».

 

Certo, il dato sui gol è inflazionato dai rigori e dalle punizioni, ma è anche merito suo. Il suo allenatore negli Giovanissimi, Salvatore Cerrone, lo ricorda come un perfezionista, un ottimo tiratore che è riuscito a migliorarsi «con il duro lavoro negli anni». «In effetti, essendo una dote naturale, Federico ci lavorava in modo particolare per affinarla. Più passa il tempo, più maturi e acquisti autostima. (...) Quando batte un calcio piazzato si ha sempre la sensazione che possa succedere qualcosa». L'estate scorsa, proprio

, ha portato l’Italia in finale agli Europei U19.

 

Anche in Nazionale, Dimarco ha sempre giocato titolare, indossando per la prima volta la maglia dell’Under 15, poi quella dell’Under 17 di Zoratto (finalista agli Europei di categoria, nel 2013), quella dell’Under 19 di Vanoli (un’altra finale agli Europei di categoria, nel 2016). Il calcio dei professionisti lo accoglie a 17 anni appena compiuti, per gli ultimi minuti di un’inutile trasferta di Europa League in Azerbaijan, e lo ri-accoglie qualche mese dopo, per l’esordio in Serie A: un ingresso nei minuti di recupero dell’ultima partita stagionale, che serve anche per concedere a Palacio la standing ovation del Meazza.

 

La sua carriera da professionista inizia a Ascoli, a gennaio 2016 (prestito semestrale), in una squadra terz’ultima in classifica ma ricca di talento in divenire: davanti a lui a seinistra c’è Jankto; al centro Petagna; sulla destra si intravede Orsolini. Devis Mangia, subentrato a novembre,

modulo e interpreti, e alla fine riesce a conquistare la salvezza. Dimarco ovviamente ci mette del suo, con 4 assist in 15 partite, quasi tutti

.

 



 

Alla fine dello scorso giugno si è già concretizzato il passaggio all’Empoli, prima, cioè, dei 4 gol che Dimarco segna agli Europei U19 e che lo portano (o riportano) sulle pagine nazionali. Lo presenta il direttore sportivo, Marcello Carli, l’uomo che ha tracciato il “progetto-Empoli” per come lo conosciamo oggi, una filiera di prestiti vantaggiosi per giocatori molto tecnici.

 

Carli parla con il tono del padre fiducioso, o se preferite con quello dell’allenatore di fantacalcio che non vede l’ora di vedere all’opera la sua intuizione. Dice che Dimarco «c’ha tanto da lavorare, lui lo sa», e aggiunge che in quel caso è arrivato nel posto giusto. «Però il ragazzo è serio, siamo convinti che possa fare grandi cose».

 

Ovviamente menziona Manuel Pasqual, il titolare sulla fascia sinistra, e descrive la loro come «una concorrenza leale, bella, sportiva». «Tutti e due ci daranno grandi soddisfazioni, però lui noi pensiamo… pensiamo possa essere una gran bella sorpresa».

 

«Posso giocare sia a quattro che a cinque, certo, essendo un terzino che spinge molto» ha detto Dimarco sul ruolo più adatto al suo gioco.

Magari fare il quinto sarebbe la posizione migliore, però a quattro mi trovo anche bene lo stesso, cioè, spingo ugualmente».

 

Il rigido 4-3-1-2 di marca empolese ha imposto a Dimarco il ruolo di terzino sinistro, e non è detto che sia un male per la sua carriera. Secondo Stefano Vecchi, che lo ha allenato un anno e mezzo nella Primavera dell’Inter, Dimarco «ha la stoffa per diventare un grande terzino sinistro, e la sua naturalezza nel colpire la palla significa che è perfetto per questo ruolo, specialmente in una difesa a cinque».

 

In effetti, in qualche occasione, nelle giovanili dell’Inter e poi ad Ascoli, gli è capitato di giocare esterno sinistro in un sistema a cinque, ma avvicinarlo alla porta non è necessariamente la soluzione più efficace per esaltarne le qualità.

 

Dimarco è un giocatore molto moderno, adora passare la palla, giocare di prima a testa alta,

attraverso la circolazione, muoversi in diagonale, ricevere in corsa, inserirsi alle spalle degli avversari. Per questo ha bisogno che più giocatori possibili gli ruotino intorno, e le catene laterali del 4-3-3 o del 4-3-1-2 si prestano perfettamente allo scopo. Dimarco è uno dei primi calciatori italiani programmati con il codice sorgente del gioco di posizione: sono passati cinque minuti dal suo esordio in Serie A, e già interpreta 

 i movimenti del rombo.

 

Soprattutto, ha bisogno di giocare verso il centro del campo: non ha lo spunto per creare superiorità attraverso il dribbling, e neanche l’atletismo necessario per coprire tutta la fascia (anzi, gioca spesso in riserva energetica). Anche in fase difensiva, si esprime meglio in una linea a quattro: è molto reattivo

, ma giocare in avanti gli rende più difficile decidere se uscire in pressing o coprire lo spazio alle sue spalle, che aumenta di conseguenza.

 



 

Come detto, Dimarco da piccolo giocava in attacco, dove giocano i bambini più forti e con una tecnica di tiro all’altezza. All’Inter è stato subito spostato ala sinistra, dove di solito finiscono gli attaccanti tecnici che non riescono a svilupparsi in altezza. Il processo di arretramento è terminato quando aveva 12 anni, con la definitiva retrocessione (in senso letterale, non che ci sia niente di disonorevole o meno attraente nel fare il terzino) sulla linea di difesa, voluta da Michele Ravera, allenatore degli Esordienti Regionali.

 

«Devo ammettere che non è stato facile arretrare di diversi metri. Segnavo parecchio, fin quando mi sono ritrovato terzino. Però sono rimasto rigorista...».

, ma Dimarco ci tiene sempre molto a sottolineare i gol fatti.

 

Il passato da attaccante deve avergli lasciato qualcosa in termini di creatività. Dimarco ha più immaginazione degli altri terzini, elabora più soluzioni, sempre con l’obiettivo di guadagnare metri di campo.

 

Quando descrive la sua intesa con Bonazzoli, ai tempi della Primavera, parla come una seconda punta, si capisce che legge il campo in funzione della porta avversaria: «Con i suoi movimenti mi suggerisce il passaggio verticale, oppure, se mi viene incontro per l’uno-due, so che riceverò di nuovo la palla con precisione assoluta».

 

Provando a immaginare Dimarco tra dieci anni, non è difficile vederlo in mezzo al campo, magari come mezzala. Roberto Mancini, che lo

, e stando allo stesso Dimarco

, lo ha già sperimentato nel ruolo durante una tournée precampionato.

 

In un modo o nell’altro, anche da terzino, Dimarco si spinge fino alla trequarti finché ha benzina in corpo, con quell’istinto verticale “à la Alaba” che lo conduce puntualmente nella zona del pallone. Il suo habitat naturale, insomma, è l’half-space sinistro: la distinzione tra difesa e centrocampo è una forzatura dettata dalla necessità di riorganizzare la squadra senza palla.

 

E con un

, è facile che passi in secondo piano quello che fa senza palla (

Gagliardini, che non aveva previsto fosse possibile colpire la palla così). Ogni tanto utilizza anche il destro, che sembra riduttivo definire

.

 

I modelli Dimarco sono tutti terzini con caratteristiche atletiche fuori dal comune:

Guardo come modello a Jordi Alba e, andando più indietro, a Roberto Carlos – provo a studiarli e fare miei alcuni aspetti del loro gioco». Potrebbe essere un problema perché, per ora, il secondo tempo di Dimarco è un’esperienza tendenzialmente dolorosa.

 

Dimarco crolla, cede, si aggrappa alle corde. Sarà per questo che si è sempre preoccupato del salto di categoria in relazione al salto di intensità, sia quand’è arrivato ad Ascoli («Non è facile giocare in B, il ritmo è molto più alto rispetto al campionato Primavera»), sia quando è finalmente approdato in Serie A, all’Empoli («All’inizio non sarà facile, perché i ritmi rispetto alla Serie B sono diversi, però col lavoro mi adeguerò»).

 

Il rischio è che Dimarco si evolva in un giocatore troppo passivo, che blocca l’attacco invece di aumentarne i giri. Dice di ispirarsi a Jordi Alba, ma non hanno molto in comune, anzi paradossalmente nella classica azione del Barcellona che si conclude con il taglio profondo di Jordi Alba, Dimarco si sentirebbe più a suo agio nel vestire i panni (tattici) di Messi.

 

Con il passare dei minuti e l'aumentare dei chilometri percorsi, il talento di Dimarco viene progressivamente assorbito dall'indolenza. In

, l’Empoli è in svantaggio e manca un quarto d’ora alla fine della partita. Dimarco si muove con pigrizia, passa un pallone svogliato verso Buchel e poi non detta il passaggio verticale nello spazio che si sta creando. Rimane fermo sulla linea laterale, osserva Buchel inciampare sul pallone in mezzo a due avversari, non accenna neanche lo sforzo di accentrarsi per recuperare la posizione (una squadra più tecnica probabilmente ne avrebbe ricavato un facile contropiede).

 

Quest’azione è ovviamente inserita a titolo di esempio, se fosse un’eccezione sarebbe comprensibile: è pur sempre un sedicesimo di Coppa Italia ben poco esaltante. Invece, è praticamente la prassi negli ultimi venti minuti delle partite di Dimarco.

 

Le difficoltà sul piano della corsa e dell’energia si riflettono identiche

. Contro il Napoli, osserva Chiriches segnargli a due metri di distanza, in una porzione di campo che avrebbe dovuto coprire, e già il calcio d’angolo era nato a partire da un’azione sviluppatasi alle sue spalle. Contro l’Atalanta, non regge l’impatto fisico con D’Alessandro, che al 94esimo segna il gol della vittoria. Qualche minuto prima, aveva goffamente regalato

gigantesca a Gagliardini.

 

A volte la fatica lo sfigura al punto da renderlo irriconoscibile. Quando mancano cinque minuti al termine di un'amichevole con la Nazionale, lo si vede

in precario equilibrio. Mentre la palla viaggia verso di lui, prima rischia di inciampare, poi controlla con il destro, restituisce la palla al difensore con l’esterno sinistro, e prosegue il movimento con una marcetta pesante a testa bassa. Linguaggio del corpo degno di un torneo di calcetto aziendale.

 

Dimarco non è mai stato un giocatore esplosivo, ma non ha neanche mai avuto tante difficoltà nel gestire le proprie risorse come quelle che sta incontrando in Serie A. Dovrà ricavarsi da solo, con il beneficio dell’esperienza, gli strumenti per conoscersi meglio, per capire fin dove può spingersi, per quanto tempo, e con quanta determinazione. Al resto penseranno i preparatori atletici.

 



 

Dimarco ha da poco compiuto 19 anni, e come tutti i suoi coetanei di talento si trova a dover attraversare quella forbice che divide le aspettative dalla realtà.

 

Ci è passato anche Tedua, un altro ragazzo della scuola di Calvairate, uno di quelli “che ce l’ha fatta”, e che adesso deve affrontare l’improvvisa notorietà, e insieme a quella i pregiudizi, il carico di responsabilità, la paura che finisca tutto: «Non mi sento

, credimi, tutto qui, però fa paura eh, fa paura… cazzo, passi da zero a cento, per quello».

 

Dimarco, da parte sua, è ancora molto giovane e se fin qui non si è mai fermato, bruciando le tappe e ricevendo parole di stima da parte di tutti i tecnici che l’hanno allenato, in Serie A ha giocato soltanto 5 partite: poche per ricavarne un giudizio completo, ma sufficienti per presentargli il conto delle prime difficoltà di adattamento.

 

Forse non c’è davvero il rischio che Dimarco possa “non farcela”. Molti ragazzi si bloccano all’ingresso del calcio professionistico dopo l’intera trafila nelle giovanili, ma Dimarco non sembra uno di questi: ha troppa tecnica individuale a disposizione, troppa comprensione del gioco, qualità che in teoria dovrebbero assicurargli una carriera di buon livello anche nel caso in cui non riuscisse a sostenere i ritmi dell’élite europea.

 

Certo è un bivio importante e la differenza tra le due destinazioni è sostanziale. Dimarco dovrà chiedere al suo corpo se tra vent’anni lo ricorderemo come un terzino dai piedi buoni, oppure come l’uomo che mostrò il futuro al calcio italiano.

 

Fa paura, eh, fa paura.

 

 

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